San Marino. Sentenza Mazzini, la parallela inchiesta svizzera

San Marino. Sentenza Mazzini, la parallela inchiesta svizzera

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Mazzini e la parallela inchiesta svizzera

Sul merito e sul metodo di questa parte di inchiesta le difese avevano sollevato ombre che la sentenza schiarisce 

Antonio Fabbri

Sui 2,5 milioni di euro dalla Black Sea Pearl di Paul Phua alla Clabi di Podeschi e Baruca, denari ritenuti di provenienza illecita dalle junket room di Macao e quindi oggetto di riciclaggio, erano sorte alcune questioni in sede dibattimentale e anche nella fase istruttoria. Questioni sollevate che avevano generato persino un certo scalpore, perché gettavano ombre sul merito e sul metodo. Ombre che le motivazioni della sentenza di primo grado schiarisce. La prima questione riguardava la giustificazione sottostante al trasferimento di quella ingente somma e la sua provenienza illecita.La seconda riguardava il parallelo procedimento svizzero, conclusosi con una archiviazione, relativo ai conti elvetici della società Black Sea Pearl e sull’acquisizione agli atti del processo sammarinese della documentazione del procedimento svizzero.

I motivi del passaggio di denaro. Quanto alla giustificazione di quell’ingente trasferimento il giudice Felici non ritiene attendibili le versioni date dagli imputati, Podeschi e Baruca prima e, poi, dai difensori. Il giudice nelle motivazioni della sentenza riporta che “Biljana Baruca, director della società Clabi, giustificava l’accredito di denaro in forza di una consulenza prestata in favore del ricco imprenditore malese Phua Wei Seng (anche noto come Paul Phua) “interessato ad investimenti in campo immobiliare in Europa, all’acquisto di materie prime e nel settore calcistico”; la consulenza offerta aveva interessato “aspetti legali nonché la scelta dell’arredo”. Poi il giudice aggiunge che “il giorno seguente, Claudio Podeschi interrogato sul punto, dichiarava all’organo inquirente che la consulenza fornita da Clabi aveva riguardato unicamente l’Aman Resort ossia una struttura che svolge servizi alberghieri – di Venezia, specificando altresì che “non rientrava tra i compiti della Clabi occuparsi degli arredi e delle scelte architettoniche”. In quella fase di indagini Podeschi e Baruca erano sotto custodia cautelare e non potevano colloquiare tra loro. “Alle due diverse versioni fomite dagli imputati – prosegue il giudice – se ne aggiunge poi una terza, che non coincide con le precedenti, resa dai difensori: “investimenti immobiliari concretizzatisi nella progettazione e realizzazione degli Aman Resort”, richiamata nel reclamo al giudice di appello. Di qui secondo le motivazioni della sentenza l’inattendibilità delle giustificazioni rese per quel passaggio di denaro, che invece il Giudice ha ritenuto di provenienza illecita dai junkets di Macao, attività legate al gioco d’azzardo. 

La trasmissione degli atti dal procedimento svizzero In questo contesto si inserisce anche la trasmissione della documentazione del procedimento svizzero che ha riguardato la Balck Sea Pearl. Gli avvocati difensori di Podeschi e Baruca, Annetta e Pagliai, avevano lamentato in udienza la mancata allegazione agli atti di documenti trasmessi dall’autorità elvetica e avevano provveduto a depositarne alcuni. Su questo il giudice Felici, invece, chiarisce: “I giudici intrapreso, come solito fare nell’ambito di condotte antigiuridiche con propaggini anche oltre confine, una collaborazione giudiziaria con la Procura federale elvetica. In esito alla stessa è stato versato agli atti del processo un gruppo di documenti bancari riguardanti la società Black Sea Pearl, coinvolta nel procedimento in essere a San Marino e la cui condotta era già stata imputata in termini criminosi in Svizzera. Siccome richiesto dai difensori, nelle more del dibattimento si è integrata la primigenia richiesta istruttoria avanzata al Procuratore Federale svizzero al fine di acquisire copia dell’intera mole di atti del procedimento penale, già archiviato. La petizione era resa viepiù cogente dalla produzione da parte della difesa di Podeschi e Baruca di copie, semplici, di atti di quel processo. A seguito del diniego ricevuto, il Commissario della Legge giudice decidente ha reiterato la richiesta – già ampiamente esaustiva nella parte motivazionale – ottenendo un ulteriore rifiuto. Sono stati comunque inoltrati all’autorità rogante, vale a dire a questo giudice, siccome domandato, copie dei due provvedimenti giudiziari (datati 11 febbraio 2014 e 10 luglio 2014) già prodotti dalla difesa, potendone, tra l’ altro accertare la non piena rispondenza della traduzione fornita rispetto all’originale (il paragrafo 3.1 della traduzione del provvedimento 11 febbraio 2014 prodotta dai difensori, ad esempio, non collima ictu oculi con quanto si legge nella copia del medesimo provvedimento inviata per intero e in lingua italiana dalla autorità giudiziaria svizzera, a seguito della commissione rogatoria inoltrata da questo giudice). Gli imputati hanno ritenuto opportuno anche attivarsi personalmente, rivolgendo al Procuratore federale svizzero istanza di acquisizione documentale. La risposta è agli atti del processo e francamente molto esaustiva”. Aggiunge il giudice Felici che “l’autorità rogante (San Marino, ndr.) ha fatto, quindi, quanto a sua disposizione per reperire il materiale d’interesse per le indagini. Il parziale rifiuto espresso dal Procuratore elvetico ha reso inutile ogni altro tentativo di sollecitare una collaborazione, giudicata, in quei termini, contraria alle norme dell’ordinamento svizzero. Aldilà della circostanza che la documentazione reperita consente – unitamente agli altri esiti istruttori del fascicolo – di concludere intorno alla provenienza illecita delle somme, va detto che non era possibile, per l’autorità giudiziaria inquirente e poi dibattimentale, ulteriormente agire(…) La memoria difensiva indirizzata al Giudice per la terza istanza dai difensori degli imputati Podschi e Baruca, parrebbe addebitare al giudice inquirente il fatto di non aver riversato nel fascicolo l’intera documentazione ricevuta dall’autorità svizzera. La verifica intervenuta nel corso del giudizio dibattimentale – chiarisce il giudice Felici – destituisce di ogni fondamento questa ipotesi, dando atto – pur non essendovene bisogno alcuno – della correttezza e della diligenza adoperate dal giudice inquirente”, conclude il giudice.

 

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