San Marino. Verso l’indipendenza: rapporto fra Libertas e Santo nella comunità sammarinese

San Marino. Verso l’indipendenza: rapporto fra Libertas e Santo nella comunità sammarinese

Sul rapporto fra Libertas e Santo nella comunità sammarinese

Avvertenza Il testo è pubblicato senza note. Per le note, i riferimenti ai documenti utilizzati e la bibliografia, si rimanda necessariamente alla consultazione della versione su carta: MARINO CECCHETTI, Viva il Prencipe S. Marino, San Marino 2001

Libertas nel Medioevo

Libertas. Due accezioni
Libertas è un vocabolo che, in ambito medioevale, riferito ad una comunità, ha due accezioni. Viene attribuito:
1.       sia a una comunità che crede di non essere soggetta ad una autorità esterna (l’attribuzione non tiene conto di come detta comunità si regola al suo interno);
2.       sia a una comunità nella quale gli incarichi di interesse collettivo sono di durata limitata e vengono assegnati dalla comunità stessa o per elezione o per sorteggio (l’attribuzione non tiene conto dei rapporti di detta comunità con l’esterno).
Per evitare ambiguità, denominiamo in modo diverso le due accezioni di Libertas. Etichettiamo:
·         Libertas externa la condizione di una comunità che si crede non soggetta ad un potere esterno, cioè – in termini moderni, ma impropri – quasi ‘indipendente’ o ‘sovrana’ (Liber populus est is, qui nullius alterius Populi potestati subjectus est);
·         Libertas domestica la condizione di una comunità che si regola al suo interno secondo modalità che potremmo dire – in termini moderni, ma impropri – quasi ‘democratiche’(Poterit tamen nomen libertatis hoc casu verificari in libera facultate eligendi sibi magistratus, et cognoscendo causas, tam civiles, quam criminales, et mixtas in prima, et secunda instantia).
In genere in una comunità medioevale mancano sia la Libertas externa che la Libertas domestica. Qualche volta è presente una delle due. Rarissimamente entrambe. Ciò lo si deve al fatto che la presenza dell’una non favorisce il realizzarsi anche dell’altra. Anzi le è di ostacolo.
Caso della Libertas externa. Si ha quando su una comunità viene a mancare per una qualche ragione il controllo da parte di autorità esterne. Dentro la comunità il potere o è già nelle mani di uno solo o ben presto vi finisce dopo una fase più o meno lunga di disordini, di sopraffazioni, di anarchia. La Libertas externa crea, insomma, una situazione sfavorevole al formarsi e al mantenersi della Libertas domestica.
Caso della Libertas domestica. Si ha quando una comunità soggetta ad un potere esterno ottiene da questo il privilegio di potersi autogestire. Il potere esterno vigila perché all’interno della comunità non ci sia qualcuno che con la demagogia, la forza o l’inganno finisca per predominare sugli altri. Proprio il controllo sulla comunità da parte di un potere esterno (cioè l’assenza della Libertas externa) è conditio sine qua non perché si realizzi e sopravviva, nella comunità, la Libertas domestica.

Singolarità della comunità sammarinese
In genere, nel Medioevo, una comunità piccola e marginale come quella sammarinese quasi sempre è soggetta a una famiglia feudataria esterna (o comunque a un’autorità esterna) che governa il luogo attraverso un vassallo (o governatore) e mette nella rocca un suo castellano. Insomma non gode né della Libertas externa né della Libertas domestica.
La comunità sammarinese?
I sammarinesi, pur geograficamente dentro i territori dello Stato della Chiesa, non si ritengono soggetti alle autorità della Chiesa (non admittunt potestatem Ecclesiae, nec aliquem exercentem nomine eius). Insomma godono della Libertas externa.
I sammarinesi inoltre provvedono loro stessi a nominare i due Capitani che amministrano la loro comunità, giustizia compresa (eligunt duos Capitaneos et sibi iustitiam reddunt in civilibus et criminalibus). Insomma si autogovernano (regunt seipsos).
In conclusione, nella comunità sammarinese sono presenti e convivono entrambe le Libertas. Un caso eccezionale. Rarissimo. Tanto che nel panorama pur molto variegato delle comunità medioevali, ben presto la comunità del Titano viene segnalata, appunto, per tale singolarità: diventa famosa per la sua libertà: Sanmarinum oppidum perpetuae libertatis gloria clarum.
Che cosa determina sul Titano questa situazione eccezionale? Perché nella comunità del Titano, diversamente da altrove, coesistono – ed in modo permanente – entrambe le Libertas?
Gli studiosi che finora si sono occupati di storia sammarinese, una loro spiegazione ancora non l’hanno data. Né, in pratica, hanno dato credito a quella fornita dai sammarinesi stessi, cioè da coloro che quella storia l’hanno fatta. Già perché per i sammarinesi non c’è dubbio: al Santo Marino va il merito e dell’una e dell’altra Libertas. I sammarinesi lo hanno scritto a chiare lettere – anzi a lettere cubitali – sul frontale della loro chiesa principale: Divo Marino Patrono et Libertatis Auctori.
E non si tratta di una scritta recente. La chiesa attuale è stata costruita, con quel frontale e quella scritta, dopo il 1825. Ma la scritta è sicuramente più antica: figurava già sulla porta della chiesa precedente, come ci informa Melchiorre Delfico che, nel 1804, la vide e ne sottolineò l’importanza giudicandola senza esempio fra le iscrizioni cristiane.
L’attribuzione, dunque, del merito della Libertas al Santo potrebbe essere l’espressione di una credenza presente da tempo nella comunità sammarinese. Nel caso se ne dovrebbero trovare tracce nei documenti della storia.
Partendo da questa ipotesi si è andati a verificare se effettivamente i sammarinesi lungo il corso della storia hanno attribuito al Santo Marino il duplice ruolo di Auctor e Protector sia della Libertas externa (indipendenza) che della Libertas domestica (democrazia), cioè di quella Libertas poi divenuta nota al mondo intero col nome di Repubblica.

