San Marino. Conto Mazzini: Mularoni, Marcucci e Menicucci, i legali chiedono l’assoluzione

San Marino. Conto Mazzini: Mularoni, Marcucci e Menicucci, i legali chiedono l’assoluzione

L’informazione di San Marino

Ieri la parola agli avvocati Pier Luigi Bacciocchi, Maurizio Simoncini e Maria Selva

Mularoni, Marcucci e Menicucci, anche per loro i legali chiedono l’assoluzione

Antonio Fabbri

Nella giornata di udienze del processo Mazzini, ieri, è stata la volta delle difese di Pier Marino Mularoni, Pier Marino Menicucci, presente in aula, e Gian Marco Marcucci. Anche i legali dei tre ex Segretari di Stato hanno voluto sottolineare come ritengano che si tratti di un processo “politico”, un processo al sistema, oltre a sostenere, come già fatto dai colleghi che li hanno preceduti, la mancanza di prove.

Così hanno chiesto l’assoluzione a fronte di richieste della Procura fiscale di condanna a 5 anni e cinque mesi per Mularoni oltre alla confisca fino a 600.150 euro; 5 anni e 3 mesi per Menicucci oltre alla confisca fino a 490.512 euro; 6 anni e 6 mesi per Marcucci oltre alla confisca fino a 1.30.829 euro. Richieste di condanna che le difese hanno rigettato.

L’avvocato Pier Luigi Bacciocchi Ha aperto l’udienza la difesa di Mularoni. “Non la invidio – ha esordito l’avvocato Bacciocchi rivolgendosi al giudice – vista l’eco mediatica che ha accompagnato questo processo. Anche questa difesa ritiene che questo sia un processo politico, perché ha trovato nella stampa una voce e nella fase istruttoria modalità non sempre rispettose delle orme, con un uso indiscriminato della segretezza dell’istruttoria e un uso molto discutibile della carcerazione preventiva anche verso indagati di secondo o terzo piano. Anche se ci sono molti segnali che si tratti di un processo già scritto, io non voglio crederlo. Voglio credere anzi che verrà quanto meno dichiarata la prescrizione laddove, come riteniamo, vi sia. E, indipendentemente dalla requisitoria della procura fiscale che ha fatto di ogni erba un fascio, mi auguro che vengano considerate le singole posizioni. Per quanto riguarda l’associazione a delinquere, non vi è nessuna prova di un minimo organizzazione a carattere stabile. Non risultano prove di quando, le persone cui è contestata l’associazione a delinquere, si siano incontrate o parlate. L’unico reato, poi, che viene contestato è il solito riciclaggio”.

Quindi l’avvocato è passato ad analizzare i singoli casi.

“In particolare per la compravendita della sede di Bcsm non risulta provato il pagamento di alcuna tangente. Da nulla risulta che il prezzo non fosse congruo. Anzi, dall’intervento in assemblea del dottor Maiani, questi dice che si trattò di un affare. Il fatto che siano stati staccati due assegni nulla comprova ai fini di questo processo. Il libretto che si dice portasse la tangente, libretto Mas, aperto da Castiglioni, da niente risulta sia stato da lui consegnato a Roberti, non è dato sapere a chi lo abbia consegnato e da chi Roberti lo abbia ricevuto. Sui viaggi elettorali. Nulla risulta sul convogliamento di voti a favore degli imputati in generale e di Mularoni in particolare. Nessuno è venuto qua a dire sono andato a votare per… perché mi hanno pagato il viaggio. Rimangono illazioni, teorie senza alcun riscontro”, ha detto l’avvocato Bacciocchi.

Quindi il riciclaggio. “ Arrivano soldi su società e fondazioni in San Marino. Nessuno di questi importi risulta che sia provento di reato. Amati ha detto che ha comportato la società da Carbonetti e Ruggeri. Colombini ha acquistato la finanziaria che era sul mercato. Che poi abbia estinto il libretto Roberti non prova nulla”.

