RASSEGNA STAMPA – Accusati di timbrature “cumulative” e di fare commissioni e attività personali nell’orario di lavoro
Già annunciato appello
ANTONIO FABBRI – Si è concluso con la condanna di tutti e quattro gli imputati il processo a carico di alcuni dipen- denti del mattatoio pubblico. Secondo l’accusa Lucia Zanotti, Massimo Cecchetti, Emanuele Baldini e Marco Barulli, si sono resi responsabili della cosiddetta “truffa del cartellino”, perché dopo aver timbrato lasciavano il posto di lavoro per effettuare delle commissioni o delle attività personali.
L’indagine era emersa a novembre 2022 per fatti contestati a partire dall’aprile di quell’anno. Una indagine di iniziativa della Polizia civile scattata in seguito a delle segnalazioni. Le indagini erano state condotte anche con l’ausilio di intercettazioni video-ambientali cui si erano affiancati controlli e pedinamenti.
In seguito alle verifiche di polizia e all’indagine dell’inquirente è stato quindi disposto il rinvio a giudizio dei quattro dipendenti dell’Aass da cui dipende il macello pubblico. Ieri le conclusioni del processo.
La procura fiscale Il procuratore del fisco Giorgia Ugolini ha ricostruito, sulla base delle indagini e di quanto emerso durante l’istruttoria dibattimentale, le condotte dei singoli imputati e i giorni nei quali si è riscontrato l’utilizzo improprio dei cartellini, con timbrature “cumulative” e uscite per commissioni o attività personali durante l’orario di lavoro.
“Nelle indagini si è constatato un disallineamento tra orari, entrate uscite e presenze”, ha detto. Tra gli episodi citati la circostanza in cui la Zanotti nell’orario di lavoro si era recata in una farmacia e poi in una abitazione privata.
Citato tra gli altri anche l’episodio in cui Baldini e Barulli, come riscontrato dagli appostamenti, si trovavano nell’orario di lavoro a bordo di una moto da cross senza casco. “Moto che non era del macello, utilizzata dai due per verificarne le prestazioni, tanto che poi uno dei due si era dedicato anche alla manutenzione meccanica della moto”, ha detto la Pf.
Insomma, “una serie di anomalie appurate dalla telecamera e dalle indagini; un uso promiscuo dei cartellini da parte dei quattro imputati. La procura fiscale ritiene pacifico che l’uso del cartellino in questo modo configuri artifici e raggiri arrecando danno all’amministrazione”.
La Procura fiscale ha evidenziato comunque una “gestione caotica del macello pubblico”. Insomma, la Procura fiscale ha riscontrato sussistere gli elementi oggettivi e soggettivi della truffa aggravata ai danni dello stato, posto comunque che i tre imputati hanno risarcito il danno e, per questo, non era presente nel processo la parte civile pubblica rappresentata dall’Avvocatura.
La Pf ha quindi chiesto la condanna a 2 anni e 2 mesi per Lucia Zanotti e la multa di 900 euro; 7 mesi di prigionia chiesti per Massimo Cecchetti oltre alla multa di 500 euro. Per Emanuele Baldini e Marco Barulli chiesti 6 mesi di prigionia e 400 euro di multa.
Le difese Per le difese ha esordito con la sua arringa l’avvocato Giovanna Ollà, difensore di Lucia Zanotti. L’avvocato Ollà ha sottolineato come sia emerso che quella delle timbrature promiscue al macello pubblico fosse una prassi datata e che non vi fosse stata nessuna indicazione o formazione sull’uso del cartellino marcatempo, né sulle cosiddette “tappe interme- die”.
Insomma per la difesa al macello era proseguita dal passato “una cattiva abitudine che ha generato quindi dei comportamenti in buona fede. Una prassi poi sostituita da una circolare del 2023”, successiva quindi ai fatti contestati.
