LA TASSA DELLE TRIREMI. (Occasione per un altro passo di San Marino verso l’autonomia)

LA TASSA DELLE TRIREMI.   (Occasione per un altro passo di San Marino verso l’autonomia)

LA TASSA DELLE
TRIREMI     

occasione per un altro passo di San
Marino verso l’autonomia

 

 Premessa

Il cammino che ha portato la Repubblica di San Marino ad
acquisire un’autonomia via via più alta all’interno dello Stato della Chiesa
(premessa alla sua sopravvivenza durante le concitate fasi dell’unificazione
politica della penisola italiana) è stato lungo e difficoltoso. Ogni passo ha
richiesto impegno e determinazione. La questione della Tassa delle Triremi
ne è un esempio.

Mi ci sono imbattuto sfogliando alcuni libri sullo Stato
Pontificio, segnalatimi dal prof. Gian Ludovico Masetti Zannini quando cercavo
notizie su papa Clemente XI.

Nel 1588 papa Sisto V, per dotare lo Stato della Chiesa di una
propria flotta a protezione dalle incursioni dei Turchi, aveva introdotto una
specifica tassa, detta Tassa delle Galere o delle Triremi (in seguito
solo Triremi’)
gravante sui benefizi ecclesiastici non della intera cristianità, ma solo su
quelli dello Stato della Chiesa. Non erano previste distinzioni fra terrae
subiectae immediate
o mediate. Anche gli ecclesiastici sammarinesi
non poterono sottrarsi al pagamento, come del resto quelli dei ‘territori
autonomi’, ducato d’Urbino compreso.

Le autorità civili non vennero coinvolte. La riscossione era
affidata alle diocesi. Il tutto andò avanti regolarmente anche nel Montefeltro
fino agli ultimi decenni del Seicento. Cioè fin quando divenne vescovo nel
Montefeltro mons. Bernardino Belluzzi, un sammarinese.

Nel Montefeltro un vescovo
sammarinese

Il sammarinese Bernardino Belluzzi viene nominato vescovo del
Montefeltro nel concistoro del 5 settembre 1678, referente R.mo D.mo Card.le
de Carpineo
. A dir il vero avrebbe dovuto divenire vescovo lo zio di questi,
padre Ascanio Belluzzi. Ma Ascanio rinunciò a favore del nipote, Bernardino
appunto.

Bernardino Belluzzi, trentaseienne, laureato ‘in utroque’
presso la Sapienza, già uditore presso la legazione di Urbino e giudice presso
la rota di Ferrara, agli inizi del 1678 lascia la toga per la tonaca: suddiacono
il 26 luglio, diacono il 7 agosto, sacerdote il 14 agosto, vescovo il 18
settembre. Il 19 settembre dello stesso 1678 prende possesso della diocesi del
Montefeltro per procura.

Quando mons. Belluzzi arriva a Pennabilli, la controversia
plurisecolare fra Pennabilli e San Leo per la questione della sede vescovile
attraversa – per l’ennesima volta? – una fase delicata. I canonici pennesi tre
anni prima erano riusciti a bloccare in extremis con l’appoggio – si dice
– del card. Gaspare Carpegna (in precedenza, forse, schierato coi leontini), la
istituzione di nuovi canonicati a San Leo. Istituzione sponsorizzata dal vescovo
feretrano pro tempore mons. Giacomo Buoni. Per mons. Buoni da quel momento
diventa così difficile continuare a reggere la diocesi, che è costretto a
chiedere – e il 25 febbraio 1678 l’ottiene – il trasferimento ad altra diocesi.
Gli succede mons. Bernardino Belluzzi (in seguito solo ‘Belluzzi’).

