San Marino. Conto Mazzini, la richiesta di annullare tutto

San Marino. Conto Mazzini, la richiesta di annullare tutto

Mazzini, le difese puntano alla nullità di istruttoria, rinvio a giudizio e processo

Rigettate le richieste di audizione in conference call di Roberti e Bruscoli Stralciata la posizione di Baruca

Antonio Fabbri

Seconda udienza di appello, ieri, per il processo “conto Mazzini”. La richiesta di annullare tutto Acquisizione dei verbali di commissione affari di giustizia del 2017 e del Consiglio giudiziario plenario dell’epoca e, in funzione di questi, annullare tutto. Questa la richiesta più eclatante delle difese che chiedono dichiarare nullo il rinvio a giudizio e nullo il processo di primo grado. Questo perché, visti i verbali che sono usciti – che per la verità diversi avvocati già conoscevano tanto da aver formulato le medesime richieste già nelle memorie di appello – secondo gli avvocati non ci sarebbe stata imparzialità e lamentano una gestione Collegiale del processo tra allora dirigente, inquirente e decidente. 

I verbali a cui si riferiscono, dei quali è stata chiesta l’acquisizione, sono quelli relativi, in particolare, al Consiglio giudiziario plenario del 19 dicembre 2017, nel quale Valeria Pierfelici ammise di aver violato il segreto istruttorio ed emerse che il giudicante di primo grado, Gilberto Felici, avesse chiesto all’inquirente, Alberto Buriani, dove trovare alcuni allegati richiamati nelle carte. Per le difese sono questioni che inficierebbero il processo e la sentenza di prima istanza. Non così per la il Procuratore del fisco Roberto Cesarini, che ha sostenuto che “anche se il Magistrato Dirigente di allora ha forse sbagliato a violare, per sua stessa ammissione, il segreto istruttorio, non c’è nulla di scandaloso se tra magistrati ci si confronta su questioni pratiche come la ricerca di un documento, nella miriade di carte di un processo di tale portata”. Ed ha aggiunto: che dire allora degli avvocati che vanno dai magistrati o parlano fra di loro? Normale, insomma, che i magistrati parlino tra loro per il reperimento, ad esempio del reperimento documentazione allegata. Nella procedura sammarinese tra l’altro – diversamente dalla procedura italiana dove il fascicolo si forma nel dibattimento – il fascicolo e i relativi allegati sono già nella piena disponibilità del decidente. Difficile, quindi, che la richiesta di dove si possa trovare un allegato possa minare l’imparzialità del giudice, che ha già a disposizione l’intera documentazione prodotta, allegata e raccolta dall’inquirente. La Procura fiscale non si è comunque opposta all’acquisizione degli atti. Neppure la Parte civile si è opposta, riservandosi di prendere posizione una volta valutata la documentazione acquisita. Fin qui la richiesta più eclatante delle difese.

Rigettate le istanze di collegamento da remoto L’udienza di ieri si era comunque aperta con la lettura, da parte del Giudice, dell’atto introduttivo del processo e con lo scioglimento di alcune questioni preliminari prima di passare alle istanze istruttorie presentate dalle parti. Il giudice Francesco Caprioli ha innanzitutto reso note le sue decisioni sulla richiesta di collegamento da remoto per alcuni imputati che ne avevano fatto richiesta. Richiesta, quella della conference call per gli imputati Roberti e Bruscoli, rigettata. Se quindi vorranno rilasciare dichiarazioni spontanee o essere interrogati, potranno presentarsi – in qualsiasi momento del processo – ma dovranno farlo fisicamente. Evidentemente il giudice non ha ravvisato alcun legittimo impedimento a comparire perché fosse necessario il collegamento da remoto. Accolta, invece, la richiesta di stralcio per motivi di salute della posizione di Bilijana Baruca, che quindi esce dal processo e per trattare la sua posizione, dovrà essere previsto in futuro, quando sarà possibile in ragione delle condizioni di salute, un altro processo di appello.

L’atto introduttivo del processo Risolte le prime questioni il giudice Caprioli ha dato conto dell’atto introduttivo del processo di appello, riassumendo di fatto tutte le posizioni delle difese, contenute nelle migliaia di pagine delle memorie difensive e delle repliche. Numerosi i motivi in fatto e in diritto sollevati dai difensori. Varie eccezioni sulla nullità del capo di imputazione, sull’abuso della segretazione degli atti e sulla violazione del diritto di difesa.

Quanto all’associazione per delinquere, le difese sostengono che la contestazione sarebbe stata “strumentale. Un espediente che sarebbe stato ‘inventato’ quando gli inquirenti si sarebbero accorti che erano tutti prescritti reati corruttivi”, ha riassunto il giudice Caprioli riportando le posizioni delle difese. Difese che lamentano anche che si sia voluto “condurre sul banco degli imputati il sistema San Marino di quegli anni e anziché ricercare i fatti di reato da contestare al Commissario sarebbe stato chiesto di scrivere la storia politica della Repubblica sammarinese e più che esercitare l’azione penale, si è scesi sul terreno della polemica politica, del dibattito sociologico, più che accertare le responsabilità celebrando, osserva la difesa Stolfi, una sorta di rito catartico di liberazione da un passato che si vorrebbe rimuovere e – sostengono ancora le difese – il primo giudice avrebbe ceduto a questa tentazione sostituendo facendo prevalere i propri giudizi personali e morali nei confronti degli imputati, su una rigorosa analisi del reato. Cosa che – secondo le difese – sarebbe dimostrata anche dal taglio e dal registro stilistico a tratti gratuitamente ironico”.

