Capitani Reggenti Gian Franco Terenzi e Guerrino Zanotti. Discorso oratore ufficiale, Pierbattista Pizzaballa

Capitani Reggenti Gian Franco Terenzi e Guerrino Zanotti. Discorso oratore ufficiale, Pierbattista Pizzaballa

Eccellentissimi Capitani Reggenti,
Signori Segretari di Stato,
Eccellenze,
Illustri Invitati,
Signore e Signori,
sono particolarmente onorato e colpito per l’invito a presentare in questa sede così prestigiosa l’orazione ufficiale in occasione dell’insediamento dei nuovi Capitani Reggenti. Certo non capiterà spesso di avere un religioso in un’occasione come questa. A questo proposito, ricordo con piacere la mia visita ufficiale di qualche anno fa, nel 2007, sempre in questo luogo, carico di storia e di tradizioni. Ritrovarmi qui nuovamente, dopo diversi anni, attesta la costante attenzione della Repubblica di San Marino ai temi internazionali legati al dialogo inter-religioso, alla solidarietà tra i popoli, al rispetto e alla tolleranza. Temi, questi, che non sono più argomento di discussione per specialisti, ma attualità quotidiana anche per le società occidentali, che stanno diventando sempre più plurireligiose e pluriculturali.
La presenza in questa sede e in questa occasione, inoltre, di un francescano di Terra Santa vuole essere un modo concreto e tangibile di unione, interesse, vicinanza e solidarietà da parte dell’antica Repubblica di San Marino con una parte del mondo, il Medio Oriente, che è oggi al centro dell’attenzione dei media di tutto il mondo, ma soprattutto fonte di apprensione e preoccupazione per tutti.
Cosa accade lo vediamo ogni giorno. È drammatico e sconvolgente vedere come la barbarie operata dall’ISIS e dai suoi satelliti e imitatori, rivestita da valori apparentemente religiosi, possa uccidere e travolgere i più elementari diritti di persone, di popoli interi, di credenti differenti, delle differenze in generale, insomma. Differenze rispetto a sé.
Come ho avuto occasione di affermare anche in altre sedi, l’atroce lotta di potere in corso nel Medio Oriente sta cambiando la sua compagine dal punto di vista politico e religioso ma, soprattutto, sta correndo il rischio distruggere per sempre un patrimonio unico di tradizioni, relazioni, intrecci culturali che per secoli hanno caratterizzato quella parte di mondo. È dovere di tutti fermare questa tragedia, poiché tutti siamo coinvolti.
Il destino di popoli e nazioni, di fedi e culture, infatti, ora minacciato da questa drammatica guerra, ci deve interessare. L’interesse non deve nascere solo perché la cosiddetta globalizzazione, i media e i network sociali, come pure lo spostamento di milioni di persone nel mondo, hanno reso tutti i Paesi ancora più legati l’uno all’altro culturalmente, economicamente e socialmente. I destini e le vie di ciascuno, infatti, oggi si intrecciano con quelle dell’altro in tutti gli ambiti della vita. Lo constatiamo in negativo anche nel contesto della tragedia mediorientale, con l’arruolamento di tanti occidentali in questa guerra assurda. L’interesse, il coinvolgimento per quanto sta accadendo deve scaturire soprattutto dal comune rifiuto morale contro le minacce alla convivenza umana operata da questi terroristi. Non è più possibile oggi, nel 2014, che vi siano ancora persecuzioni su base etnica e religiosa. Le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo e della persona e la coscienza comune non permettono più che si possano commettere crimini del genere. E nessuno oggi può assistere inerme a tutto ciò.
Di fronte a tanta violenza, le reazioni sono le più disparate, naturalmente. È mia intenzione in questa sede prestigiosa, evidenziare alcuni rischi ma soprattutto le principali opportunità che quest’ora drammatica sta evidenziando.