Per San Leo e Pennabilli è sempre spasmodica la ricerca di
stratagemmi per influenzare gli ambienti romani. I canonici pennesi (in seguito
solo ‘canonici’) nel 1680 colgono l’occasione della convocazione della
Congregazione Generale del clero feretrano con all’ordine del giorno una nuova
forma di riscossione delle tasse del clero (da ‘tassa vecchia’ a ‘tassa nuova’),
per proporre l’esenzione dalla Triremi per gli ecclesiastici delle contee dei
Carpegna. L’esenzione dalla contribuzione per alcuni soggetti all’interno di una
diocesi, comporta necessariamente un aggravio di contribuzione per gli altri o,
comunque, va a pesare sul bilancio generale della diocesi. Eppure in assemblea
nessuno si oppone. Nemmeno il vescovo Belluzzi.

Belluzzi ammette alla discussione la proposta, lascia che
venga approvata e dà il suo contributo nel momento della formulazione della
motivazione: gli ecclesiastici di Carpegna vengono esentati dal pagamento della
Triremi in quanto ecclesiastici di Luoghi Baronali Liberi, e non compresi
nello Stato Ecclesiastico
.

Di fatto l’assemblea approva l’esenzione dalla Triremi per gli
ecclesiastici di Carpegna non quale atto di puro ossequio (per degni
rispetti
) verso il card. Carpegna come era nella intenzione dei proponenti,
ma per correggere un errore commesso nell’applicare nel Montefeltro la Bolla di
Sisto V che introdusse la Triremi. In sostanza viene riconosciuto, anche nella
diocesi del Montefeltro, che se un luogo è libero, cioè non soggetto in
temporalibus al papa, gli ecclesiastici di quel luogo non sono tenuti a pagare
la Triremi.

La deliberazione sulla Triremi viene prontamente messa in atto
dal vescovo Belluzzi. Per le contee dei Carpegna, ovviamente. Ma anche per la
Repubblica di San Marino. Già perché anche la Repubblica di San Marino è un
luogo libero. Notoriamente libero. In sostanza, secondo Belluzzi,
l’assemblea del clero feretrano, prendendo la suddetta deliberazione, ha
riconosciuto a Carpegna, Scavolino, e San Marino … di non esser tenuti,
come Luoghi Baronali Liberi, e non compresi nello Stato Ecclesiastico
, a
pagare la Triremi.

Per i canonici la estensione dell’esenzione agli ecclesiastici
sammarinesi è un colpo durissimo. Del tutto imprevisto. Ma non possono fare
altro che subire. Subire e tacere.

Nella Repubblica di San Marino – forse ancora per intervento
di Belluzzi – cominciano a non pagare la Triremi anche gli ecclesiastici
delle parrocchie di Serravalle e Faetano, appartenenti alle diocesi di Rimini.
L’esempio è seguito dai conventi maschili e femminili, dalle confraternite,
eccetera. In sostanza – poiché si tratta di non pagare – la comune appartenenza
alla Repubblica prevale su tutte le altre distinzioni.

L’esenzione dal pagamento della Triremi è un ‘privilegio’ che,
a partire dal 1680, comincia a distinguere nettamente il territorio della
Repubblica dal circondario. Di qui in avanti tutti gli ecclesiastici
sammarinesi, dai preti ai frati e alle suore, e tutte le istituzioni
ecclesiastiche sammarinesi, dalle parrocchie, alle cappelle, ai conventi, alle
confraternite, si mettono a difendere quel privilegio con le unghie e coi denti.
Ed hanno accanto a loro, in questa difesa, le autorità della Repubblica, per la
valenza politica che a quel privilegio è connessa: gli ecclesiastici della
Repubblica di San Marino non pagano la Triremi, perché la Repubblica di San
Marino non fa parte dello Stato della Chiesa.

 

Il vescovo Pier Valerio Martorelli

Il 25 settembre 1702 Belluzzi è trasferito da Pennabilli a
Camerino. Al suo posto è inviato nel Montefeltro direttamente da Roma mons.
Pietro Valerio Martorelli, dottore in utroque, beneficiato della Basilica di
S. Pietro, avvocato della Curia Romana, … studioso di storia
ecclesiastica
.