Poi una riflessione sulle legge e nuove normative antiriciclaggio. “Questo paese aveva 12 miliardi di depositi, adesso ne ha sei. Ci sono voluti due o tre anni perché le banche comprendessero e applicassero la legge del 2008. Dobbiamo ritornare con la mente a come eravamo, non a come adesso guardiamo quelle cose”. Sulla provenienza dei soldi l’avvocato Bacciocchi ha citato testimoni come Murray e De Magalhaes.

“Abbiamo avuto testimoni che prima erano intenzionati a compiere investimenti immobiliari, poi hanno avuto una linea telefonica. Ebbene, questi signori non hanno mai detto di aver dovuto pagare tangenti per fare qualcosa, ma di avere intenzione di fare investimenti in questa Repubblica”.

Quindi ha richiamato, sull’associazione a delinquere, due circostanze citate dalla procura fiscale: “uno scambio di messaggi tra Stolfi e Lonfernini e, cosa ben più grave, il Pf ha chiesto il deposito di atti di una istanza presentata nelle more del rinvio a giudizio. Questa allegazione, avvenuta in maniera anonima e silenziosa, richiamata solamente nella memoria conclusiva della Procura fiscale, a parte che nulla prova per Mularoni, si rileva che se conosciuta in tempo avrebbe motivato la richiesta di astensione del commissario Buriani dal procedimento. Stanti i palesi legami con Roberti come questi ha evidenziato, se fossero stati depositati nei tempi giusti, avremmo potuto rilevare la nullità dell’istruttoria. Quindi ritengo che questo giudice non possa tenere conto di quella allegazione. Non vorrei che quei documenti portassero ad un cambiamento dei giudici di questo tribunale. Solo in un altro caso è avvenuta cosa del genere: per i fatti di Rovereta. Ritengo che quegli atti non possano fare parte di questo procedimento”.

Sul caso Penta: “Mularoni non è mai intervenuto nella gestione di Penta. Non risulta da nulla che sapesse da dove perveniva il denaro. L’acquisto dell’immobile di Bologna è avvenuto tramite pubblico rogito e pagamento con assegno in base a legge italiana. Da cosa si evince che Mularoni non abbia pagato il prezzo? Non esiste alcuna prova che denaro derivasse da Penta. Tra l’altro ogni rapporto di Mularoni con Roberti termina nel 2009 e non nel 2015 come da capo di imputazione. Riteniamo non ci sia nessuna prova che il denaro provenga da reato. Qualora si ritenga che provenga da reato, riteniamo che la partecipazione del Mularoni ai reati presupposti farebbe valere il privilegio dell’autoriciclaggio”, quel principio secondo cui, per la legge vigente all’epoca, non è prevista la punibilità per chi abbia partecipato al reato presupposto del riciclaggio di denaro ritenuto illecito”.

Stessa carenza di prova sulla provenienza illecita del denaro l’avvocato Bacchiocchi l’ha sollevata sugli altri capi di imputazione, invocando anche qui in subordine il cosiddetto privilegio dell’autoriciclaggio.

Riciclaggio su cui il legale ha svoto alcune riflessioni, in particolare sull’“occultamento”, contestandone l’interpretazione di reato permanente data finora. “Non ho altro da dire, perché purtroppo si tratta di un processo molto difficile. Dove è difficile fare l’avvocato e penso che sia difficile fare il giudice. Un procedimento in cui personalmente non ho ravvisato quale fosse la necessità di questo modo di condurre l’istruttoria: la moltiplicazione dei pani e dei pesci, i cerchi concentrici, i cerchi olimpici. Io non so se c’è l’associazione, ma certamente non c’è l’associazione che è stata scritta. Qui ci sono soggetti che non si parlavano, che non si conoscevano. Non è stata data la minima prova, ma soltanto delle teoriche affermazioni. E’ stato un rincorrersi tra il potere giudiziario e il potere della carta stampata nel trovare soluzioni alla situazione politica di questo paese”, ha detto l’avvocato Bacciocchi che ha quindi chiesto l’assoluzione.

