San Marino. L’informazione: “Sentenza Mazzini, non c’è dubbio sulla provenienza illecita del denaro”

San Marino. L’informazione: “Sentenza Mazzini, non c’è dubbio sulla provenienza illecita del denaro”

Il giudice Caprioli, pur assolvendo perché l’autoriciclaggio non costituiva reato all’epoca dei fatti attesta gli episodi corruttivi.

ANTONIO FABBRI. Il giudice Francesco Caprioli ricostruisce nella sentenza le condotte di ciascuno e quello che emerge in maniera chiara è come la sentenza interpretativa del reato di riciclaggio per occultamento da parte del Collegio Garante con la sentenza del 2021 sia stato determinate per le assoluzioni legate al fatto che, all’epoca dei fatti, il reato di autoriciclaggio non costituiva reato, fino alla legge del 2013. Una interpretazione che ha così modificato la giurisprudenza maggiormente consolidata del tribunale sammarinese e della quale si è tenuto conto in primo grado. Le assoluzioni, perché all’epoca dei fatti le condotte non costituivano reato, discendono da questo.

Ciò non toglie che la provenienza illecita del denaro sia stata ampiamente provata e nella ricostruzione delle condotte di ciascun imputato lo evidenzia anche lo stesso giudice di appello, tanto che ha confermato le confische dirette.

Partendo ad esempio, dalla trattazione delle imputazioni a carico di Roberti, il giudice delle appellazioni al paragrafo 561 afferma: “Dalla ricostruzione dei fatti fin qui operata – supportata da emergenze documentali che la difesa in sé e per sé non contesta – emerge che Giuseppe Roberti ha provveduto, avvalendosi delle strutture della Banca Commerciale Sammarinese, a un’imponente opera di distribuzione (anche a se stesso) del provento di attività illecite, realizzata con modalità idonee a ostacolare l’accertamento dell’origine criminosa della provvista. 

Nell’orchestrare i descritti trasferimenti di denaro, Roberti ha potuto beneficiare di quello che il giudice di primo grado definisce il «ruolo centrale, da assoluto dominus» che l’appellante ricopriva all’interno di BCS. Le movimentazioni sono infatti prevalentemente avvenute – al fine dì mascherare l’origine e la destinazione dei fondi – con modalità irrispettose delle più elementari regole di buon governo dell’attività bancaria: operazioni eseguite senza identificare il cliente, senza pretendere la sua presenza allo sportello o la sottoscrizione delle contabili; utilizzo dì anagrafiche fittizie e di causali fasulle; circolazione di denaro contante in quantità abnormi; trasferimenti privi di qualunque logica se non quella dì «intricare e ostacolare ogni tracciabilità» dei flussi. Tutto ciò veniva inspiegabilmente tollerato dai funzionari apicali dell’istituto: a partire da Gilberto Canuti, direttore di Banca Commerciale dal 2001 al 2006, che gli atti processuali mostrano costantemente – e del tutto acriticamente – impegnato a dare seguito alle disposizioni impartite da Roberti. La più macroscopica deviazione rispetto agli ordinari protocolli è naturalmente costituita dal censimento e dall’utilizzo in BCS dell’anagrafica relativa ai cliente fittizio “Giuseppe Mazzini”.

Quanto alla origine illecita delle somme movimentate, il giudice Caprioli al paragafo 563 afferma: “Che il denaro movimentato da Roberti fosse di provenienza illecita risulta dalla ricostruzione precedentemente effettuata delle vicende corruttive generatrici della provvista. Che Roberti fosse consapevole di tale provenienza è dimostrato dal fatto che nella commissione dei reati-presupposto (…) egli ha svolto un ruolo determinante”.

Dalla trattazione delle motivazioni emerge dunque come l’assoluzione per non punibilità all’epoca di fatti della condotta contestata in funzione della sentenza interpretativa del Collegio Garante, non esclude la gravità dei fatti che risultano accertati, così come risulta accertata la provenienza illecita del denaro del quale, infatti, è stata disposta la confisca diretta. Confisca diretta che ammonta complessivamente a un importo complessivo di 8.801.467,12 euro.

Revocata, invece, la confisca per equivalente, poiché, spiega lo stesso giudice Caprioli, si deve ritenere che la norma sammarinese preveda la confisca per equivalente soltanto in caso di condanna, e non in caso di proscioglimento avvenuto con qualsiasi formula, rimanendo invece l’applicabilità della sola confisca diretta.

Quindi in primo grado, che la condanna c’era stata e la confisca per equivalente era stata prevista affiancando la confisca diretta. In appello, dove la condanna è decaduta in funzione della sentenza dei Garanti, è stata di conseguenza revocata la confisca per equivalente, rimanendo soltanto la confisca diretta, come ricalcolata dal giudice di appello, e acquisendo la liquidità, e se necessario i beni, già sotto sequestro.

 

Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente il giorno dopo

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