Pennabilli ritorna ad essere, come nel Medioevo, un centro
religioso-politico dal quale i sammarinesi devono guardarsi. Subito i canonici,
col consenso del nuovo vescovo, tirano fuori la questione della Triremi. Per
rimediare al sopruso perpetrato nei loro confronti e nei confronti di tutto il
clero feretrano da Belluzzi nel 1680. Ma non possono chiedere l’annullamento sic
et simpliciter di quella deliberazione. Ne andrebbero di mezzo anche gli
ecclesiastici di Carpegna. La controversia di Pennabilli con San Leo per la sede
vescovile è tutt’altro che conclusa e c’è ancora bisogno del card. Carpegna, il
quale è ancora vicario di papa Clemente XI, come lo era stato dei precedenti
quattro papi.

I canonici si fanno nominare procuratori del clero feretrano e
ingiungono agli ecclesiastici sammarinesi della diocesi feretrana (parrocchie di
San Marino, Acquaviva, Domagnano, Chiesanuova, Fiorentino, Montegiardino) di
riprendere a pagare la Triremi.

Gli ecclesiastici sammarinesi, spalleggiati dal governo della
Repubblica, respingono la richiesta.

Martorelli si propone come mediatore. In effetti parteggia per
i canonici. La causa finisce presso i tribunali romani: i canonici (a nome del
clero feretrano) contro gli ecclesiastici sammarinesi (in realtà i governanti
della Repubblica).

Clemente XI, un quasi sammarinese

I sammarinesi, anche se viene meno a Pennabilli il
concittadino-vescovo mons. Bernardino Belluzzi, non sono allo scoperto. Hanno
dalla loro addirittura il papa: Clemente XI. Clemente XI, al secolo Giovanni
Francesco Albani, è nato a Urbino. La sua famiglia è da tempo in ottimi rapporti
con la Repubblica. Il 14 Settembre 1670 erano state concesse a suo padre, Carlo,
cittadinanza e nobiltà per sé e per li suoi figli e casa, in
perpetuo
.

Alla prima occasione viene presentata al papa dai sammarinesi
una lunghissima supplica firmata: li cittadini e popolo della repubblica di
San Marino
. In essa, fra l’altro, si denuncia l’improvvido tentativo di
alcune persone che in oggi procurano a viva forza d’estorcere dal misero
clero e da due o tre piccioli conventi de regolari posti in detta Repubblica il
pagamento delle galere
, cioè della Triremi.

Come giustificano, i sammarinesi, di fronte al papa il non
pagamento della Triremi? Semplicemente così: gli ecclesiastici sammarinesi non
pagano la Triremi, in vigore nello Stato della Chiesa, perché il territorio
sammarinese non fa parte, come non ha mai fatto parte, dello Stato della Chiesa.
Dicono proprio così: San Marino non ha mai fatto parte dello Stato della Chiesa.
Una prova è proprio la Triremi: Di detto peso sino al tempo presente mai gli
ecclesiastici di San Marino hanno soggiaciuto a consimile pagamento
! E ne
danno anche la spiegazione: come tutti i sammarinesi anche gli ecclesiastici
sammarinesi sono esentati dai tributi – tutti i tributi – in vigore nello Stato
della Chiesa, in base a un breve di Paolo III che a chiare lettere ordinò
universitatem et homines reipublicae Sancti Marini nec ad aliqua alia
onera realia et personalia ordinaria vel extraordinaria subditis Romanae
ecclesiae pro tempore incumbentia subeundum vel contribuendum cogi
posse
. Il Breve di Paolo III (1549) precede di quasi quarant’anni
la introduzione della Triremi (1588) da parte di Sisto V. Ecco perché gli
ecclesiastici sammarinesi – a detta dei governanti della Repubblica – non hanno
mai pagato. Siccome la imposizione in questione riguarda unicamente li
sudditi dello Stato ecclesiastico
, farla pagare ad ecclesiastici che
sudditi dello Stato ecclesiastico non sono, costituisce una aperta
violazione delle disposizioni emanate dai Sommi Pontefici.