L’avvocato Maurizio Simoncini E’ toccato poi all’avvocato Maurizio Simoncini trattare il tema dell’associazione a delinquere per i suoi assistiti Menicucci e Marcucci.

“Si avverte una rincorsa all’aggravamento della fattispecie criminosa – ha detto l’avvocato Simoncini – Ci manca solo che a Marcucci e Menicucci venisse contestato di avere scorso le vie di questo paese in armi. L’associazione è un reato melmoso, perché sono dilatabili i suoi confini. Nel nostro codice ancora più sfuggente perché i prefigura la realizzazione di un piano criminoso. E’ qui la prova. C’è questo piano criminoso ampio? Il piano cremoso quale è? Sono tre i requisiti di questo reato di pericolo. Indeterminatezza, presenza del vincolo associativo diretto alla realizzazione di un piano di attività criminosa. Una organizzazione anche rudimentale serve. L’equazione due più due fa quattro, perché lì c’era la Finproject allora lì c’era l’associazione perché lì andavano i politici, è inaccettabile. Secondo la sentenza Brunelli del 2001, ci vuole consapevolezza di fare parte dell’associazione. Ma se non riscontriamo l’elemento materiale come facciamo a riscontrare quello psicologico? Su questo reato in sede istruttoria non si è fatto nulla, nulla, nulla… si sono descritte associazioni tra due, poi tra tre, poi tra altri tre. Ma strumenti probatori raccolti? Nessuno. Qui si è cercato di mettere insieme degli elementi, perché poi lei deve decidere, ma non possiamo andare sulle suggestioni e sul sentito dire. Dobbiamo stare al libro delle regole e alla pagina sono richieste le prove”.

L’avvocato Simoncini ha quindi sollevato la lesione del diritto alla difesa. “In tutte queste carte si trova un solo corruttore, Lucio Amati. Si dice che lui ha corrotto… ma non ci sono i corrotti. Questo diventa un processo su un qualcosa che non c’è. Una associazione che non si capisce se ci sia, se abbia un programma criminoso o se lo abbia attuato. Emerge allora il tentativo di piegare la norma penale. Il rischio è che per raggiungere un fine punitivo si pieghi la norma penale”. Citate dall’avvocato Simoncini le deposizioni di Francioni, Cherubini, Vivoli e Giannini “che hanno dichiarato di non avere scandagliato i rapporti tra gli imputati, da un lato, e dall’altro di non avere avuto pressioni da alcuno”. Quindi sull’associazione a delinquere secondo Simoncini “non è stata raggiunta alcuna prova, né sulla materialità del reato, né sul piano criminoso destinato a durare nel tempo, né sulla cosciente volontà del vincolo associativo, e questo tanto meno per Marcucci e Menicucci. Mi lasci concludere con una punta di amarezza. In questo processo lei capirà quanto sia ingrato il ruolo del difensore. Sto rappresentando due imputati che sono stati dipinti nel modo peggiore, con la stampa che riprendeva ordinanze, con siti che riprendevano stampa e ordinanze, questo perché? Perché Menicucci era amico di Roberti, ma non solo era amico di Roberti personalmente, condividevano anche iniziative di solidarietà. Con Marcucci andavano a fare barellieri a Lourdes. Menicucci era malato di politica e in Roberti vedeva un maestro. E’ stata la sua fine. Chiedo l’assoluzione perché il fatto non sussiste. Entrambi non hanno partecipato alla contestata associazione. Oltre all’assoluzione chiedo anche di restituire dignità a queste persone”.

L’avvocato Maria Selva L’avvocato Maria Selva ha trattato i casi di riciclaggio contestati a Pier Marino Menicucci “Anche io ho necessità di ribadire quanto affermato nelle prime battute di questo processo sull’indeterminatezza del capo di imputazione, caratterizzato da eccessiva genericità ed evanescenza delle condotte. Questo ha causato una difficoltà seria nell’affrontare la difesa anche dal punto di vista fisico. La prima difficoltà è stata quella di avere gli atti e ricostruire le condotte. Sono stati ipotizzati reati corruttivi di cui abbiamo capito qualcosa solo alla fine del processo. C’è stata una difficoltà per una polverizzazione, non tanto dei libretti, ma delle carte processuali. Sono state addirittura le difese a dover ricostruire singole movimentazioni”.