Libertas externa Protector

Eccezionale intervento del Santo
Il ruolo del Santo Marino quale Protector della Libertas externa è provato inequivocabilmente, secondo i sammarinesi, da quanto accaduto la sera delli 3 Giugno 1543. Ben 500 soldati mossero all’improvviso sul far della notte da Rimino all’assalto del Titano. Altri partirono da Savignano. Contavano sull’effetto sorpresa. Un’improvvisa Nebbia fece perdere l’orientamento ad una delle due colonne. Così che il previsto loro congiungimento subì un ritardo. Un ritardo grave. Alle prime luci dell’alba gli assalitori, essendo ancor lontani, e sentito farsi dalla Rocca della Terra segno di guardia con la campana non osorrono d’inoltrarsi all’impresa. E ripiegarono verso Rimini.
Perché oltre mezzo migliaio di soldati – soldati di professione – hanno bisogno dell’effetto sorpresa per avere la meglio su un paesino che, dentro le mura, conta non più di 300 anime? Al suono della campana della Guaita accorrono sugli spalti dai vari luoghi del ‘distretto vecchio’ della Repubblica tutti gli uomini in grado, per così dire, di reggersi in piedi. Sufficienti comunque per organizzare una buona difesa e dare modo agli uomini del Montefeltro (territorio del ducato d’Urbino, alleato della Repubblica) di accorrere in loro aiuto.
Il Santo, ordinariamente, esplica la sua protezione infondendo coraggio ai sammarinesi quando devono imbracciare le armi e illuminando le loro menti quando devono affrontare le insidie della politica. Questa volta c’è voluto qualcosa di più: un intervento diretto.
L’attacco contro i sammarinesi havrebbe sortito esito funesto se la Prottettione di Marino, vegliando nel loro sonno, non havesse preparato al pié nemico quel nebbioso labirinto. Tutti gli abitanti dentro le mura sarebbero stati passati a fil di spada, per far posto ad una colonia di fuorusciti fiorentini.
L’impresa era stata finanziata dalla famiglia Strozzi, cacciata da Firenze dai Medici dopo un fallito tentativo di ripristinare la repubblica. Il comando era stato affidato a un giovane capitano, Fabiano Di Monte, nipote del card. Gian Maria Di Monte, legato di Romagna. I soldati erano stati reclutati in gran parte in Romagna, con partenza da Bologna, ove si trovava, in quei giorni, anche il papa Paolo III, in procinto di incontrare l’imperatore Carlo V a Busseto.
Il papa Paolo III Farnese non poteva non essere stato informato della spedizione. Anzi la spedizione non avrebbe potuto nemmeno essere progettata senza il suo consenso.