 

Roma ascolta i sammarinesi

Nel 1712 Roma respinge il tentativo dei canonici di far
ricominciare a pagare la Triremi agli ecclesiastici sammarinesi, avallando, di
fatto, la tesi secondo cui la Triremi nella Repubblica di San Marino non
è stata mai pagata.

Martorelli, tenuto conto anche di altri inequivocabili segnali
provenienti da Roma, comincia a mostrarsi meno insensibile alle lusinghe dei
sammarinesi. Insomma, sia pure non apertamente, cambia fronte.

Gli attacchi alla Repubblica da parte dei canonici non cessano
però con quegli insuccessi romani e con l’affievolirsi dell’appoggio di
Martorelli. Come nella controversia con San Leo per la sede vescovile, non
mollano. Il loro potere in zona sta rapidamente crescendo, potendo essi occupare
il vuoto lasciato dai Carpegna, una famiglia ormai in crisi, dopo la morte, nel
1714, del card. Gaspare Carpegna.

I canonici dopo il 1714 si sentono liberi di contestare in
toto la deliberazione sulla Triremi del 1680. Spiegano a Roma: far ricominciare
a pagare la Triremi agli ecclesiastici di Carpegna e di San Marino, equivale ad
affermare su quei luoghi la sovranità della Santa Sede. Come può Roma non
ascoltarli di fronte alla minaccia incombente degli Asburgo che già si sentono
padroni della vicinissima Toscana (dove si vanno estinguendo i Medici) e vantano
da sempre diritti sul Montefeltro, un tempo feudo imperiale?

Sul Titano si continua a sostenere che mai gli
ecclesiastici di San Marino hanno soggiaciuto a consimile pagamento, né tampoco
mai richiesti da tesorieri passati, e con giustissimo motivo essentati sempre in
vigore del Breve di Paolo III
. La Triremi, a detta dei sammarinesi, fu
imposta da Sisto V sui luoghi dello Stato mediato e immediato della Santa
Sede, specificando
detti luoghi: quelli di Parma, Piacenza, Urbino,
Modena, Reggio e loro territori
. San Marino non c’è. È vero che nell’elenco
c’è il ducato d’Urbino. Ma il ducato d’Urbino è altra cosa. La Repubblica di San
Marino è da sempre un’entità politica a sé stante. Non essendo stata citata
nella Bolla di Sisto V, si deve ritenere esclusa.

Per i canonici la Repubblica di San Marino è soggetta alla
Triremi in quanto fa parte della diocesi del Montefeltro, la quale faceva parte
del ducato d’Urbino, passato al dominio diretto della Santa Sede per devoluzione
nel 1631. Infatti gli ecclesiastici sammarinesi hanno pagato regolarmente la
Triremi fin dalla introduzione. L’hanno pagata regolarmente fino al 1680.

Da San Marino non si nega che nel 1680 all’interno di una
assemblea del clero feretrano sia stato deciso di esonerare dal pagamento della
Triremi gli ecclesiastici di alcuni luoghi: gli ecclesiastici dei luoghi
‘baronali’. Appunto quelli dei luoghi baronali. San Marino non è luogo baronale,
è una repubblica. Nelle contee di Carpegna, luoghi baronali, la sospensione
della Triremi avvenne appunto nel 1680. Di San Marino nemmeno si parlò in quella
occasione, perché San Marino non è luogo baronale e soprattutto perché i suoi
ecclesiastici già non la pagavano. Insomma non c’era alcun motivo per
parlarne.