I rischi
Il primo rischio è l’indifferenza. “Ci sono sempre state tante guerre nel mondo, questa non è la prima e nemmeno l’ultima; il Medio Oriente è un ginepraio dal quale non si esce mai, ed è meglio starsene fuori; è una realtà complessa che non possiamo comprendere; la crisi economica non ci consente di venire in aiuto, anche se lo vorremmo”. Sono solo alcune delle valutazioni che si sentono. Dopo la reazione iniziale, ci si assuefa un po’ a tutto – e alle tensioni del Medio Oriente è facile assuefarsi – limitando la propria partecipazione a contributi economici, nel migliore dei casi.
Il secondo rischio è diametralmente opposto, la chiamata alle armi e allo scontro di civiltà: “Bisogna fermare questa barbarie con le armi, negando ogni forma di dialogo critico e positivo con le anime moderate di quel mondo, semplicemente perché non si ritiene che esistano tali anime”. “Quella civiltà vuole negare la nostra – continuano – e dobbiamo dunque fermarla in tutti i modi, se non vogliamo soccombere”. Tale posizione nega che esistano, o comunque ignora per varie sue ragioni, le sfumature e la variegata gamma di convivenze, movimenti e presenze del Mondo Mediorentale, che viene perciò identificato sic et simpliciter come fanatico e contrario a quello occidentale. È una posizione a mio avviso non realista.
Il terzo rischio è quello di avere un approccio veramente interessato e partecipato, ma parziale. Un approccio parziale è quello che ritiene di avere già le idee chiare sulla situazione e in un certo senso rifiuta un’analisi critica della complessità propria del Medio Oriente. Questo è tipico soprattutto nel contesto del conflitto israelo-palestinese, dove ciascuno ha già la sua opinione chiara: i palestinesi vittime e gli israeliani carnefici, o il contrario, a seconda delle opinioni. La lettura degli eventi viene elaborata attraverso il filtro delle proprie opinioni già assunte. Non c’è spazio per altre opinioni: quando c’è un conflitto non c’è spazio per le sfumature e bisogna scegliere dove stare, e basta.
Altro approccio parziale è anche quello che vuole affrontare o cercare di comprendere quanto accade da una prospettiva solo politica, o solo militare, o solo religiosa. Il Medio Oriente, come sappiamo, non conosce questa distinzione. Cercare di comprendere le dinamiche politiche attuali, senza comprendere lo sfondo religioso, o viceversa, è grave errore e non aiuta ad individuare – sempre che ce ne siano – possibili piste di soluzione.
Ulteriore approccio parziale è quello di discutere le possibili soluzioni ai problemi solo con alcuni Paesi del Medio Oriente, oppure solo con alcune componenti religiose e sociali. I problemi tra sunniti e sciiti non si risolvono dialogando solo con i sunniti, per fare un esempio.
Affrontare i problemi complessi solo da una di queste prospettive, senza collocarle nel loro contesto più completo, ha portato molti a commettere errori anche nel passato più recente.
Bisogna dunque intervenire. È importante una presa di coscienza comune, Oriente ed Occidente, per fermare la barbarie in corso soprattutto in Siria ed Iraq. Se necessario, come già affermato in passato da altre persone più autorevoli, si deve ricorrere all’uso della forza. Essa tuttavia, se non collocata in un contesto di prospettiva politica di ricostruzione a tutti i livelli di quelle popolazioni e di quei Paesi, resterà un ennesimo approccio parziale al problema e non potrà costituire una soluzione stabile. Oltre a fermare l’aggressore, bisogna aver chiaro come (ri)costruire la vita di quei popoli, evitando ogni forma di strumentalizzazione.
Senza una visione integrale, si lascia spazio libero all’integralismo.
Le opportunità
Questa drammatica situazione, tuttavia, può anche diventare un’incredibile opportunità. Le tensioni, la guerra e le tragedie che ci coinvolgono ci obbligano a prendere una posizione comune (religiosi delle diverse fedi, politici, intellettuali) e a reagire insieme in maniera nuova.