Un attacco vero di forze soverchianti
Perché Paolo III autorizza o promuove l’attacco a San Marino? Anzitutto per un interesse immediato, spicciolo. Piero Strozzi, banchiere e imprenditore militare, oltre a finanziare l’impresa, si era impegnato a sborsare 10 mila ducati al papa per un diploma di investitura che avrebbe fatto del Titano un suo feudo.
Inoltre Paolo III, un Farnese, aveva un interesse familiare. Una colonia di fuorusciti fiorentini sul Titano sarebbe stata una spina nel fianco per il duca di Firenze Cosimo, della famiglia dei Medici, nemica dei Farnese.
Infine Paolo III, abbattendo l’autonomia sammarinese, risolveva una anomalia che gli stava creando non pochi grattacapi: quei montanari si rifiutavano di pagare i tributi. Un vezzo che andava subito stroncato, perché altamente contagioso. In particolare i sammarinesi avevano avuto la improntitudine di rifiutarsi di pagare il sovrapprezzo sul sale, da lui imposto a tutti i sudditi dello Stato della Chiesa per fronteggiare, fra l’altro, la minaccia dei Turchi.
I territori dello Stato della Chiesa per mesi e mesi erano stati in fibrillazione per quel tributo, onerosissimo. C’erano state perfino ribellioni. Paolo III aveva dovuto allestire eserciti di migliaia di soldati per averla di vinta sui propri sudditi ed impedire il dissolvimento del suo Stato. Come poteva consentire a un luogo dello Stato della Chiesa di non pagare il sovrapprezzo sul sale quando contro Perugia, che ne chiedeva l’esenzione in base a un antico autentico specifico privilegio, aveva fatto una guerra? Una guerra, per la stessa ragione, aveva fatto anche contro un feudatario potente e grintoso come il filoimperiale Ascanio Colonna, che disponeva di tanti luoghi fortificati pericolosamente vicini alla città di Roma.
Perugia ed Ascanio Colonna, sconfitti, avevano dovuto arrendersi, accettare l’imposizione.
Non c’è da meravigliarsi quindi se Paolo III mette in campo i soldati per piegare la resistenza dei sammarinesi come aveva fatto, appunto, con Perugia e con Ascanio Colonna. Questa volta però gli va male. I sammarinesi hanno sfoderato un Protettore ben più affidabile dell’imperatore Carlo V, nel cui intervento Perugia e Ascanio Colonna avevano invano confidato.
La notizia del tentativo di rubare San Marino ha risonanza a livello europeo in quanto è notorio che dietro Piero Strozzi quasi sempre c’è il re di Francia in lotta perenne con l’imperatore. E con la notizia del fallimento si diffonde pure quella della causa del fallimento: la singolare protezione di cui il Titano gode. Una protezione che è impossibile agli umani sperare di eludere.
Così che dopo il 3 giugno 1543 a difendere il Titano dai malintenzionati c’è la credenza che investire risorse per organizzare un attacco contro la Repubblica di San Marino, è troppo rischioso. C’è dell’imponderabile. Ci si potrebbe trovare davanti un Santo! Chi è così temerario da mettersi contro un Santo?
I sammarinesi, ovviamente, non fanno nulla per smorzare la credenza che si va diffondendo. Anzi, non perdono occasione per rafforzarla, quella credenza, con tutti i mezzi di cui possono disporre: parole, scritti, pitture. Con somma ragione – essi sostengono – per espressiva del sostegno del suo Patrocinio in tutte l’Antiche, e moderne Pitture il Santo Marino vien rappresentato con la sua Montuosa Republica in braccio.
In braccio al Santo – fanno sapere all’universo mondo i sammarinesi – la loro Repubblica non hà corso infortunio di vicende Terrene; e pure non sono mancate l’insidie, e le violenze de Potenti per rapirgli l’honore della sua Indipendenza (Tesoro così prezioso).
La vigilanza di Marino
ha fatti cader vani gli attentati finora perpetrati contro la Repubblica, scrivono i sammarinesi in un testo destinato ad essere pubblicato su un libro a diffusione mondiale, gli Acta Sanctorum dei Bollandisti, stampato in Belgio (Anversa). Ecco perché la loro Repubblica si è salvata da ogni tentativo di assoggettarla dall’esterno. Ecco perché essi mai scossi da urto straniero, sostengono ancor’oggi [1661] intatto il pregio dell’Antica Libertà.
Insomma, ad avviso dei sammarinesi, è grazie a tale protezione se la più povera sì, mà la più antica Repubblica che sia hoggi in Italia si sia conservata vergine, e in tante rivolutioni del Mondo, e dell’Italia in particolare non sia stata violata, ò toccata da altra terrena dominatione, ò Principato.

Libertas externa Auctor

Nemini teneri
Il ruolo del Santo Marino quale Auctor della Libertas externa, affiora – per la prima volta? – nel 1296.
Il 9 luglio 1296 a Valle Sant’Anastasio, una località a due passi dal Titano, si celebra un processo contro la comunità, chiamata in giudizio perché si rifiuta di pagare certi tributi. Il giudice ne chiede la motivazione. Si presentano una ventina di sammarinesi. Avete un privilegio dell’imperatore? No. Avete un privilegio del papa? No. Rispondono, quasi tutti, essere il loro luogo libero ed esente da qualsiasi tributo a seguito della concessione fatta al Santo Marino – e agli abitanti del Titano – da donna Felicissima quand’Egli, il Santo, venne dalla Dalmazia (castrum liberum et absolutum per privilegium concessum Beato Marino… et omnibus volentibus habitare in dicto Castro… a Sancta Felicissima a tempore quo venit de Dalmatia).
La testimonianza resa dai sammarinesi richiama alla memoria gli antichi testi che riportano la Vita e gli Atti del Santo (Vita Sancti Marini) e in particolare il passo in cui è detto che donna Felicissima ha fatto dono del Monte, con le immediate adiacenze, al Santo e ai suoi successori (non solum montem tibi dabimus, sed omnia confinia et promunctoria, que sub montibus sunt, tibi et successoribus tuis perpetua possessione concedimus).
Dal verbale del processo di Valle Sant’Anastasio apprendiamo che nel 1296 i sammarinesi danno una interpretazione piuttosto estensiva della donazione di Felicissima. Il Santo, nell’occasione, avrebbe acquisito da donna Felicissima non solo il possesso del Monte, ma anche il diritto di giurisdizione, cioè l’autonomia politica, ovvero la non soggezione ad autorità esterne. Per cui essi, eredi del Santo, quindi titolari legittimi di quel diritto, non sono tenuti a pagare lo specifico tributo per il quale sono stati citati in giudizio, in quanto esenti da qualsiasi tributo decretato da autorità esterne. Infatti alla domanda del giudice Quid est libertas? essi rispondono: nemini teneri, cioè non aver obblighi verso nessuno, nisi Domino Nostro Jesu Christo.