I documenti che potrebbero attestare che gli ecclesiastici
sammarinesi hanno pagato la Triremi fino al 1680, non è facile reperirli. Nei
libri contabili della diocesi, anteriormente al 1680, ogni introito proveniente
da soggetti ecclesiastici figura sotto la voce: Tassa Antica da esigersi dai
Beni Ecclesiastici di Monte Feltro in pagamento di Galere, e Spoglie
.
Accanto al nome del contribuente è riportato l’ammontare complessivo delle due
contribuzioni, non quanto versato specificatamente per l’una e per l’altra. I
sammarinesi sostengono che ogni importo segnato nei registri, relativamente al
loro territorio, è stato versato per le Spoglie e solo per le
Spoglie
.

I canonici per arrivare al fondo della questione avrebbero
bisogno di sbirciare nei libri contabili dei singoli enti ecclesiastici
sammarinesi, conservati presso gli enti stessi: parrocchie, confraternite,
conventi, eccetera. Non li trovano. Sono stati fatti sparire dai governanti
sammarinesi. Chiunque si presenti in Repubblica proveniente da Pennabilli
comincia ad essere guardato con sospetto ed impedito nei movimenti. Pure al
vescovo pro tempore in visita pastorale si mettono dei paletti. Si comincia a
controllare da vicino anche i sammarinesi, ecclesiastici o no, che hanno
rapporti frequenti con Pennabilli.

Roma ascolta
i canonici

I canonici, non trovando prove materiali dei pagamenti della
Triremi effettuati in Repubblica prima del 1680, ripiegano sulle testimonianze.
La migliore delle testimonianze sarebbe quella del vescovo che ha presieduto la
Congregazione del 1680, da cui è derivata la sospensione del pagamento della
Triremi a Carpegna e a San Marino. I canonici, messa da parte ogni remora,
scrivono a Belluzzi: Gli scrupoli della coscienza uniti a quelli da Sig.ri
Procuratori del Clero ci anno indotti à prendere l’impegno di una lite ne
tribunali di Roma contro il Clero di San Marino, perche ricusa contribuire la
sua rata per il sussidio delle galere Pontificie, per il buon esito della qual
causa ci convien provare in giudizio i pagamenti di detto sussidio fatti per
l’addietro dal Clero suddetto, mentre ci vengono negati con affronto manifesto
della verità. E giacchè non abbiam dubbio che V.S. Ill.ma non conservi memoria,
che furono sospesi tali pagamenti in una congregazione fatta in questa
Cattedrale nell’anno ottantesimo incirca del secolo scorso alla sua presenza
…., lo pregano, appunto, di ricostruire i fatti.

Loro, i canonici, nel 1680 accettarono che venissero esentati
dalla Triremi anche gli ecclesiastici sammarinesi, solo per rispetto al loro
vescovo, visto che il loro vescovo lo desiderava tanto. Lo fecero solo perché
sapevano quanto quello sgravio della patria al loro vescovo stesse a
cuore. Lo fecero solo per la venerazione – dicono testualmente –
dovuta à Lei patrizio di quella Repubblica. Ora chiedono a mons. Belluzzi
un piccolo segno di riconoscimento per quel loro comportamento: che li aiuti a
ricostruire i fatti. La verità dei fatti. Non occorre che il vescovo si disturbi
a sottoscrivere un attestato giuridico. Basta un suo scritto, una
semplice lettera: una lettera ostensibile in cui V.S. Ill.ma asserisca che il
clero di S. Marino già pagava la sua rata del sussidio delle galere Pontificie,
e che
, in quella circostanza, ne fu sospeso il pagamento. Il
pagamento fu sospeso per merito suo. Esclusivamente per merito suo. Merito di
cui gli ecclesiastici sammarinesi e tutti i sammarinesi gli dovrebbero essere
grati. Perché non ricordarlo? Perché dovrebbe rinunciare a vantarsene? I
canonici, insomma, pungolano Belluzzi a pavoneggiarsi di quel successo di fronte
ai suoi concittadini.