“Non possiamo dire che sia un comportamento consentito o virtuoso andare a compiere commissioni personali nell’orario di lavoro – ha ammesso il legale – ma credo che possa al massimo integrare un profilo risarcitorio o amministrativo disciplinare e non integrare il reato di truffa sul piano penale”. Di qui la richiesta di assoluzione perché il fatto non sussiste e in via subordinata il minimo della pena con la sospensione condizionale, in ragione anche dell’avvenuto risarcimento del danno, ma anche in ragione “della condizione dei dipendenti che operavano in un contesto di cattiva organizzazione”.
Quindi è toccato all’avvocato Federico Fabbri Ercolani, difensore di Massimo Cecchetti. Il legale ha parlato di capo di imputazione “viziato” sostenendo che non si configurerebbero gli artifici e raggiri con le timbrature comulative poiché “se è vero che il mio assistito timbrava per gli altri è altrettanto vero che i colleghi stavano arrivando, erano in prossimità del posto di lavoro. In tale caso l’artificio e raggiro non sussiste”. E neppure sussiste, per il legale, l’essersi procurato un vantaggio o avere causato un danno.
“Il mio assistito era sempre il primo ad arrivare, anche in anticipo di mezz’ora sull’inizio dell’orario di lavoro – ha detto l’avvocato Fabbri Ercolani – Questo dato è rilevante perché depone a suo favore. Va a donare del tempo in più all’azienda per fornire un servizio migliore. Volendo fare allora un blanciamento delle ore dedicate, non si può parlare di stipendi indebitamente percepiti, perché stiamo parlando di minuti a fronte di mezz’ore lavorate in più. Non sussiste, quindi, neppure l’ingiusto profitto”.
Di qui la richiesta di assoluzione con formula piena o, in subordine, per insufficienza di prove. In estremo subordine chiesta la pena nel minimo con il beneficio della sospensione condizionale.
Ha concluso la discussione l’ar- ringa dell’avvocato Maria Selva per gli altri due imputati, Emanuele Baldini e Marco Barulli. “Questa indagine, ci è stato riferito in aula, è partita in maniera singolare con delle segnalazioni e lamentele sull’attività del macello pubblico.
Tuttavia non è venuto nessuno qui a dire che vi fosse un malfunzionamento del mattatoio. Anzi, gli allevatori testimoni ci hanno riferito della disponibilità degli addetti, ci hanno detto che i macellai venivano contattati personalmente e in via diretta anche di notte. Usavano anche i loro mezzi quando facevano commissioni per il macello. Insomma, questa presunta disfunzione del macello pubblico non ha trovato alcun riscontro… questo per dare un quadro di quello che dovrebbe essere il processo ai ‘ fubrbetti del cartellino’ o a quelli che truffano lo Stato. Niente di tutto questo.
Sull’episodio della moto citato dal Pf, “si è trattato di 10- 15 minuti, tempo che verosimilmente ogni dipendente pubblico può prendersi per andare a prendere un caffè o fumare una sigaretta”, ha detto il legale. L’avvocato ha quindi contestato l’accusa di truffa allo stato, sottolineando che il macello è una struttura che funziona, con piena disponibilità dei dipendenti e che i comportamenti contestati avrebbero potuto configurare al massimo provvedimenti disciplinari, ma non penali.
Il legale ha evidenziato, in caso di condanna, il rischio per i suoi assistiti, che pure hanno risarcito il danno, di essere “licenziati in tronco”. “Danno allo stato e alla reputazione di questo servizio non ci sono stati – ha aggiunto – Anzi, tutti ci hanno detto il contrario e che sarebbe un problema se questi dipendenti non ci fossero. Dove è allora il nocumento per lo stato?”
Di qui la richiesta di assoluzione perché il fatto non sussiste.
La sentenza Dopo la camera di consiglio il giudice Adriano Saldarelli ha pronunciato sentenza, condannando, per specifici episodi, tutti gli imputati: Lucia Zanotti a 2 anni 2 mesi di prigionia e 900 euro di multa; Massimo Cecchetti a 10 mesi e 400 euro di multa; Marco Barulli a 7 mesi e 300 euro di multa; Emanuele Baldini a 6 mesi e 200 euro di multa.
Concessa la sospensione della prigionia per Cecchetti, Barulli e Baldini. tutti gli imputati condannati alle spese processuali. Le difese hanno già annunciato appello
Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente il giorno dopo