Un convincimento profondo e reale
Quanto dichiarato dai sammarinesi a Valle Sant’Anastasio in merito al Santo non è un marchingegno furbesco escogitato al momento per superare la contingenza. Cioè per non pagare quello specifico tributo.
I sammarinesi sono realmente convinti che il Santo Marino li abbia resi liberi da ogni vincolo esterno. Ne parlano non solo nelle aule dei tribunali, ma anche tra di loro, usualmente, correntemente, normalmente. La nostra libertà è durada già 1200 anni per li meriti del nostro sancto, scrive Marino Calcigni nel 1456 in una lettera da Urbino per stimolare i suoi concittadini a fare certe scelte politiche.
Un’altra prova che dietro alle testimonianze di Valle Sant’Anastasio c’è un convincimento reale, si ha nel fatto che, quel loro convincimento, i sammarinesi hanno il coraggio di andare a sostenerlo di persona addirittura a Roma, davanti ai temibili, sospettosi, smaliziati papi del Rinascimento. E proprio negli anni in cui i papi hanno i nervi a fior di pelle a causa dell’esplosione del protestantesimo che ha creato un clima pesantemente antiromano e antipapale. Anzi proprio negli anni in cui i papi stanno decidendo di passare al contrattacco gettando le basi della cosiddetta controriforma e, anche, dando più spazio e mezzi al tribunale dell’inquisizione.
L’occasione per far conoscere a Roma quel loro convincimento è creata dal sovrapprezzo sul sale che Paolo III ha imposto a tutti i sudditi dello Stato della Chiesa nel 1539. I sammarinesi non hanno un privilegio da produrre a sostegno della loro richiesta di esenzione, come altre comunità. Agli – allibiti – legulei della curia romana si limitano ad esporre che essi non devono pagarlo quel tributo perché sono liberi da tutti i tributi per i meriti del loro Santo: pur abitando un luogo sito geograficamente dentro lo Stato della Chiesa, politicamente non ne fanno parte. Loro non sono sudditi del papa.
A Valle Sant’Anastasio l’esenzione totale dai tributi alla comunità sammarinese venne riconosciuta dal giudice di quel tribunale con la formula nemini teneri, ‘non aver obblighi verso nessuno’. Ora, a Roma, la comunità sammarinese si presenta come superiorem non recognoscens, e chiede che sia il papa stesso a firmare un documento, breve o bolla, in cui figuri questa formula. Insomma pretende che venga riconosciuto ufficialmente che essa non ha per superiore … ne Papa, ne Imperatore. Come dire che, in ambito politico, ha diritto di venire immediate da Dio!
Di fronte a una richiesta tanto avventata poco a poco le porte si chiudono una dopo l’altra davanti ai rappresentanti sammarinesi, a Roma. E, negli ambienti della curia, prende piede la convinzione della necessità di metter mano a un progetto che porti alla eliminazione dell’anomalia che si è creata su quel monte. Il progetto è messo in atto nella notte del 3 giugno 1543. Ma nonostante l’attenta preparazione ed uno sproporzionato dispiegamento di mezzi, per ragioni umanamente inspiegabili, l’impresa fallisce.
Il Santo Marino salva letteralmente i sammarinesi dai soldati di Paolo III, poi li guida nei meandri della curia romana finché lo stesso Paolo III firma un breve col quale riconosce che essi effettivamente ‘non hanno superiore’: ab immemorabili tempore… semper fuisse in possessione … neminem Superiorem in temporalibus recognoscendi.
Dunque da Paolo III, un Farnese, i sammarinesi ottengono a Roma a metà Cinquecento il riconoscimento della Libertas externa, come già era avvenuto a Valle Sant’Anastasio alla fine del Duecento. In nome del Santo Marino.

Viva il nostro Prencipe
Il Santo Marino è colui che ha dato origine, principio, nome e fama à questa terra n.ra et di più co’ li suoi prieghi apresso il grande Iddio, lha sempre diffesa et protetta da ogni potentia humana mantenendola nella sua antichissima libertà, si legge negli atti del Consiglio del 10 agosto del 1586. Ai primi di maggio di quello stesso anno, ha avuto luogo la ricognizione delle reliquie del Santo. Reliquie che il 3 settembre, festa del Santo, sono portate in processione per la Terra, come per una rinnovata presa di possesso del luogo. Il suo luogo.
Il Santo, dal 1586, assume via via più marcatamente i connotati del signore, del padrone del luogo. Quando vengono promulgati nuovi Statuti (nell’anno 1600), sul frontespizio (al posto del signore del luogo o dell’autorità pontificia che li ha ‘confermati’) c’è l’effigie del Santo Marino che sorregge con entrambe le mani la sua Terra.
Nel 1602 le Ossa della Testa del Santo vengono riposte in un semibusto d’argento.
Nel 1629 si procede all’incoronazione del semibusto. Il cerimoniale prevede che, posta dal vescovo la corona in capo al Santo e coronato, tutti si prosternino ginocchioni, e si dia nelle trombe, tamburi, campane, e si spari da ogni paese e gridi, et acclami da ogn’uno Viva il nostro S. Marino, Viva il Padrone S. Marino, Viva il Prencipe S. Marino. Perché tanto clamore? L’eco della incoronazione deve arrivare fino a Roma.
Il duca d’Urbino, Francesco Maria II Della Rovere, andava spegnendosi. Senza figli. I luoghi del ducato stavano già passando, uno dopo l’altro, sotto il dominio diretto della Santa Sede. I sammarinesi, da secoli alleati di Urbino, in quel frangente, avevano un assoluto bisogno di distinguersi dai luoghi del ducato. Cioè di prendere le distanze dalla famiglia principesca di Urbino. Di far sapere che il Titano era territorio di altro Principe: il Santo Marino.
Chi, in epoca di controriforma, oserà togliere quella corona dal capo di un Santo? A meno che il Marino venerato sul Titano come Santo non sia Santo. Già perché il Marino del Titano non è nell’elenco dei Santi per i quali si ha il riscontro di una formale canonizzazione. Proprio in quegli anni sotto il Pontificato di Urbano VIII stava arrivando ad una prima conclusione, sotto la vigilanza della Inquisizione, il processo di sistemazione delle norme in materia di beatificazione e canonizzazione avviato da Sisto V. I sammarinesi, nel timore che la strada del riconoscimento formale per il loro Santo potesse diventare più difficoltosa, in tutta fretta avevano fatto eseguire un sopralluogo – accesso giuridico – da parte dell’ordinario diocesano perché certificasse l’esistenza del culto e l’antichità del culto in onore di Marino sul Titano, in tutte le principali espressioni: festività, preghiere, canti. Per ogni fase dell’accesso giuridico i notai avevano stilato un atto specifico. Questi atti costituiranno la base della documentazione necessaria per tentare di far inserire il Santo Marino fra i Santi ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa, attraverso la procedura della ‘canonizzazione equipollente’. Il riconoscimento formale della Santità di Marino viaggerà, per alcuni secoli, in parallelo con quello della piena autonomia del luogo.