Belluzzi risponde ai canonici che, sì, ricorda che fu riunita
una Congregazione nella quale fu dibattuto, se doveva osservarsi la Tassa o
vecchia, o la nuova, e con tal’occasione
– precisa – soviene anche à me,
che si fosse discorso del pagamento delle Galere toccante Carpegna, Scavolino, e
San Marino
.
Quanto al resto meglio chiedere a coloro che erano presenti e, fra
i presenti, a quelli direttamente interessati alla vicenda. A cominciare –
questo è il suo consiglio – dai più interessati di tutti, cioè, appunto, gli
ecclesiastici sammarinesi.

Se non si vuol chiedere ai quei testimoni diretti, cioè agli
ecclesiastici sammarinesi, dice Belluzzi, non rimane che cercare qualche
riscontro oggettivo. Ad esempio la risoluzione della medesima
Congregazione
. Già, quella risoluzione da qualche parte c’è. C’è
sicuramente. Non può non esserci. Suggerisce dei posti dove cercare: può
credersi registrata ò nelle scritture del Capitolo, ò nelle Filze della
Cancelleria Vescovile
. Suggerisce di andare a leggere i libri, e
rendiconti … degli Esattori
. Insomma indica posti e documenti che i
canonici sono corsi a ispezionare quello stesso giorno che Belluzzi ha svoltato
l’angolo per imboccare la strada per Camerino.

Il 17 giugno 1717 il ricorso presentato dai canonici a Roma
contro la sentenza del 1712 viene respinto.

Sconfitta
dei sammarinesi, poi accordo

Il 4 aprile 1718 un nuovo cardinale tesoriere riapre il caso
sentenziando a favore dei canonici. Forse i canonici sono riusciti a produrre
qualche prova? Al più qualche testimonianza (attestatio) del tipo di
quella di P. Petri Valerij Martelli Ordinis S. Agostini il quale prima
dell’assunzione degli ordini era stato Prior Sodalitij Sanctissimae
Annuntiatae in Terra Vallis Dragonis
e, in tale veste, dichiarò aveva pagato
Taxam pro Triremibus, appunto per la suddetta confraternita.

I sammarinesi ricorrono contro la sentenza del 4 aprile 1718.
Si ricomincia. Nel gennaio del 1720 la causa viene discussa, ma non si arriva a
sentenza: viene rimandata. C’è chi – anche da Roma – consiglia un accomodamento
dato che le cose si sono già messe in modo che la Repubblica non vien punto
pregiudicata
e andando avanti non può sapersi l’esito oltre la grandezza
della spesa
.

Tuttavia i sammarinesi mandano avanti la causa. Per i
sammarinesi nell’ottobre del 1720 viene presentata una lunga memoria stampata.
Ma poi entro il gennaio del 1721 le due parti giungono ad un accordo su cui si
esprimono, favorevolmente, i rappresentanti di tutto il mondo ecclesiastico
sammarinese. A detta del vescovo Martorelli è un buon accordo per la Repubblica.
Benché la Repubblica non avesse alcun particolare interesse in quel negozio
con tutto ciò ridonda questo
accordo in molto vantaggio della medesima
restando così sempre più assicurata la di lei libertà e indipendenza
.

L’accordo fra i canonici e gli ecclesiastici sammarinesi che
pone, o dovrebbe, porre fine alla vicenda della Triremi, è raggiunto qualche
mese prima della morte di Clemente XI, avvenuta il 19 marzo 1721. Evidentemente
nessuna delle due parti era certa di poter conseguire un risultato pieno,
andando a sentenza, con una nuova amministrazione.

La questione della
Triremi riaffiorerà di quando in quando anche successivamente fino ad esplodere
nuovamente con l’arrivo in diocesi di mons. Giovanni Crisostomo Calvi. Ma ormai
non è che un piccolo rivolo della fiumana che sta per abbattersi sul Titano con
la vicenda alberoniana che si risolverà, anch’essa, in modo assai diverso da
quanto auspicato negli ambienti pennesi.

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