San Marino. Colombini, modello di successo per il Made in Italy

San Marino. Colombini, modello di successo per il  Made in Italy

Federica Bianchi  (l’Espresso), fra gli imprenditori  del Made in Italy, che hanno saputo fronteggiare la crisi, generale e del settore, mette in primo piano Emanuel Colombini

(…) c’è anche chi nella crisi intravede un’opportunità e scommette su un modello produttivo diverso, basato su dimensioni aziendali maggiori e diversificazione delle linee di prodotto. Che devono essere almeno due: un’alta gamma lavorata in Italia, offerta soprattutto alla borghesia straniera in cerca di un “bello ben fatto”, non necessariamente del lusso, e una medio-bassa, magari prodotta all’estero oppure per conto terzi (“private label”) che sostiene il fatturato e tiene sotto controllo i costi. È il caso dei Colombini, una famiglia di mobilieri di San Marino che nel 2009 ha rilevato nel distretto di Pesaro i due marchi di cucine Febal e Rossana sull’orlo del fallimento. «Crisi o non crisi avevamo bisogno di solidi nomi italiani con cui approdare nei mercati internazionali», spiega l’amministratore delegato Emanuel Colombini. La Febal navigava in cattive acque a causa del malgestito passaggio generazionale, uno dei nodi storici delle aziende italiane che sta venendo al pettine in questi anni, a mezzo secolo di distanza dalla loro fondazione. «Alla morte dell’imprenditore poche famiglie hanno avuto la lungimiranza di evitare faide intestine magari affidandosi a un manager esterno», racconta Manuela Marianera, esperta di mercati emergenti del Centro studi di Confindustria. Per i Colombini la scommessa è riuscire a rilanciare un marchio in decadenza riscrivendone sia i parametri distributivi che le logiche di vendita. «Le cucine, per recuperare identità, in Italia dovrebbero seguire l’esempio della moda, collezioni bi-annuali e negozi monomarca, mentre all’estero sarebbero utili delle alleanze con i big del fashion», spiega Emanuel. Il sogno è quello di “fare rete”, cioè di presentarsi con un sistema moda-arredamento Italia insieme, anche attraverso alleanze tra società. Intanto la famiglia punta a controllare direttamente la distribuzione, esattamente come aveva fatto Luxottica nel 2001: comprando il maggiore distributore nordamericano di occhiali – un prodotto facilmente riproducibile – si era di fatto messa al riparo dai concorrenti asiatici. Che per competere nel mondo la piccola impresa, per quanto d’eccellenza, non basti più e che l’unione faccia la forza è risaputo, ma le aziende italiane lo stanno capendo soltanto ora, passando attraverso lo stretto di Scilla e Cariddi più difficile della loro esistenza. Perché a detta di molti analisti questa crisi è anche l’occasione per ristrutturare un sistema diventato incapace di competere efficacemente sui mercati mondiali. (…)

 

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