Stefano Agnoli, Corriere della Sera: San Marino e Vaticano, la luce sul conto delle bollette italiane

Stefano Agnoli, Corriere della Sera: San Marino e Vaticano, la luce sul conto delle bollette italiane

Corriere della Sera

Il caso. Gli obiettivi di risparmio e i 104 Megawatt garantiti ogni anno dal governo

San Marino e Vaticano, la luce sul conto delle bollette italiane

Gli accordi e la possibile revisione con il taglio degli aiuti

Stefano Agnoli

MILANO — Togliere a chi ha avuto troppo e restituire a chi ha dato di più. E’ l’obiettivo del decreto «taglia-bollette», che a breve passerà all’esame del Parlamento. Non è dato ancora sapere, però, se i sacrifici toccheranno anche il Vaticano e la Repubblica di San Marino, «stati esteri» che fino ad oggi hanno beneficiato di un regime del tutto speciale, finanziato in ultima istanza dalle bollette dei consumatori italiani. Per il momento pare di no, anche se nella lista iniziale degli interventi del ministero il capitolo delle due “enclave” era ben presente. Non che si tratti di cifre stratosferiche: il «regalo» energetico che lo Stato fa ogni anno alla Santa Sede e alla Repubblica del Titano ha un valore di 15-16 milioni di euro, ripartiti più o meno a metà. Il taglio, sempre nelle intenzioni, avrebbe quindi un valore più simbolico che altro («tutti devono fare la loro parte»), aggiungendosi però alle altre misure dello stesso tenore, quelle che colpiscono le energie rinnovabili fino alle Ferrovie e ai pensionati Enel.
Ci sono però diversi ostacoli. La Santa Sede, ad esempio, è un cliente delicato, e in generale non è con un decreto dello Stato italiano che si possono modificare accordi «internazionali». Proprio così, perché proprio per il fatto di essere due Stati sovrani, e due «enclave» circondate dal territorio italiano, Vaticano e San Marino devono poter accedere a un corridoio di fornitura esterno. Cosa alla quale lo Stato italiano provvede ogni anno, garantendo sempre per decreto una quota della capacità di importazione di energia elettrica dalla Francia (per il Vaticano) e dalla Svizzera (per San Marino). Energia «preziosa» e aggiudicata con delle aste perché costa molto meno di quella prodotta in Italia. Per la Santa Sede si tratta di 50 Megawatt e per la Repubblica di 54 Megawatt. Ai valori di asta (circa 16 euro a Megawattora) i due lotti valgono appunto 7-8 milioni di euro l’uno. A questo punto che cosa accade? Che i due Stati esteri si accordano con due fornitori italiani (Acea a Roma, Enel per il monte Titano), scambiando la capacità di importazione con l’elettricità che a loro serve. In più, secondo qualche maligno, sfruttando non solo l’opportunità di ricevere l’elettricità a costi bassissimi (quelli del trasporto). Ma anche quella di ricavare qualche provento extra: San Marino ad esempio, che ha circa 32mila abitanti, consuma ogni anno il 60% dell’elettricità alla quale avrebbe diritto grazie alla riserva garantita dallo Stato italiano (270 mila Megawattora su circa 470mila). E il resto?
Potrà cambiare in futuro la situazione, all’insegna di maggiore trasparenza ed equità? La disponibilità delle parti, almeno in via informale, ci sarebbe, ma i due casi sono diversi. Per il Vaticano la garanzia di energia elettrica sarebbe addirittura contemplata dai Patti Lateranensi del 1929 (l’articolo 6), che forse dovrebbero essere modificati. Pare inoltre che l’amministrazione vaticana si sia «dimenticata» di segnalare il proprio diritto per il 2014, e infatti nel decreto import del ministero dello Sviluppo di fine dicembre scorso la riserva di 50 Megawatt per la Santa Sede non è stata riconfermata. Tra fine febbraio e fine marzo l’errore sarebbe stato segnalato al governo italiano, ma poi la staffetta Letta-Renzi (e Zanonato-Guidi) avrebbe rallentato la correzione del ministero. A quel punto, viste le intenzioni di «risparmio» del governo, il Vaticano avrebbe manifestato la sua disponibilità ad accettare un taglio in linea con il 10% medio che l’esecutivo vorrebbe portare a casa. Si vedrà.
San Marino, invece, per i suoi 54 Megawatt vanta un diritto decennale, ribadito da un accordo con l’Italia del 2011. In teoria le cose potrebbero andare avanti così fino al 2020. Ma anche in questo caso è possibile che, bontà sua, la Repubblica accetti di avviare una trattativa. Il margine ci sarebbe.

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