Nel merito, quindi, per gli avvocati non ci sarebbero elementi per contestare l’associazione a delinquere, tra personaggi alcuni dei quali non si conoscevano e altri che erano addirittura in conflittualità tra loro. Quindi per le difese non sarebbe “raggiunta la prova del sodalizio criminoso. In ogni caso, anche volendolo ammettere, sarebbe prescritto, considerato che comunque l’associazione secondo le difese sarebbe terminata quando Podeschi chiese a Roberti di dimettersi dalla presidenza della Banca commerciale sammarinese”.

Tra l’altro sul punto gli avvocati chiedono l’acquisizione del procedimento contro Gabriele Gatti e Clelio Galassi sulla questione del centro uffici dei Tavolucci, procedimento nell’ambito del quale la contestazione dell’associazione a delinquere è stata archiviata in istruttoria. Secondo i legali gli stessi elementi che nel Mazzini sono andati a confermare la sussistenza del reato associativo, nell’altro procedimento, invece, non sarebbero stati considerati allo stesso modo, tanto che la contestazione di associazione a delinquere in quel caso è stata archiviata, sostengono gli avvocati.

L’accusa di riciclaggio Sull’accusa di riciclaggio gli avvocati contestano “il carattere di reato permanente che viene attribuito all’occultamento del denaro”. Tale interpretazione, secondo le difese, sarebbe un espediente che “viola il principio di irretroattività della norma penale”.

Poi il giudice ha ricostruito per ciascun imputato gli specifici motivi di appello per ciascun imputato. Tra gli altri Roberti, che ha depositato una memoria scritta acquisita agli atti, nega il suo ruolo di dominus. Richiesta dai suoi difensori, oltre all’acquisizione della parte archiviata del procedimento per la tangente del centro uffici, anche l’archiviazione presso il tribunale di Milano della denuncia per diffamazione di Gabriele Gatti nei confronti di Giuseppe Roberti e del giornalista Maurizio Belpietro, per un articolo di Giacomo Amadori apparso a suo tempo su “La Verità”. Caso, questo, che era stato richiamato anche in Consiglio grande e generale, nella scorsa legislatura da Roberto Ciavatta, in una sorta di attacco all’inquirente.

E’ stato quindi chiesto anche di acquisire i verbali del Consiglio giudiziario plenario del 19 dicembre del 2017, nei quali si fa riferimento a interlocuzioni tra l’allora dirigente Pierfelici, il decidente del Mazzini in primo grado, Felici, e l’inquirente Buriani. Obiettivo dichiarato delle difese è sostenere la non imparzialità del giudice.

I filoni da trattare e la confisca Comunque i filoni da trattare sono quattro: il primo è quello dei denari transitati attraverso la Fondazione per la promozione e lo sviluppo dell’economia ritenuta riconducibile a Claudio Podeschi, cosa che questi nega; poi c’è il filone della galassia dei libretti Mazzini; quello del riciclaggio del denaro proveniente dalle junket rooms di Macao e quello del riciclaggio attraverso Finproject, con il denaro di provenienza cinese. Filoni che hanno portato alla condanna alla confisca fino quasi 400milioni di euro.

Anche sull’entità della confisca vengono mosse le contestazioni delle difese. Da un lato ritengono che non si applicabile la confisca per equivalente come comminata nella sentenza di primo grado. Contestano quella che ritengono una “duplicazione delle confische, con le stesse somme, cioè, confiscate a più imputati”.

Le difese hanno rilevato anche come la confisca debba essere disposta solo sulle somme ritenute “il profitto della condotta illecita di chi è accusato di riciclaggio e non dell’interezza delle somme che si assumono riciclate”.

I legali di Parte civile, per l’Eccellentissima camera, si sono opposti a tutte quelle richieste di acquisizione documentale o istruttorie che hanno ritenuto superflue e irrilevanti. Così pure la Procura fiscale. Presenti al processo, tenutosi per le norme anticovid al Cinema concordia “trasformato” in aula delle udienze, c’erano anche alcuni dei 16 imputati che hanno proposto appello: Fiorenzo Stolfi, Claudio Podeschi, Giovanni Lonfernini e Pier Marino Menicucci.

Il processo proseguirà questa mattina. Il giudice Caprioli si è riservato di decidere sulle istanze istruttorie.

Il processo è stato aggiornato al 12 ottobre. Difficile, però, visto lo sciopero degli avvocati che inizierà a partire dal 21 settembre, che la protesta possa essere già rientrata.

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