Commissione di inchiesta, più dubbi che certezze dopo i files delle audizioni
Gli audio delle deposizioni trasmessi nel processo Mazzini, arma a doppio taglio per le difese
Antonio Fabbri
Le registrazioni delle audizioni della Commissione di inchiesta su BancaCis, danno l’impressione di una certa superficialità, confusione e scarsa obiettività con cui sono stati condotti gli interrogatori in quella sede. Emerge anche, così, la conferma di una relazione parziale, come era parsa da subito, frutto di un compromesso politico, che non fa parola di alcune testimonianze qualificate determinanti che smentiscono in toto la narrazione fatta per tre anni dalla ex opposizione oggi maggioranza. Narrazione rilanciata nel Consiglio Grande e Generale nel quale è stato approvato l’Odg della maggioranza stessa. Non fosse bastata la spaccatura sugli Odg a testimoniare che si è trattato di una relazione di compromesso cui è seguito un dibattito evidentemente funzionale, tra le altre cose, anche ad inquinare il processo Mazzini, la conferma che qualcosa non quadra arriva dall’ascolto delle testimonianze che, su richiesta degli avvocati che intendono utilizzarle per fare saltare l’intero processo, sono state acquisite agli atti del Mazzini. Acquisizione che, al di là di quello che diranno i legali, potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio per le difese che fanno leva in primis sulla testimonianza di tale Federico D’Addario, accompagnato dinanzi alla commissione dall’avvocato Rossano Fabbri, legale di Giuseppe Roberti nel processo Mazzini. Rossano Fabbri assiste anche D’Addario e nella Commissione si presenta con lui, interviene, in certi casi, integrando e correggendo le dichiarazioni del teste, e in alcune circostanze riformula anche delle domande per specificare cose che ritiene di interesse. Questo senza che i Commissari nulla obiettino sugli interventi dell’avvocato che, qualche giorno dopo, insisterà assieme ai colleghi, che sono parsi edotti di quelle affermazioni, per l’acquisizione di quelle audizioni nel processo Mazzini, unitamente alle dichiarazioni del Segretario Roberto Ciavatta che nel dibattito Consigliare è andato ad integrare con le sue dichiarazioni quello che con le loro domande, i Commissari della sua parte politica, non erano riusciti a tirare fuori nelle audizioni.
L’impressione, ascoltando la registrazione, è esattamente quella di domande formulate da ciascun Commissario per il proprio interesse politico e del proprio partito con finalità, con tutta evidenza, di bottega. Un contegno, di chi formula le domande, che inevitabilmente porta i testimoni a dare risposte indotte a conferma di ricostruzioni precostituire. Il modo peggiore, insomma, per condurre una istruttoria che voglia essere imparziale. La testimonianza del D’Addario, a chiunque la ascolti con un minimo di obiettività, lascia dunque più dubbi che certezze e, nonostante questo, viene citata come fosse il Vangelo nella relazione della commissione di inchiesta, che a sua volta viene elevata ad esempio di una lettura equilibrata che però, alla luce degli audio delle deposizioni, non ha affatto, perché ha posto l’accento su parti di dichiarazioni e ne ha completamente omesse altre molto rilevanti, ma forse non funzionali alla narrazione della maggioranza.
Nello specifico, quella di D’Addario è una deposizione sconclusionata, che confonde date, circostanze, soggetti. Cita persone ma poi, dice che in realtà è lui ad avere fatto “due più due”, ma nella relazione – quella che è stata letta pubblicamente – viene riportata solo la prima affermazione e non la “precisazione”.
Nelle sue divagazioni il testimone non viene fermato dal Presidente della Commissione o dai Commissari. Va a ruota libera. Mostra di conoscere amicalmente qualcuno dei commissari, di avere motivi di acredine con le persone che accusa e di avere una situazione economica problematica.
Emerge poi, nei vari interrogatori, la modalità discutibile di come vengono poste le domande dai commissari, soprattutto da alcuni, che illustrano prima al teste che cosa vorrebbero sapere da lui, attraverso lunghi preamboli – in questo qualche volta richiamati anche dal Presidente – e poi formulano la richiesta, inducendo la persona audita, imbeccata o meno, a dire quello che vogliono sentirsi dire.
Quindi, oltre alla attendibilità della testimonianza che, a questo punto, pare tutta da vagliare, è come minimo discutibile la modalità con la quale l’audizione è stata condotta. Adesso le registrazioni di quelle audizioni sono note perché entrate in un processo pubblico, il conto Mazzini. Sono state distribuite in files audio – perché le trascrizioni non ci sono ancora – ad almeno 25 avvocati e ai loro sedici assistiti. Il biasimo sulla loro pubblicazione partito, ad esempio, dal consigliere Alberto Giordano Spagni Reffi, anche membro della Commissione di inchiesta, appare però stucchevole. Anche perché, semmai, la trasmissione degli atti, che dovranno essere passati alla magistratura per possibili fascicoli, poteva essere negata dal presidente della Commissione e dai commissari stessi, come avvenuto in altre circostanze (ad esempio la commissione Fincapital). Dice Spagni Reffi: “L’uscita dei file audio di alcune testimonianze rilasciate alla Commissione d’inchiesta di Banca Cis è l’ennesima prova del comportamento turpe dei vari attori della scena sammarinese. La Commissione ha lavorato per giungere ad un risultato il più oggettivo possibile, non utilizzando ogni elemento di prova, orale o scritto che fosse, ma solo quelli per cui si riusciva ad avere un riscontro obbiettivo. Gettare al pubblico dominio ciò che alcuni soggetti sono venuti a riferire è un comportamento sbagliato perché da un lato si equiparano tutte le testimonianze e le condotte senza alcun filtro o distinzione, dall’altro si espongono testimoni, che erano coperti dal vincolo della segretezza, ad una serie di ritorsioni e denunce. Per legge gli atti della Commissione possono essere richiesti dall’autorità giudiziaria, in alcuni casi, quindi, possono diventare pubblici. Il passaggio che spinge ad inviare certi atti a fonti di stampa rimane per me oscuro e sicuramente eticamente scorretto”.
Se sull’oggettività degli esiti della Commissione c’è oggi molto da discutere, dopo avere ascoltato le audizioni e visto che cosa è stato riportato e cosa no nella relazione, non c’è dubbio che pare che nessuno si sia posto il problema di come le parole di quel teste, anche valutando da chi era accompagnato, potessero essere funzionali ad essere travasate del processo Mazzini. Una leva utile a sollevarne la nullità, come si è verificato. Non possono allora non tornare alla mente le parole di Roberti, richiamate nelle carte del Mazzini e procedimenti collaterali. Si legge nelle carte: “Il ragionamento (pedissequamente ripetuto in ogni dove) è volto a fomentare una reazione dei partiti che, negli auspici degli indagati, dovrebbe invertire bruscamente la rotta, revocando ogni possibile appoggio alla magistratura: dobbiamo […] se questi non si fermano… [fare] commissione di inchiesta sul tribunale, ma questi cosa cazzo si credono di poter fare?» (Roberti). La volontà è quella di rovesciare i ruoli, sottraendo le indagini al Tribunale, per affidarle al potere politico. È la politica a dover giudicare i giudici”. E questo, tutti i Commissari lo sapevano.
Patetico che si meraviglino oggi dell’utilizzo che viene fatto degli atti da loro prodotti.