Il dialogo inter-religioso ed inter-culturale è ora necessario più che mai. Non solo non dobbiamo gridare allo scontro di civiltà, ma dobbiamo anzi chiamare le diverse civiltà di oriente ed occidente ad una posizione comune contro la barbarie di ISIS e affini, che non è civiltà. Le iniziative di incontro, di conoscenza reciproca, di superamento delle reciproche diffidenze sono necessarie come l’aria che respiriamo.
Non siamo ad uno scontro religioso e non dobbiamo cedere alla tentazione di quanti ci vogliono riportare ai tempi delle guerre di religione. Al contrario, oggi si fa più che mai necessario, proprio a causa della minaccia di questi integralismi, rafforzare e approfondire il dialogo tra credenti delle diverse fedi. Tale dialogo può avere un’influenza importante sulla politica, soprattutto in Medio Oriente. È proprio della politica, infatti, quando è seria, operare la sintesi delle dinamiche sociali e religiose e tradurle in azioni concrete sul territorio. Anche un non credente deve prendere atto che è necessario oggi, e non solo in Oriente, comprendere il complesso fenomeno religioso, senza negarlo, per individuare soluzione concrete e condivise di dialogo ed incontro.
Il dialogo inter-religioso serio è quello che parte dal reale, che non nega i problemi e le reciproche paure, ma nemmeno se ne lascia travolgere; rifiuta ogni forma di violenza; cerca a tutti i costi di comprendere l’altro, senza necessariamente condividerne l’opinione; non vuole convincere né convertire, ma rispettare ed essere rispettato.
Il dialogo inter-religioso non afferma e nemmeno presuppone che siamo tutti uguali. Non si negano le diverse identità religiose e culturali. Non si devono negare le differenze. Negare le differenze è proprio degli integralismi, che vogliono tutti uguali a sé. Il dialogo inter-religioso riconosce le differenze, che però non considera minacce, e cerca di comprendere.
Per dialogo inter-religioso, insomma, s’intende l’incontro delle comunità religiose e dei loro leaders, a partire da quelli locali, per dibattere dei problemi comuni e concreti. Non si può fare il dialogo inter-religioso su problemi di fede. Ma è necessario avere un dialogo tra religiosi sui problemi comuni, partendo dalla comune umanità. Il dialogo inter-religioso si può considerare come un pellegrinaggio, un invito ad uscire dal proprio mondo e dalle proprie certezze per incontrare l’altro e la sua esperienza di fede, cercando la crescita umana e spirituale di ciascuno.
Il dialogo inter-religioso dovrà fissarsi alcuni criteri e modelli, che si possono riassumere nei seguenti punti principali:
a) una ridefinizione dei confini nel rapporto religione-politica, dove le diverse esperienze religiose vengano intese alla luce dei loro fondamenti culturali e valoriali, anziché nell’ottica dei fondamentalismi e delle strumentalizzazioni, che assolutizzano la parzialità di ciascuna prospettiva ed alimentano forme di incomprensione e di intolleranza;
b) un approfondimento delle questioni riguardanti la dimensione universale della convivenza, che solleciti al lavoro per l’apertura, la pace, la nonviolenza, l’incontro collaborativo e costruttivo tra diversi. Il contatto tra Occidente ed Oriente, in particolare, non può esaurirsi sul piano economico, politico, sociale, culturale, ma è un problema anche religioso;
c) un ripensamento delle categorie della storia, della memoria, della colpa, della giustizia, del perdono, le quali pongono a contatto direttamente la sfera religiosa con quella morale, sociale e politica. Questo aspetto è fondamentale. Gran parte delle cause della violenza di oggi sta nell’incapacità di elaborare e superare (nel linguaggio religioso si direbbe: redimere) la propria storia.