Dell’origine, et governo della Republica
L’autonomia della comunità del Titano corre un rischio evidentissimo ed oggettivo nel 1631 quando muore a Urbino il principe Della Rovere e scompare, con lui, il ducato d’Urbino. Tuttavia non ne risente. Per tempo i sammarinesi hanno fatto sapere anche a Roma che il Titano è territorio di altro Principe, il Santo Marino. Roma ne tiene conto, nonostante i malevoli suggerimenti di Verucchio che propone al papa (Urbano VIII, un Barberini!) di unire il Titano allo stesso Verucchio e ad alcune altre piccole autonomie viciniori per farne un bel feudo di cui investire – udite! udite! – un nipote dello stesso papa!
Per la Repubblica però i pericoli non cessano del tutto. Già è un elemento di rischio, in quel mondo dominato dall’assolutismo, il nome stesso di Repubblica: privilegium maximum …, Principibus invisum ob cupiditatem dominandi cuncta.
La piccola autonomia sammarinese senza più alle spalle una famiglia potente come i Montefeltro o i Della Rovere, è vista come un boccone facile dai viciniori cui subito si è risvegliato l’appetito. Il vescovo di Pennabilli vorrebbe riacquisire le prerogative del vescovo-conte nella sua diocesi, Titano compreso, sottrattegli dai Montefeltro già all’inizio della loro ascesa. Rimini vorrebbe estendere la sua amministrazione municipale verso l’Appennino, Titano compreso, come ai tempi gloriosi dei Malatesta. Pure la Legazione di Romagna con a capo Ravenna guarda da questa parte sulla base di antichi documenti anteriori al Mille, quando il primato del vescovo di Roma non si era ancora pienamente affermato sugli altri vescovi, in particolare su quello di Ravenna, una città-capitale.
Osserva, preoccupato, un sammarinese: hora è una stagione che i famelici e sitibondi hanno gran sete et apetito alla giurisditione e stati altrui, e vanno perciò procurando che si veda se si trova alcun pelo nell’ovo. E lancia il suo anatema: Piaccia al cielo che più tosto si muoiano a digiuno, che di saturarsi in questa parte vedano i giorni loro!
Qualche leguleio, specializzato nella ricerca del pelo nell’ovo, potrebbe mettersi a sondare la consistenza dei fondamenti giuridici della autonomia sammarinese come terra mediate subiecta. I sammarinesi corrono ai ripari. Attraverso una dotta e appropriata dissertazione storico-giuridica fanno conoscere l’origine della loro autonomia. La Matrona idolatra che possedeva questo Monte non solo come suo bene lodiale, ma come feudo, imperoché era Signora di giurisdizione, ne fece libero dono a Marino che, nel punto della sua morte, lo lasciò in libertà … agli habitatori. Gli habitatori… posero l’‘hereditaria libertà’ in Stato di Republica, assegnando il potere di governo all’assemblea dei capi famiglia (Renga), che poi lo delegherà al Consiglio. Per cui sul Titano il Consiglio è legittimato a governare così come nelle altre autonomie è legittimato a governare il feudatario che abbia ricevuto la investitura da un papa o da un imperatore. Il Consiglio ha ricevuto il potere di governo dall’Arengo che l’ha ricevuto dal Santo, il quale l’ha guadagnato coi suoi meriti e presso Dio e presso gli uomini.
Nella Vita del Santo (la prima in lingua volgare di carattere moderno) confezionata nel 1661 da due giuristi sammarinesi, si legge: San Marino Eremita … dié l’essere alla Republica di questo nome, la quale conserva le sue preziose spoglie, … come pegno di Protettione … con ossequiosa diligenza nella Chiesa Maggiore dedicata al medesimo Santo sotto le chiavi raccomandate alla Custodia degli Ill.mi Capitani, che sono il supremo Magistrato di essa. La Vita è pienamente convalidata (plenam fidem facimus et verbo veritatis attestamur, retroscriptam narrationem gestorum divi Marini), da Bernardino Scala, vescovo del Montefeltro (Dei et S. Sedis Apostolicae gratia episcopus Feretranus).
Insomma la Vita del Santo confezionata nel 1661 – dentro uno Stato singolare come lo Stato della Chiesa che ha al vertice un uomo che è al contempo monarca e sommo Pontefice – può, secondo i sammarinesi, fornire una base di legittimazione alla loro autonomia. Una base necessaria e sufficiente. La Vita del suo Santo per l’autonomia sammarinese equivale al diploma di investitura per un feudo.
Vista da Roma la Repubblica di San Marino non è che una delle tante piccole autonomie (terrae mediate subiectae) di cui è punteggiato lo Stato della Chiesa, uno Stato disarticolato al suo interno più di qualsiasi altro. E non ha un’origine e una storia meno documentate di quelle di tante altre autonomie che pure i papi hanno lasciato sopravvivere. E continuano a lasciar sopravvivere nel Seicento.

