San Marino. Bonifico bcs nonostante il blocco dei pagamenti “Scelta ragionevole”

San Marino. Bonifico bcs nonostante il blocco dei pagamenti “Scelta ragionevole”

L’informazione di San Marino

Bonifico bcs nonostante il blocco dei pagamenti per il giudice di appello fu “Scelta ragionevole”

Antonio Fabbri

Bonifico da 1,2milioni in regime di blocco dei pagamenti da una banca, Bcs, in crisi di liquidità, tanto che, è emerso nel processo, il bonifico venne fatto da Banca Centrale. Tuttavia per il giudice delle appellazioni, David Brunelli, “si trattò di una scelta ragionevole”. Di qui l’assoluzione in appello

L’accusa L’accusa era “Interesse privato in atti d’ufficio”, per avere favorito l’ex console William Colombelli, assieme a Claudia Minutillo, bonificando i soldi che costituivano il versamento del capitale sociale della Finanziaria Infrastrutture facente capo ai due. Citando le parole del Commissario della legge di primo grado, il giudice Brunelli richiama l’accusa: “In particolare furono Antonio Gumina (Responsabile del Dipartimento Vigilanza di Banca Centrale), d’intesa con Mario Giannini (Direttore di Banca Centrale) induceva (“autorizzava”), Sergio Gemma e Otello Carli (Commissari Straordinari di Banca Commerciale Sammarinese in amministrazione straordinaria), a dare corso al bonifico di 1.184.480,42 euro, richiesto dal liquidatore di Finanziaria Infrastrutture s.a., a favore di altro rapporto della stessa Finanziaria Infrastrutture acceso presso una banca “in bonis”. I fondi venivano, perciò, trasferiti, in violazione dell’art. 82 della Legge 17 novembre 2005 n. 165, eludendo il regime di sospensione dei pagamenti.
In tal modo, l’imparzialità delle funzioni pubbliche esercitate dai prevenuti, veniva deviata per compiere favoritismi e procurare ingiusti vantaggi a privati. Solo Finanziaria Infrastrutture s.a., a dispetto del blocco dei pagamenti, in violazione della par condicio creditorum, riceveva il vantaggio di ottenere la somma a proprio credito con certezza ed in via anticipata rispetto agli altri clienti di Banca Commerciale Sammarinese”.

La questione del dolo Anche in questo caso, tuttavia, viene sollevata la questione del dolo dal Giudice delle appellazioni. “Dal punto di vista soggettivo – scrive nelle motivazioni della sentenza – si deve ritenere necessario il dolo intenzionale in capo al soggetto pubblico, vale a dire si deve escludere -in base ad una lettura costituzionalmente orientata della fattispecie- che il fatto possa essere commesso con dolo eventuale. Invero, chi compie un atto dell’ufficio per prendervi un interesse privato, non può agire nel dubbio sulla portata obiettiva dell’ atto: deve essere certo che attraverso quell’atto l’interesse privato di cui è portatore potrà essere soddisfatto, e, soprattutto, egli dovrà aver agito al solo scopo di soddisfare un simile interesse a scapito dell’interesse pubblico, non semplicemente rappresentarsi che l’atto compiuto
soddisfa probabilmente o sicuramente l’interesse privato. Diversamente opinando, si consegnerebbe al giudice penale uno strumento invasivo attraverso il quale egli si potrebbe sostituire agli organi amministrativi predisposti alla valutazione degli interessi pubblici, censurando il loro operato ben oltre i limiti consentiti dal controllo giurisdizionale sugli atti, con una perniciosa confusione tra potere esecutivo e
potere giudiziario”.

Così per il giudice delle appellazioni non occorre neppure stabilire se eseguire il bonifico in periodo di blocco dei pagamenti fosse o meno consentito. E spiega così il perché: “Non occorre nella specie stabilire se la disposta esecuzione del bonifico durante il regime di blocco fosse o no legittima, se le norme di legge consentissero un margine di apprezzamento discrezionale o se le stesse -come ritiene il giudice di primo grado- fossero di stretta interpretazione, sicché per qualunque fattispecie non espressamente disciplinata in deroga vigesse il divieto assoluto di operare il pagamento. Un simile compito, infatti, pertiene piuttosto al giudice civile, il quale potrà essere chiamato ad esaminare la revocabilità del pagamento in danno degli altri creditori della BCS, così come è eventualmente demandata ad altra sede la valutazione del comportamento dei vertici della BCS e dei Commissari, oltre che dei dirigenti della BCSM, sotto il profilo della correttezza, della cautela professionale, della deontologia, del rispetto delle procedure e dell’osservanza dei doveri d’ufficio. Entrambi i profili, infatti, non rilevano ai fini dell’integrazione della contestata fattispecie, poiché, da un lato, chi ha – in ipotesi – violato la legge può averlo fatto per un errore
ragionevole di interpretazione del testo e del conflitto di doveri che nella situazione concreta si era indubbiamente determinato, mentre chi si è comportato in maniera incauta, avventata deontologicamente scorretta, senza rispetto delle linee guida o delle procedure interne, non necessariamente ha agito con dolo intenzionale”.

