San Marino. “Conto Mazzini”, scandaloso attacco frontale. Antonio Fabbri

San Marino. “Conto Mazzini”, scandaloso attacco frontale. Antonio Fabbri

Scandaloso attacco frontale al “Conto Mazzini”

Antonio Fabbri

“Figuriamoci se noi vogliamo affossare il Mazzini”, dicono dalla maggioranza, però contemporaneamente attaccano, screditano e delegittimano il giudice di appello che sta conducendo la seconda fase del processo e offendono gli inquirenti e il giudice di primo grado, nel completo ed assurdo ribaltamento della realtà su fatti e tempi della giustizia, in sostanza ingaggiando una difesa politica che si affianca a quella legale, come già era stato paventato proprio nelle carte dell’inchiesta “Mazzini”. Tra l’altro, nella totale ignoranza dei tempi previsti dalla procedura penale sui termini che vengono dati per la redazione delle memorie di appello, per le repliche e per le controrepliche. Cui si uniscono delle gaffes abbastanza gravi in una foga di insinuazioni mirate a delegittimare i magistrati non graditi alla maggioranza. 

E’ risultato evidente nel Consiglio di ieri. Non viene considerato che la pantomima sulla mancata presa d’atto dei giudici di appello – tra l’altro stigmatizzata dal Collegio Garante con una sentenza, cosa che viene ovviamente taciuta – è stata una delle prime ingerenze della politica sulla magistratura. Ecco, allora, gli attacchi frontali. La consigliera di Npr Denise Bronzetti addita il giudice Francesco Caprioli: “Sentire il titolare dell’appello del ‘conto Mazzini’ che rinvia il processo adducendo una serie di moti- vazioni insostenibili, non ha alcun senso”. Poi, nella foga dell’insinuazione, la Bronzetti si sbaglia e dice “forse perché questo giudice d’appello in un bando di concorso che noi abbiamo fortemente contestato dai contorni quanto meno dubbi…”. Allora qualcuno glielo fa notare e ripete: “quelli successivi, quelli successivi…” Poi si incarta perché il bando di concorso nel qaule fu designato Caprioli lo aveva votato anche lei. Ma la fesseria ormai è stata detta, e allora si rifugia, per un po’ di brusio minore del solito, nella Reggenza: “Però faccio fatica io così Eccellenze”. Vabbé, questo è il livello. Ora, quanto al rinvio della prima udienza, a parte che l’avere decine di migliaia di pagine da affrontare come giudice monocratico è una motivazione più che sostenibile per chiedere di potersi dedicare solo a quelle, ciò che non dice la Bronzetti è che il Giudice di appello aveva calendarizzato una serie di date per concludere le udienze del “Mazzini” nel mese di settembre. Non dice che anche gli argomenti della politica in Commissione affari di giustizia e in Consiglio giudiziario plenario sono stati usati dai legali – che fanno il loro lavoro, certo – per chiedere l’annullamento del processo.

Quello che non si dice è che il giusto sciopero degli avvocati, conseguente alle scelte scellerate della politica nel campo della Giustizia, comporterà lo slittamento, con tutta probabilità, dell’udienza già fissata per il 2 ottobre. Ma un attacco ancora più diretto al “conto Mazzini”, a chi ha indagato a chi ha celebrato il processo di primo grado, è stato lanciato dal Consigliere di Rete, Emanuele Santi. Un intervento che denota una scarsa conoscenza, se non addirittura nulla, sia sui tempi della giustizia, sia sulla procedura, sia sui contenuti del procedimento “conto Mazzini”. Santi sostiene che si è iniziato a indagare per corruzione. Non è vero. Si è iniziato a indagare – e poco prima lo aveva spiegato il Consigliere Fernando Bindi nel suo intervento – per riciclaggio. Seguendo i flussi di denaro, è stato poi scoperto e ricostruito il sistema corruttivo. Allora Santi dice: “mi sono posto una domanda, cosa manca in questo processo? C’era chi incassava le tangenti, ma non si fa nessuna parola di chi le dava”.