Tutto questo oggi può sembrare utopia e non realistico. Me ne rendo conto. Il cammino per un rapporto sereno e rappacificato tra le diverse anime religiose e tra Oriente e Occidente resta ancora lungo. Non ci si può tuttavia limitare ad accusare gli estremismi, ma è necessario dialogare con quella parte della popolazione e quei movimenti che nonostante tutto restano aperti al confronto e al dialogo. Questa prospettiva non ha alternativa. E questo tragico momento è un’opportunità incredibile e unica di coordinamento e avvicinamento tra tutti coloro, religiosi e laici, che altrimenti non si sarebbero mossi né incontrati. Leaders cristiani e musulmani che insieme agiscono contro ISIS; cristiani, ebrei e musulmani che insieme s’incontrano per pregare e manifestare contro la guerra sono esattamente l’immagine che gli integralisti vogliono distruggere e che proprio per questo ora è ancora più necessaria. La testimonianza di Papa Francesco, in questo contesto, è esemplare: dalla Terra Santa, alla giornata di preghiera per la Pace, ai numerosi appelli alla riconciliazione, sta richiamando noi credenti a non cedere alla tentazione dello scontro, ma a continuare a credere e pregare per il dialogo, l’incontro e la riconciliazione tra popoli, culture e religioni.
La situazione attuale, ed ancor più gli avvenimenti recenti che scuotono il Medio Oriente, rendono dunque più attuale ed urgente tale confronto, senza il quale si lascia il campo libero ai diversi integralismi dell’una e dell’altra parte.
La Repubblica di San Marino è una realtà piccola, certo, ma è la più antica realtà di civiltà democratica che conosciamo nell’era recente.
Nessuno, penso, presuma che questa antica Repubblica abbia un ruolo determinante e immediato nelle vicende mondiali al centro della nostra attenzione. Tuttavia, in questo contesto contraddittorio e particolare, i simboli e i riferimenti sono importanti e San Marino indubbiamente costituisce un simbolo importante e indiscusso. Da secoli immemorabili questa piccola Repubblica testimonia che è possibile istituire una civiltà democratica, rispettosa dei diritti di tutti, senza dinastie, caste e privilegi costituiti. Quando il mondo si lacerava in lotte intestine di potere di diverso genere, San Marino pacificamente attestava che una convivenza diversa era possibile.
La Repubblica di San Marino da diversi anni, inoltre, è attiva nella promozione del dialogo inter-religioso e culturale, nell’alleanza di civiltà diverse e nella promozione dell’incontro tra religiosi, religioni e culture al fine di mettere le basi solide per una convivenza sempre più pacifica tra i popoli.
La storia unica di questa nazione vi consente di accostarvi a chiunque con libertà, senza complessi e paure, poiché la vostra storia parla per voi e lascia qualsiasi vostro interlocutore libero da pre-comprensioni. È un’opportunità incredibile oggi e un dono prezioso. Ai piccoli del Vangelo è riservata un’attenzione particolare da parte del Signore e ad essi è consegnato il Regno dei cieli. Non si può farne parte se non si è evangelicamente piccoli.
Analogamente ancora oggi ai piccoli di questo mondo resta la libertà della testimonianza, dei segni. Le Istituzioni della Repubblica di San Marino hanno deciso di usare questa libertà per agevolare l’incontro tra culture e religioni e per questo vi siamo profondamente grati.
Auspico che questo impegno cresca e si approfondisca sempre di più e che San Marino diventi il punto di riferimento per quanti nel mondo, e sono tanti, nonostante tutto credono che l’uomo sia stato creato per l’amore, per la relazione e per la vita e che per questo si deve operare. Grandi e piccoli.
Non è utopia. San Marino ci dice da secoli che è possibile.
Auguro ai nuovi Capitani Reggenti e alle Istituzioni della Repubblica di essere fedeli e leali a questo meraviglioso impegno, prezioso e caro a noi tutti.
Grazie.

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