Più civile che penale Insomma, per il giudice l’avere agito in maniera illegittima, può semmai integrare gli estremi di una causa civile, non di punibilità penale. Tanto che aggiunge: “Perché sussista le responsabilità penale degli odierni imputati, in sostanza, occorre che risulti oltre ogni ragionevole dubbio che costoro hanno agito allo scopo precipuo di avvantaggiare in maniera indebita il titolare di FI, per ragioni di carriera, di convenienza politica, o per altra causa, ma una simile prova è lungi dal rinvenirsi nell’incarto processuale”. Per stabilire questo, secondo il giudice Brunelli, non è sufficiente aver ceduto alle pressioni dirette dell’interessato che ha anche agito –lo conferma anche lo stesso giudice delle appellazioni- attraverso le proprie conoscenze politiche.

Le pressioni politiche non bastano “In particolare, per quanto riguarda la condotta oggetto del capo di imputazione, consistente nell’autorizzazione al pagamento del bonifico in data 15 dicembre 2011, è del tutto plausibile che alla stessa i Commissari Gemma e Carli si siano anche determinati a causa del “ forcing” politicoistituzionale messo in campo dall’interessato e non esclusivamente perché indotti del precedente comportamento ingiustificatamente omissivo della Banca e dall’ atteggiamento sempre più determinato della dott.ssa Gatti, decisa, anche per tutelare la sua posizione, a ricorrere alle vie legali per recuperare il credito”. Ma questo per il giudice Brunelli non basta dato che “sarebbe, tuttavia, arbitrario concludere che costoro hanno agito esclusivamente a causa delle raccomandazioni che con ogni probabilità
sono pervenute dal mondo politico, quando -comunque nella completa carenza di una simile prova- sussiste l’obiettivo riscontro che il trincerarsi dietro il regime di blocco e resistere alle richieste e alla intimazioni sarebbe stato atteggiamento molto problematico, anche sul piano giudiziario, stante il complessivo modus operandi della Banca e gli indugi frapposti al pagamento in data anteriore al 25 novembre che chiunque avrebbe potuto leggere come meramente ostruzionistico ed anche ingannatorio nei confronti della controparte”. Così il Giudice delle Appellazioni ribalta il concetto ritenendo “del tutto plausibile che la principale
causale dell’atto dell’ufficio oggetto di imputazione non fosse la presa di interesse privato del cliente, quando piuttosto l’affannosa ricerca di una soluzione che potesse risolvere un problema anche giudiziario per la Banca e per gli stessi Commissari; è sufficiente, peraltro, constatare come una simile causale non possa essere eliminata sul piano logico”.

In sintesi, pressioni ci sono state ma non è detto che per quelle i commissari si siano determinati a dare il via libera al bonifico, anzi, può darsi anche che lo abbiano fatto per cercare una soluzione, piuttosto che per favorire un privato, che tuttavia è stato l’unico, col bonifico da 1,2 milioni, a beneficiare dello sblocco a fronte di richieste di correntisti per un totale di 11 milioni, rimaste congelate nello stesso periodo.

La raccomandazione politico-istituzionale Eppure per il giudice Brunelli l’influenza politica ci fu, come emerso dal processo nel quale lo stesso Colombelli ha dichiarato che contattò quelli che definiva “i miei ragazzi”, gli allora Segretari di Stato, Valentini e Venturini. “Si è già detto –specifica Brunelli- che la via della raccomandazione politico- istituzionale percorsa dal Colombelli, in parallelo con la via della intimazione di azioni legali messe in campo dalla dott.ssa Gatti, ha indubbiamente avuto una incidenza nella decisione finale di derogare al regime del blocco. Anche l’episodio acclarato della sostituzione del documento autorizzativo originario con un altro più “meditato” in cui si cancellava la dichiarata “collaborazione” di BCSM nell’adozione della decisione dimostra come i Commissari fossero pronti ad “ascoltare”
i suggerimenti degli organi istituzionali e non godessero di una piena autonomia operativa. Ma ciò non toglie che l’obiettiva situazione in cui si trovavano era particolarmente delicata e imponeva loro di compiere la scelta meno dolorosa per se stessi e per la Banca. In questo senso il conforto delle istituzioni più che una pressione indebita per la commissione di un reato poteva essere realmente letta come un fattore decisivo a favore di una delle soluzioni sul tappeto.

La “scelta ragionevole”. La soluzione fu dunque quella di fare il bonifico di una somma di denaro che era capitale sociale della Finanziaria Infrastrutture. Soldi poi ritenuti di provenienza illecita, considerato che, proprio per quei denari, è pendente un processo per riciclaggio a carico di Piergiorgio Baita, Claudia Minutillo e dello stesso ex console Colombelli. Questo tuttavia, seppure collegato, non rileva in questo processo, nel quale il giudice Brunelli, per assenza di prove sul dolo, ha quindi dichiarato l’assoluzione degli imputati. Sbloccare quel bonifico, per il giudice delle appellazioni, in defintiva fu “una scelta ragionevole, siccome dettata da plausibili ragioni obiettive; si può discutere se fosse davvero legittima o se il comportamento complessivamente serbato dai Commissari fosse corretto sul piano deontologico; non si trattò di una deliberazione assunta per una univoca ragione di favoritismo indebito, facendo difetto irrimediabilmente la prova del dolo del contestato reato”. Di qui l’assoluzione perché il fatto, mancando la prova del dolo, non costituisce reato. 

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