San Marino. Cassa, lo stato ci ha già messo 283milioni

San Marino. Cassa, lo stato ci ha già messo 283milioni

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Cassa, lo stato ci ha già messo 283milioni

La relazione richiesta dal precedente governo ma rimasta nel cassetto fino ad oggi rivela passaggi che sollevano dubbi e scelte penalizzanti per la Camera

Antonio Fabbri

SAN MARINO. Il Segretario di Stato alle finanze Simone Celli nella conferenza stampa del Congresso di Stato di ieri ha reso noto che il governo ha deliberato la consegna, a tutti i Gruppi consiliari, della relazione che il passato governo aveva, con una certa urgenza, richiesto a tre professionisti sulla situazione di Cassa di Risparmio o, meglio, sull’impegno dello Stato in Carisp.  La relazione, commissionata anche in forza dell’ordine del giorno approvato a gennaio 2016, venne richiesta dal precedente Esecutivo con una certa urgenza e depositata ad agosto 2016 dai tre professionisti incaricati, gli avvocati Nazzareno Bugli, Orietta Berardi e Marco Giancarlo Rossini. All’urgenza di avere il report, tuttavia, non seguì una altrettanto tempestiva consequenzialità delle azioni che il governo precedente aveva chiesto di suggerire ai professionisti con la relazione. Una inerzia che, stando ai contenuti del report, risulta inspiegabile per la tutela degli interessi dello Stato e non solo.

I soldi pubblici riversati in cassa  La relazione dei tre professionisti ripercorre tutte le immissioni di capitale che lo Stato ha riversato in Cassa di Risparmio nel corso del tempo. Complessivamente la relazione ricostruisce impieghi pubblici per 283milioni di euro. Nello specifico 60 milioni di euro per un finanziamento pluriennale concesso dallo Stato nell’agosto del 2012. A questo si unisce l’esborso di 85milioni con i quali lo Stato ha contribuito all’aumento di capitale di Cassa di Risparmio. Ci sono poi 98milioni costituiti dell’obbligo di rimborso del prestito obbligazionario sottoscritto da Cassa e infine 40 milioni di prestito obbligazionario emesso da Carisp. (…) . Nonostante questo cospicuo esborso, la partecipazione dello Stato all’assetto societario si attesta sul 46,47%.

La quota dell’ecc.ma camera Attualmente, finché non verrà adeguato l’assetto societario, l’Eccellentissima Camera, cioè lo Stato, è titolare di una quota pari al 46,47% del capitale sociale di Cassa. Capitale che ammonta, dopo diverse riduzioni, a 100.643.322 euro. Quindi una quota minima, nonostante lo Stato abbia con diverse operazioni e in tempi differenti sborsato, appunto, 283milioni di euro complessivi. Cifre che fanno dire ai professionisti che hanno effettuato la ricognizione, che l’Eccellentissima Camera “non detiene minimamente una quota di partecipazione nel patrimonio della banca che possa essere considerata rappresentativa del capitale sociale investito”. In questo viene rilevata dalla relazione anche una certa inerzia della Camera ad esercitare il proprio ruolo contrattuale.

La riduzione delle garanzie per lo stato La relazione rileva anche come alcune deliberazioni dell’assemblea di Cassa abbiano fatto venire meno le garanzie a tutela dello Stato. In particolare viene ricostruito il caso del finanziamento da 60 milioni. Nell’agosto del 2012, infatti, lo Stato ha concesso alla Fondazione Carisp un finanziamento di 60milioni per permettere alla Fondazione stessa di procedere all’aumento di capitale della Cassa. A garanzia di questo finanziamento concesso con scadenza a 7 anni, la Fondazione ha iscritto pegno a favore dello stato sul 100% delle azioni di Carisp. L’aumento di capitale è stato effettuato a settembre 2012: la Fondazione ha versato 70milioni, 60 dei quali prestati dallo Stato, e la Sums, che quindi è entrata nella compagine sociale, ne ha messi dieci. Soci, a quel punto, sono Fondazione e Sums. Nel maggio del 2013, però, l’assemblea dei soci ha deliberato una riduzione del capitale sociale causa perdite e il valore delle azioni è passato da 23 a 6 euro ciascuna. Così il capitale sociale è stato ridotto a poco più di un quarto e con esso anche le garanzie prestate all’Eccellentissima Camera sui 60milioni di finanziamento. Lo stato ha quindi visto ridursi senza “alcuna motivazione giuridico-autorizzativa” la garanzia prestata dalla Fondazione per la restituzione della somma finanziata dallo Stato.

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