San Marino Oggi 03/09/1998 (I momenti difficili della
Repubblica)
Mi è difficile, a memoria, trovare un altro
momento della nostra storia paragonabile all’attuale. Certamente la Repubblica
ne ha vissuti molti altri, di momenti difficili. Li ha superati con la
intelligenza dei suoi dirigenti politici e facendo leva sulla simpatia che il
paese, piccolo e dalla lunga e peculiare storia, sempre ha riscosso attorno a
sé.
Per tutti, l’episodio alberoniano. L’Alberoni
ebbe diversi complici sul Titano nella sua operazione mirante a far rientrare
l’autonomia sammarinese, che aveva raggiunto un livello straordinario, fra
quelle ordinarie dello Stato Pontificio. In genere si è focalizzato
l’attenzione su Pietro Lolli. Invece fu probabilmente Vincenzo Belzoppi il punto
di riferimento principale dell’Alberoni all’interno di San Marino.
I Belzoppi erano di recente immigrazione. Il
padre di Vincenzo, un mercante, si era trasferito qui da Fano. Pure Vincenzo
di professione era mercante. Ben presto egli aveva allargato il suo giro
d’affari oltre la piazza di Borgo. Muoveva merci su Rimini, ma anche su Ancona
e Venezia. Muoveva capitali trafficando in ‘censi’ – i prodotti finanziari del
momento – facendo quasi ‘banco’ come gli ebrei. Ed era in rapporto stretto,
all’esterno, oltre che con ebrei e ‘mercadanti’, con funzionari e autorità
dell’amministrazione dello Stato Pontificio, dove la corruzione era di casa.
Quando lo Stato Pontificio, per ragioni di
politica internazionale, si ritenne costretto a ridimensionare l’autonomia
sammarinese, non trovò di meglio che servirsi di Vincenzo Belzoppi. Bastò
concedergli, a Ravenna, un salvacondotto ‘giudiziario’, di modo che, in caso
di fallimento, San Marino non potesse processarlo, e garantirgli il rinnovo dei
lucrosi incarichi che deteneva a Pennabilli e a Loreto, e la continuazione
dei suoi traffici sui prodotti di importazione, cera e altri.
La classe dirigente sammarinese, politicamente
arretrata – come lo era un po’ in tutta Italia -, ma colta, seppe reagire
opportunamente. Resistette alle lusinghe degli accomodamenti facili, sfruttò
con intelligenza la simpatia che il paese riscuoteva attorno a sé, e si
appellò alla propria gente, anche alla gente comune: una risorsa, allora,
quasi ovunque ignorata.
Il paese, pur frazionato fra eruditi e
analfabeti, ricchi e poveri, abitanti della città e della campagna o del
distretto vecchio e dei castelli conquistati, rispose. Rispose perché era vivo,
aveva un’anima, era “in viridi”, proprio come aveva riscontrato il Lancisi
(un medico-scienziato del Settecento) una trentina di anni prima, facendo il
confronto con altre antiche repubbliche ridotte ormai a un guscio vuoto. La
nostra repubblica, diversamente dalle altre, sopravvisse proprio perché aveva
dentro un paese vivo. L’episodio alberoniano ne è una riprova. Nell’occasione
riuscì a parare anche l’uso machiavellico – del machiavellico Alberoni – di
personaggi spregiudicati come Vincenzo Belzoppi, per i quali, a fronte di un
buon affare immediato, la ‘libertà perpetua’ non è che una ciancia.
Ora la ragnatela degli affari alla Vincenzo
Belzoppi, lasciata sconsideratamente crescere contro il buon senso politico e
contro anche quello della gente comune, ha prodotto una situazione che rende
più difficile che in passato contrastare gli attacchi esterni. Sono sparite
attorno a noi simpatia ed ammirazione, tramutate in fastidio, astio, ostilità.
Dentro, il paese appare quasi svuotato della sua stessa anima.
Questa volta occorre uno sforzo maggiore.
Bisogna far riemergere, nella comunità, la tensione antica, per cominciare a
risalire la china passo dopo passo, dignitosamente, umilmente, con
determinazione e costanza. Se la classe politica dà il buon esempio, la gente
è meno restia a sopportare un rallentamento nello sviluppo, di quanto i vari
Belzoppi siano andati sino all’altro ieri, interessatamente, propalando. Il
primo passo: riacquistare credibilità all’esterno e, all’interno, rinvigorire
la nostra identità, riallacciandoci alle fonti antiche che con troppa fretta
abbiamo abbandonato, appena raggiunti i riconoscimenti massimi del nostro
status (CSCE, Consiglio d’Europa, ONU), a cui abbiamo subito cominciato a
succhiare, a occhi chiusi, sino all’ebbrezza.
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