San Marino. Licenziamento Vladimiro Renzi, arrivata la sentenza, Antonio Fabbri

San Marino. Licenziamento Vladimiro Renzi, arrivata la sentenza, Antonio Fabbri

Licenziamento vice direttore di Cassa non fu illegittimo, ma Vladimiro Renzi agì nell’interesse di Carisp

Antonio Fabbri

Fece molto scalpore nel settembre del 2015 il licenziamento da Cassa di Risparmio, del vice direttore Vladimiro Renzi. Licenziamento da parte di Cassa di Risparmio con lettera dell’allora presidente. All’epoca Renzi disse subito di essere stato licenziato per le sue prese di posizione a tutela della Cassa e in contrasto con la linea della direzione e disse di ritenere che il licenziamento fosse illegittimo.

In questi giorni, a distanza di poco più di 4 anni, è arrivata la sentenza di primo grado civile che, se da un lato stabilisce che il licenziamento fu giustificato perché era venuto meno il rapporto di fiducia fra organi amministrativi e vice direttore, dando sul punto torto a Renzi che aveva fatto ricorso, dall’altro lato rileva che le sue prese di posizione all’interno degli organismi della Banca, e attraverso gli opportuni passaggi interni, erano motivate dalla volontà di tutelare l’istituto. Tant’è che se non viene accolta la domanda del ricorrente, neppure quella riconvenzionale del convenuto, la banca, viene accolta e le spese legali vengono decise in compensazione. Insomma, ognuno pagherà le proprie.

Nella sentenza del Commissario della legge Laura di Bona viene ricostruito l’accaduto a partire dalla lettera di licenziamento che venne recapitata a Vladimiro Renzi nella quale, a firma del Presidente di Cassa Pietro Giacomini, si sosteneva che fosse “venuto meno il rapporto di fiducia nei Suoi confronti in maniera tale da consentirne l’ulteriore prosecuzione del rapporto, neanche in via provvisoria”. La lettera sosteneva che Renzi avesse una “costante avversione alle scelte strategiche dell’organo amministrativo, manifestata in ripetute occasioni, con atteggiamenti oltremodo screditanti l’immagine generale dell’azienda”.

Dal procedimento, quindi, è emerso che il licenziamento, avendo Renzi una qualifica dirigenziale, potesse avvenire anche senza particolare motivazione, “ad nutum”. Dall’altro lato è stato però chiarito che il licenziamento vi fu per le divergenze in particolare riscontrate tra la linea dell’allora Direttore, Luca Simoni, e la posizione del Vice Direttore, Renzi appunto. Viene citato anche un episodio relativo alla gestione di crediti. Afferma un testimone: “ricevuto disposizioni dal dottor Simoni di proporre a controparte di chiudere la trattativa a saldo e stralcio per un importo di 1,5milioni di euro su 3,6 milioni di esposizione debitoria proponendo almeno un 70% […] il dott. Renzi, all’epoca responsabile dei Crediti, si era opposto alla proposta del dott. Simoni” e, in vista della concessione di dilazioni, “il dott. Renzi propose, in un Consiglio d’Amministrazione, che per ogni pagamento dilazionato vi fossero garanzie reali che alla conclusione non vennero richieste”.

In sostanza emerge dalla sentenza che le divergenze ci furono tra Direzione-datore di lavoro e Vice Direttore. Emerge che furono queste divergenze sulle posizioni a tutela dell’istituto a motivare il licenziamento, che, visto l’incarico dirigenziale, poteva avvenire anche per il semplice venir meno del rapporto di fiducia, circostanza che giustifica la cessazione del rapporto con il dirigente diversamente dai parametri più rigidi, che discendono dai contratti di lavoro e dalle norme in materia occupazionale, che ci sarebbero stati, invece, nel caso di licenziamento di un dipendente.

Al di là della vicenda occupazionale, tuttavia, dalla sentenza emerge che le contestazioni e le obiezioni sollevate dal Vice Direttore Renzi anche per iscritto nelle sedi istituzionali verso la linea direzionale della banca, anche tramite una corposa documentazione depositata agli atti, erano motivate dalla volontà di perseguire gli interessi di Cassa, richiedendo garanzie sui crediti e prevedendo l’incremento degli interessi per il ritardo nella restituzione delle esposizioni in sofferenza. Tra l’altro il giudice ravvisa nell’opposizione di Renzi alla linea della Direzione, un contegno corretto e tenuto nel solco della buona fede di tutelare gli interessi di Cassa a fronte di scelte ritenute pericolose per il futuro della banca.

Dunque emerge dalla sentenza che Renzi osteggiava la linea della Direzione in particolare per le modalità ritenute pericolose di concessione del credito e non solo. Fu questa divergenza a motivare il licenziamento di Renzi, non configurando tuttavia un abuso in ambito occupazionale. Il giudice chiarisce anche che “la professionalità con cui li dott. Renzi ha svolto la propria attività lavorativa nell’interesse dell’istituto di credito non viene contestata neppure dallo stesso datore di lavoro”. Scelte che Renzi, pur ritenendole sbagliate, avrebbe anche potuto accettare supinamente senza fare valere la sua contrarietà nelle sedi sociali deputate. In tal modo avrebbe però tenuto un atteggiamento “omertoso” verso iniziative finanziarie ritenute non rispondenti agli interessi dell’istituto bancario. Invece, per questa espressa contrarietà, il suo atteggiamento non era più “incondizionatamente in linea con la politica aziendale”, rileva la sentenza che aggiunge: “ciò tuttavia non ha integrato alcun atteggiamento “screditante” dell’istituto – come invece denunciato da parte convenuta, senza peraltro fornirne prova. La doverosa considerazione del massimo grado di autonomia e discrezionalità che tipicamente caratterizzano il ruolo dirigenziale induce infatti a legittimare pienamente la condotta del dirigente Renzi, siccome volta a rivendicare nelle sedi e nelle modalità istituzionali la propria autonomia di valutazione e la correlativa facoltà di prendere le distanze dalle avversate scelte di gestione del credito”.

Dunque, in sintesi, se il licenziamento non fu illegittimo in quanto giustificato dal venir meno del rapporto di fiducia, allo stesso tempo il comportamento di Renzi fu corretto e motivato dalla volontà di tutelare Cassa da scelte finanziarie e di gestione del credito ritenute lesive per l’istituto, anche in considerazione dell’ulteriore importante intervento dello Stato a sostegno del patrimonio della Cassa stessa.

Non spettava a questa sentenza, ma toccherà alle azioni di responsabilità che l’Assemblea di Cassa ha deliberato di intentare nei confronti degli ex amministratori, valutare se le scelte adottate dagli organi amministrativi siano state conformi al buon andamento di Carisp.

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