Relinquo vos liberos utroque homine
Agli inizi del Settecento si profila per molte autonomie come la Repubblica di San Marino, anche se interne allo Stato della Chiesa, una minaccia nuova. Proviene dall’esterno. E’ conseguenza dell’arrivo in Italia degli Asburgo di Vienna.
Gli Asburgo, intenzionati a espandere i loro domini nella penisola italiana, rivendicano a sé, in quanto titolari della corona imperiale, i feudi che nel corso dei secoli hanno comunque ricevuto una investitura imperiale. In qualunque Stato quei feudi siano finiti a seguito delle mutazioni nella cartina politica apportate dalla storia. In particolare gli Asburgo rivendicano a sé molti siti dello Stato della Chiesa, essendosi questo Stato formato per l’aggregazione di territori lungamente contesi, nel Medioevo, fra papa e imperatore.
Dentro i territori dello Stato della Chiesa, nella prima metà del Settecento, sembra che il tempo sia tornato al Medioevo. Praticamente ogni luogo è, di fatto, costretto a ripensare alla sua storia, per verificare se alla base del suo attuale status c’è un atto del papa o dell’imperatore.
I sammarinesi hanno bisogno di far sapere che il loro luogo non è ascrivibile nell’elenco né dell’uno né dell’altro dei due contendenti perché il suo status deriva da una terza fonte, il suo Santo. Si servono di un libro di grande diffusione, l’Italia Sacra. In esso pubblicano, nel 1717, una Vita Sancti Marini che, pur brevissima, mette ben in rilievo gli elementi politici che fanno alla bisogna: la donazione del Monte al Santo ed il testamento del Santo. Il Santo si accomiatò dagli abitanti del Titano per raggiungere la Patria Celeste con queste parole: Filii, relinquo vos liberos utroque homine.
Dunque i sammarinesi non sono soggetti né all’autorità del papa né a quella dell’imperatore, perché liberi e dall’uno e dall’altro li ha lasciati il loro Santo. Il messaggio politico ai due fronti contrapposti è inviato attraverso il testo del testamento del Santo sintetizzato in una espressione, praticamente un motto, di evidente, strettissima attualità.

Il motto, relinquo vos liberos utroque homine, nasce dunque nella prima metà del Settecento in un periodo di grande conflittualità fra papa ed imperatore, per difendersi e dall’uno e dall’altro, per prendere le distanze e dall’uno e dall’altro. Continuerà però ad essere diffuso dai sammarinesi come base del loro diritto alla piena autonomia anche nella seconda metà del Settecento quando quel conflitto ormai si è esaurito, ed i pericoli per l’autonomia sammarinese tornano a venire da una parte sola, quella papale. Diventa il manifesto politico con cui rivendicare la indipendenza nei confronti dello Stato della Chiesa di cui la Repubblica è enclave.
Assunta ormai la valenza politica di una rivendicazione di piena indipendenza, il motto continua ad essere diffuso dai sammarinesi anche quando la Repubblica finisce enclave del nuovo Stato italiano nato dal Risorgimento. A consacrarlo solennemente e definitivamente in questo ruolo è Giosuè Carducci, il Vate del Risorgimento, col suo discorso tenuto sul Titano nel 1894, in occasione dell’inaugurazione del nuovo Palazzo Pubblico.
Lo pronuncia, quel discorso, Carducci, nella sala del Consiglio sotto lo sguardo di un Santo Marino che giganteggia al centro di un quadro che occupa una intera parete – la sala sembra una chiesa! – con in mano un libro aperto ove si legge appunto il motto: Filii, relinquo vos liberos utroque homine.
L’uso del motto come rivendicazione del diritto della Repubblica alla piena indipendenza continuerà – incredibilmente! – anche dopo. Anche nel Novecento. Ad esempio durante il ventennio fascista, quando par venire alla Repubblica un qualche pericolo dai circoli nazionalistici della zone viciniori, il leader del fascismo sammarinese, Giuliano Gozi, afferma pubblicamente e scrive e riscrive: San Marino ha il … sacrosanto diritto … a essere libero ab utroque homine
. E gli fa eco, in questo, il suo avversario politico, il socialista Pietro Franciosi, che parla di una Repubblica del fondatore operaio che volle lasciarla libera ab utroque homine
.
In conclusione, la Libertas externa di cui i sammarinesi dicono di aver sempre goduto, si basa, a detta degli stessi sammarinesi, sul Santo ed in nome del Santo viene rivendicata, almeno dal 1296. Cambia, lungo i secoli, l’espressione con cui essa è rivendicata: nemini teneri, poi neminem superiorem recognoscens, infine relinquo vos liberos utroque homine.
Il 2 marzo 1992 il lungo cammino della comunità del Titano verso il riconoscimento del suo diritto alla piena indipendenza iniziato all’ombra del Sacello del Santo, nell’antico Medioevo Cristiano, raggiunge il traguardo massimo a tutt’oggi concepibile: la Repubblica di San Marino entra nell’ONU, accolta dall’Assemblea Generale per acclamazione.