E qui non è solo sbagliata la domanda, ma pure la risposta. Pertanto tutta questa affermazione è falsa fin dalle premesse. Infatti, bastava avere letto le carte del “Mazzini” o, almeno, avere letto i giornali – non necessariamente questo – o i siti o avere guardato la televi- sione o, magari, aver assistito ad almeno una udienza, per sapere che i nomi dei corruttori ci sono, eccome. Alcuni sono coimputati, perché erano accusati anche di riciclaggio. Altri, pur non imputati, sono stati auditi nelle udienze cui Santi non ha assistito, altrimenti avrebbe saputo chi erano i corruttori. Quindi i nomi dei corruttori sono chiari, sia nel “Mazzini”, sia nel procedimento cosiddetto sulla “tangente dei Tavolucci” e, ironia della sorte, molti di questi sostengono oggi l’azione di Santi e del suo movimento. Quindi dei corruttori se ne fa parola ecco- me, ma non sono stati perseguiti perché il reato corruttivo era già prescritto quando iniziò l’indagine, mentre quelli di riciclaggio e associazione a delinquere, no. Santi si stupirà, ma è proprio per riciclaggio e associazione a delinquere che i “mazziniani” sono finiti sotto processo e sono stati condannati in primo grado. Ma siccome Santi non si è accorto che i nomi dei corruttori nel “Mazzini” ci sono, allora lui insistendo sulla sua premessa sbagliata, si è fatto anche la sua idea: “Io ho l’impressione che questo processo sia diventato un processo politico, un processo dove si doveva cambiare tutto, fuori tutti i big di allora, per non cambiare assolutamente niente”.

Il problema è che gli stessi “mazziniani” contavano giusto su questo tipo di posizioni, da portare avanti magari proprio attraverso il movimento Rete, per essere riabilitati. E questo, se Santi avesse letto un minimo i resoconti giornalistici, lo avrebbe saputo perché riportato nelle carte. Poi l’intervento, denotando totale assenza di conoscenza sui tempi della giustizia e sulla la mole di un fascicolo così complesso, di fatto offende pure il giudice di primo grado, Gilberto Felici

“La sentenza, a fronte delle carcerazioni del 2014 e 2015, arrivò nel 2017. Ecco, anche qui – insinua Santi – una cosa particolare: arriva la sentenza nel 2017, ma le motivazioni arrivano un anno dopo, nel 2018. Come mai c’è voluto un anno per dare le motivazioni di quel processo? I tecnici ci dicono che è un processo chiuso, finito, che mancano solo certi passaggi e mancano solo le eccezioni”. Le motivazioni della sentenza sono di circa 700 pagine, in un fascicolo di oltre 70mila pagine più tutti gli alle- gati, i resoconti stenografici di decine di udienze di primo grado che fanno arrivare la documentazione di questo procedimento abbontantemente oltre le 100mila pagine. Le affermazioni di Santi, oltre a essere fuori luogo e a denotare una certa superficialità, sono anche offensive e screditanti. Non tengono conto, poi, del fatto che le motivazioni furono depositate a giugno 2018 – come chiesero e riferirono tra l’altro anche alcuni avvocati – perché essendo a ridosso delle ferie giudiziarie – durante le quali non decorre né il termine di prescrizione né quello per depostito delle memorie – questo avrebbe consentito ai legali di avere più tempo per affrontare con maggiore tranquillità la lettura delle motivazioni e la preparazione delle memorie di appello.

Dopo essersi infognato in situazioni che non conosce, Santi insiste su presupposti sbagliati. “Come mai ancora oggi dopo due anni e mezzo il giudice incaricato non sta facendo la sentenza?” Perché l’appello, al di là di quello che si racconta o che qualcuno vuole fare credere, non è più solo cartolare da un bel pezzo a San Marino. E forse Santi non sa che serviranno almeno undici udienze – tante ne aveva previste e fissate il Giudice Caprioli – per ascoltare tutte le arringhe difensive degli avvocati e per dare la possibilità agli imputati che lo vogliano di intervenire. Poi Santi confonde la fissazione dell’udienza con la sentenza e dice ancora cose non vere: “Il giudice Caprioli, questo lo hanno detto tutti, si è rifiutato di fare la sentenza al processo ricattando il Paese fino a quando non si fossero fatti i giudici di appello. Ma questo è possibile in un paese normale?”

Cadono le braccia. No, non è possibile. Non è possibile, in un paese normale, che chi non sa di cosa parla intervenga a sproposito a denigrare giudici, e lavori per delegittimare inchieste e processi, facendo di fatto da spalla agli imputati dalla sede politica.

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