Sullo stop al tavolo tripartito

Sullo stop al tavolo tripartito

In tutta onestà, non sono rimasto sorpreso del brusco stop che sembra aver subito il tavolo tripartito.

Un tavolo che, a mio parere, è quasi subito diventato un difficile luogo di mediazione fra due parti (Csu e Anis) litigiose, rivendicative, autoreferenziali e non attente ai problemi sistemici che abbiamo di fronte. E un Governo che, dopo aver preferito deresponsabilizzarsi rispetto al contratto di sua competenza (quello della PA), si è fatto prendere in mezzo sino a dover diventare promotore di alcune proposte di sintesi che non stanno in piedi.

Il sindacato ha puntato a tutelare il più possibile chi è già dentro al mondo del lavoro, chi è contrattualmente più forte: da qui l’ossessiva importanza data agli aumenti contrattuali, che non sono certamente la priorità in un momento in cui è un privilegio avere un lavoro sicuro ed è bene concentrarsi per tutelare chi il lavoro lo perde o non lo trova.

Un’altra parte, l’Anis, in cambio degli aumenti ha cercato di smontare un altro pezzettino dei diritti dei lavoratori, quelli che riguardano i loro tempi di vita, puntando ad inserire una flessibilità d’orario a discrezione dell’azienda (senza quindi alcun potere di dissenso per il singolo lavoratore, nemmeno se, a puro titolo di esempio, iniziare un ora prima la mattina, di fronte ad un asilo nido ancora chiuso, lo portasse a non sapere dove lasciare il proprio bambino).

La terza parte, il Governo, ha cercato di mediare senza avere ben chiaro il modello da perseguire, e accompagnando il tutto con una serie di misure (blocco delle tariffe in testa) diseducative, non selettive, molto costose per lo Stato, e assolutamente inutili nel medio termine.

Non si è purtroppo ragionato su quali soluzioni dare ai due fondamentali problemi che abbiamo di fronte in questo momento:

1) quale economia vogliamo e, quindi, che mercato del lavoro dobbiamo metterle a disposizione;

2) come e chi finanzierà gli ammortizzatori sociali necessari per il nuovo mercato del lavoro che avremo.

Se vogliamo un’economia competitiva, dinamica, tecnologica, innovativa, se vogliamo attirare investimenti in settori ad alto valore aggiunto, occorre certamente flessibilità in ingresso e in uscita: il modello del tempo indeterminato per tutti è probabilmente finito, un’eccessiva rigidità è negativa, rende meno produttivo il lavoratore, scoraggia le assunzioni delle imprese.

La flessibilità però aumenta la produttività, gli stimoli del lavoratore e la sua voglia di mettersi in gioco solo in presenza di due fattori: il rispetto dei suoi tempi di vita, della sua dignità professionale e la sicurezza/fiducia nel futuro.

Serve una rete di ammortizzatori sociali capaci di proteggere ogni lavoratore che si trovi in stato di disoccupazione o di non occupazione, garantendogli un reddito legato però alla formazione e alla riqualificazione, anche in azienda, così come succede nelle economie più evolute d’Europa.

Ammortizzatori e flessibilità devono andare assieme, affinché gli uni siano complementari all’altra nella creazione di un sistema virtuoso, competitivo e premiante, ma nella coesione e nella serenità sociale: la precarietà che nasce quando la flessibilità prevale sulle tutele, non è mai elemento di competitività e generatore di crescita duratura.
Credo che la soluzione stia nella flex-security, un sistema che è costoso nel breve termine (ecco perché destinare agli ammortizzatori una grossa parte degli aumenti contrattuali era per me estremamente saggia in questa fase), ma che può dare grandi risultati e mettere tutti gli attori, anziché uno contro l’altro, tutti dalla stessa parte nella grande sfida della competitività e della crescita economica; io continuerò a battermi su questa strada.

Anziché discutere di qualche zero virgola di aumento o di quante ore dare in più di flessibilità, che oltretutto sono materie tipicamente contrattuali e di competenza delle parti sociali, o ancora di quali ulteriori forme contrattuali “creative” inserire (vedi outsourcing interno alle aziende), sarebbe bello che il tavolo unico iniziasse a ragionare su queste questioni “di sistema”. Spero che la pausa serva allo scopo.


San Marino, 8 giugno 2009

Andrea Zafferani

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