Libertas domestica Auctor

Al governo, homini civili e i rustici
Il ruolo del Santo Marino quale Auctor della Libertas domestica è messo ben in evidenza da Matteo Valli nell’opuscolo Dell’origine, et governo della Republica di San Marino, pubblicato nel 1633.
Il Santo, scrive Valli, quand’era in vita tenne come fratelli, non come sudditi gli habitatori del Titano. Cioè si fece uguale fra uguali. Proprio per instillare nella comunità i principi della uguaglianza. Per educare all’uguaglianza. E, in punto di morte, a coronamento del suo insegnamento e del suo esempio, nel lasciare in eredità agli habitatori del Titano la Libertas externa, impose loro un vincolo: che essi ne usufruissero e ne godessero i frutti comunemente.
Gli habitatori del Titano, diedero esecuzione alla volontà testamentaria – continua Valli – ponendo la comunità in Stato di Repubblica. Questo fu il modo scelto per rendere pubblica, e comune à tutti l’heredità.
Nella repubblica sammarinese tanto gli homini civili che quanto i rustici senza distintione e differenza alcuna, hanno parte nel governo e nell’amministrazione delle cose pubbliche, perché di tutti i capi delle Case, tanto de gli uni quanto de gli altri, si forma una unica Assemblea, Arengo, di cui il governo è la emanazione.
Valli ritiene che il sistema sammarinese, creato in esecuzione delle volontà testamentarie del Santo, possa chiamarsi Democratia. A suo dire dentro i termini del giusto, e dell’equità ciascuno, nella comunità sammarinese, può far ciò che li piace. Arriva, addirittura, ad affermare che si gode in questa Repubblica quella libertà immaginata, sognata dal filosofo greco Aristotele.
I sammarinesi sono consci di far parte di una comunità diversa dalle altre. E sono consci che la diversità sta in quella Libertas domestica che fa della loro una patria libera. Dice Giuliano Corbelli ai suoi concittadini: se da tutti si deve per istinto naturale amare la patria e per quella accadendo esponere la propria vita, tanto maggiormente con più prontezza di cuore si deve fare da quelli che son nati in patria libera e commo per privilegio, conseguano da Dio quel preziosissimo dono de la libertà, commo siamo noi che, oltra tutti li altri et con meraviglia di ciascuno, ottenemo quel dolce tittolo di Repubblica.
I sammarinesi, per il fatto che hanno la eccezionale fortuna di vivere in patria libera, e quindi di non essere sottoposti, all’interno della loro comunità, alle angherie di un potere arbitrario, nei secoli dell’assolutismo vengono paragonati – i singoli sammarinesi – vengono paragonati, dai loro contemporanei, ai principi. Anzi ai re …, potendosi quelli soli dir veramente principi, che non ubbediscono ad alcuno. Già perché vero prencipe è chi, come il singolo sammarinese, non ha nessuno sopra di sé. Non già chi sotto l’altrui signoria comanda vili vassalli, come è proprio dei feudatari.

Una patria senza grandi disparità
L’Arengo, che è l’espressione prima della Libertas domestica, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, quando tutto il mondo della politica subisce una involuzione in senso assolutistico, l’Arengo, nella comunità sammarinese, sarà sostituito da un Consiglio, che comincerà a rinnovarsi per cooptazione. Per osmosi del mondo circostante, anche nella comunità sammarinese farà la sua comparsa la nobiltà. Tuttavia né la sospensione delle convocazioni dell’Arengo né la presenza della nobiltà stravolgono l’impianto strutturale originario della comunità, sostanzialmente egualitario.
Il potere di governo a San Marino non finisce mai, come invece avviene nelle comunità limitrofe, nella mani di uno solo né in quelle di un gruppo di nobili preoccupati solo di perpetuare se stessi. I nobili sammarinesi, diversamente da altrove, si dedicano oltre che al governo dello Stato, anche all’esercizio dei mestieri intellettuali necessari alla collettività. In sostanza è la cultura l’elemento che legittima il potere della nobiltà sammarinese rispetto al resto della popolazione. Diversamente da altrove a San Marino i nobili assieme non arriveranno a possedere più del 36% della terra. Gran parte della terra rimane in mano alla gente comune. Pressoché tutte le famiglie sammarinesi sono a catasto e pertanto proprietarie di una qualche estensione di terra. In ogni caso il rapporto 1:4 tra proprietari e abitanti è dei più alti in assoluto.
La frammentazione delle proprietà è una salvaguardia delle istituzioni. Già perché in una Repubblica sono ugualmente pericolose l’eccessiva povertà e le soverchie ricchezze.