L’avvocato Maria Selva ha quindi ricostruito i singoli passaggi dei capi di imputazione contestati a Pier Marino Menicucci, dei soldi provenienti dalla Fondazione e le vicende degli appartamenti di Urbino e l’immobile al Wtc. “E’ difficile difendersi di fronte a condotte che non trovano dal punto di vista fattuale reati presupposti che possano giustificare la contestazione di riciclaggio o autoriciclaggio. La metodologia dell’indagine ha un vizio. Si basa su sillogismo viziato: utilizzo del libretto al portatore, utilizzo di denaro contante uguale riciclaggio. Siccome, si dice, San Marino è stata terra governata da questi signori e malgovernata, siccome tutto questo era lecito e legale, noi guardiamo con occhi di oggi i fatti di allora. Ma questo crea una visione distorta e viene fuori che siccome questi signori sono stati il male di questo paese, tutto ciò che hanno toccato diventa reato. Chiunque entra in contatto con questi signori diventa colpevole. Però la realtà e le teorie divergono e ogni contestazione soffre di questa impostazione. Pertanto per le condotte contestate a Menicucci, non è provata la provenienza illecita dei supposti riciclaggi, non sono provate condotte tipiche del riciclaggio in capo a Menicucci, non è provata la consapevolezza di Menicucci nelle condotte descritte. Mi si deve spiegare – ha aggiunto l’avvocato Selva – cosa potesse sapere della provenienza di questi denari. La figura di Roberti era determinante. In quel momento storico non era il Roberti di cui stiamo parlando adesso, era persona che aveva determinato in maniera positiva e aveva contatti con un mondo politico e imprenditoriale che lui non conosceva. Se è vero che referente in questo mondo che è stato descritto era Giuseppe Roberti, davvero era l’elemento che poteva fargli pensare di tutto salvo l’illiceità dei denari dei libretti Mazzini pervenuti sui conti di Piermarino Menicucci. Unico dato provato è che in Bcs vi era scarso riguardo della normativa antiriciclaggio e non solo in Bcs. Ma ciò non significa, che ci siano alla base transazioni illecite”.

Firma apocrifa di Menicucci L’avvocato Maria Selva ha anche contestato la veridicità del famoso documento segreto che attesterebbe la partecipazione di Menicucci in Penta.

“In questa scrittura privata, che c’è solo in fotocopia, c’è una firma che la dottoressa Addis ci ha detto potrebbe essere apocrifa. Sembra ci sia più la volontà di Roberti di voler legare Menicucci a Penta. Menicucci che, quando gli fu proposto di diventare socio, si tirò indietro”. Di qui il disconoscimento della difesa delle acquisizioni dell’appartamento di Urbino e di quello del Wtc come “finalità restitutorie”. “Non è assolutamente così – ha detto il legale – Abbiamo dimostrato che l’immobile di Urbino non è stato mai ceduto a nessuno, e l’acquisto è stato fatto dopo la vendita di un immobile pervenuto per successione a Rimini, ragione dei denari nella disponibilità di Menicucci. Lo abbiamo documentato fino all’ultimo centesimo. L’immobile del Wtc, invece, lo stiamo ancora pagando con un normale contratto di leasing. La verità è che Menicucci non è mai stato socio di Penta immobiliare e non c’entra niente con tutto questo, né con banca commerciale”. Chiesta quindi l’assoluzione. In subordine l’avvocato Selva ha ripercorso la cronologia delle contestazioni affermando che le date ne escludono.

Nel pomeriggio l’avvocato Maurizio Simoncini ha ripreso la parola, trattando i singoli casi contestati a Marcucci, rilevando come non abbia fatto altro che svolgere la sua attività professionale, anche nell’ambito della cosiddetta “truffa Gival” sempre su mandato degli organismi della Banca. Caso per caso ha quindi chiesto l’assoluzione.

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