Libertas domestica Protector

Una vigilanza totale
Il ruolo del Santo quale Protector della Libertas domestica, secondo i sammarinesi, si svolge in modo continuo e rigoroso su tutto l’arco della loro storia.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Il 1° aprile 2001 la campana della Guaita ha chiamato ancora una volta i sammarinesi a partecipare alla cerimonia di insediamento dei nuovi Capitani Reggenti, le LL. EE. Luigi Lonfernini e Fabio Berardi. I due nuovi Capitani Reggenti hanno ricevuto i pieni poteri dai due loro predecessori, i quali li avevano ricevuti a loro volta dai due loro predecessori il 1° ottobre 2000 e questi a loro volta dai due loro predecessori il 1° aprile 2000 e così a ritroso di sei mesi in sei mesi fin dal 1243, quando sappiamo essere consules Filippo da Sterpeto e Oddone Scarito.
Almeno 1500 volte nell’arco di oltre sette secoli si è ripetuta la cerimonia della consegna dei pieni poteri identica, nella sostanza, a quella del 1° aprile 2001. Almeno 2500 persone diverse si sono avvicendate puntualmente ogni sei mesi sul trono del potere. A due a due. Mai è capitato che uno infilzasse il coltello nella pancia dell’altro per prendersi da solo tutto il potere, per fare della Guaita un suo privato castello. Qui sul Titano niun capitano fu mai traditore, né alcun capitano o privato che tentasse mai farsi tiranno.
E’ avvenuto qualcosa di simile in qualche altro angolo d’Italia o d’Europa?
Il Santo impedisce ai singoli sammarinesi di qualsiasi tempo non solo di realizzare un qualche progetto di ‘signorizzazione’, ma anche solo di concepirlo. Li tiene sotto stretta e continua vigilanza attraverso le loro stesse coscienze. Esiste un modo più efficace e sicuro per far rispettare una norma?
Quella del Santo sulla Libertas domestica è una vigilanza che assicura una protezione totale. Ogni sammarinese ha saputo e sa che anche il solo pensiero di appropriarsi di tutto il potere equivale ad una sfida, una sfida diretta lanciata al Santo. Troppo pericoloso. Si muore. Letteralmente. È risaputo che quando un membro della comunità si lascia prendere dalla cupidigia del potere, poco dopo muore e senza che si riesca a capirne la causa. Ed ha pure vita breve chiunque, nella comunità, turbi la pacifica convivenza (usu probatum est, ut quoties flagitiosus animus, seu dominandi cupido irrepsit in eiusdem libertatis civem, toties occulta causa brevi spatio civis ille perierit. Addunt etiam nec inibi diu vivere quietis turbatores).
In conclusione, il Santo Marino controlla i singoli sammarinesi attraverso le loro stesse coscienze affinché la Libertas externa, lasciata in eredità come bene comune, non finisca nelle mani di uno solo.
Così il Santo Marino protegge e salva la Libertas domestica della sua comunità.

Conclusione

I sammarinesi devono all’alto patrocinio del Santo Marino (miro Divi Marini patrocinio libertatis eiusdem Titularis) se la Libertas di cui godono si è sempre salvata dai pericoli sia interni che esterni (tam a domisticis quam ab externis insidiis servata … semper fuit). Al Santo essi devono tanto la Libertas externa (indipendenza) che la Libertas domestica (democrazia). Al Santo Marino, in conclusione, devono la Libertas tout court, un termine che sintetizza le migliori condizioni di vita che una comunità umana sappia garantire ai suoi membri.
Il Santo Marino occupa un posto di primo piano anche visivamente nella comunità del Titano. His Statue stands over the high Altar, ha osservato, sorpreso, l’inglese Addison nei primi anni del Settecento, quando visitò la Pieve.
Il rapporto fra i sammarinesi e il loro Santo sembra a volte scivolare quasi verso la idolatria, tanto è intenso.
Agli inizi del Seicento il Consiglio decide di erigere una nuova statua del Santo e ne affida la realizzazione a uno scalpellino di Urbino. Si vuole un Santo che tenghi sopra tutte doi le mani il Monte conforme a tutte le pitture antiche osservate in questa Terra. Lo scalpellino fa sapere che per carestia di pietra preferiva non poterlo fare senza aggiunti et pezzi incollati. Il Consiglio è irremovibile. No. Il Santo deve essere un tutt’uno, corpo-braccia-mani-monte. Tutto un pezzo. Lo scalpellino … cavi un altro sasso per fare detta statua acciò sia fatta con il monte sopra tutte doi le mani, senza soluzione di continuità.
La comunità sammarinese si distingue dalle altre fin dal Medioevo per la sua Libertas. E questa va ascritta, ad avviso degli stessi sammarinesi, al Santo Marino. In sostanza è il legame col Santo che caratterizza propriamente questa del Titano nell’universo delle comunità. Dice Machiavelli: Tutti gli stati, tutti e’ dominii… sono stati e sono o republiche o principati. Invece sul Titano, eccezionalmente, è stata realizzata una Repubblica che è al contempo un Principato: Principe, un Santo. Il Santo Marino.

***
La Libertas medioevale, nelle sue due accezioni, che abbiamo etichettato Libertas externa come indipendenza e Libertas domestica come democrazia, è stata tradotta poi in Repubblica. Traduzione fondata ed attuale, come ci dice Spadolini: L’idea di repubblica si definisce come identità fra le idee di libertà sul piano interno e l’idea di indipendenza sul piano esterno.
Corretta perciò l’invocazione ormai usuale: San Marino, Fondatore e Protettore della Repubblica.

Marino Cecchetti

Riproduzione riservata

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