RASSEGNA STAMPA – Nonostante non vi fossero i presupposti di fatto e di diritto hanno sostenuto accuse infondate contro i giornalisti
ANTONIO FABBRI – Giornalisti trascinati in giudizio dallo Stato e da Banca Centrale con l’accusa di divieto di pubblicazione di atti coperti da segreto (o in alternativa di violazione del segreto d’ufficio in concorso): “Tuttavia, nessuno di questi documenti poteva ritenersi all’epoca assistito da un regime di segretezza”, scrive il giudice Adriano Saldarelli nella sentenza. Eppure i denuncianti hanno sostenuto con pervicacia che il legittimo lavoro di questo giornale fosse una violazione della legge penale. Stato e Banca Centrale hanno sostenuto che nonostante i giornalisti avessero ufficialmente chiesto, e fossero stati altrettanto legittimamente autorizzati, l’accesso a un fascicolo archiviato pertanto pubblicato, delle parti di tale archiviazione dovessero rimanere segrete.
Ma anche qui il giudice nelle motivazioni della sentenza assolutoria afferma: “non si comprende, dunque, a quale regime di segretezza speciale potessero essere soggetti i riferimenti, contenuti nel provvedimento di archiviazione”.
Non finisce qui, perché ancora, i denuncianti, ed evidentemente con essi il Commissario della legge inquirente che ha rinviato a giudizio, hanno sostenuto che i giornalisti non potessero svolgere il loro lavoro, avendo accesso agli atti ai fini di esercitare il diritto di cronaca. Il giudice, invece, sottolinea che quel provvedimento di archiviazione era “certamente ostensibile al giornalista abilitato al fine di consentirgli un compiuto esercizio del diritto di cronaca in ragione dell’interesse pubblico alla vicenda”.
Non basta, perché nell’imputazione vi era anche l’accusa di aver divulgato atti coperti da segreto bancario (anche se il giudice comunque sottolinea che coperti da segreto bancario non erano), ma in ogni caso “non risulta che tali atti siano stati oggetto di “divulgazione” o di “improprio utilizzo”, si legge nelle motivazioni della sentenza.
Le pressioni Fatte queste doverose premesse, occorre ripercorre la vicenda di questo kafkiano processo a carico dei giornalisti, tenuti indebitamente alla sbarra per quattro anni, con accuse prive di qualsiasi fondamento in fatto e in diritto.
Accuse mosse dal Commissario della legge inquirente Elisa Beccari nel provvedimento di rinvio a giudizio, smontato dalla sentenza e dalle motivazioni del giudice del dibattimento.
Accuse messe in piedi dalle denunce di Enti dello Stato e soggetti istituzionali, esercitando così pressioni legali, giudiziarie, politiche – con taluni interventi anche dalle sedute del Consiglio grande e generale che sono andati ben oltre l’offesa – per aver pubblicato notizie delle quali la cittadinanza aveva ed ha il diritto di essere al corrente, ma sulle quali era stato brandito un regime di segretezza inesistente.
La genesi del procedimento Tutto è scaturito da una evidente volontà di inibire l’esercizio del sacrosanto diritto di cronaca. Dopo che Banca Centrale, il 1° luglio 2020, aveva dato comunicazione dell’avvenuta archiviazione del caso cosiddetto della “consulenza fantasma”, che aveva visto indagati la presidente di Bcsm Catia Tomasetti e l’’eurodeputato Sandro Gozi, questo giornale ha voluto approfondire le motivazioni di questa vicenda di preminente interesse pubblico.
Il caporedattore, il 3 luglio 2020, ha quindi fatto richiesta di accesso al fascicolo archiviato. L’accesso al fascicolo è stato autorizzato il 7 luglio. Il giornale aveva quindi dato conto, il 16 luglio del 2020, delle motivazioni dell’archiviazione e l’approfondimento era proseguito il 13, 14 e 17 agosto, dando conto anche delle notizie, sempre attinenti agli atti di quell’archiviazione, relative alla vicenda dell’incontro della presidente di Bcsm Tomasetti con esponenti del Congresso di Stato dell’epoca, incontro nel quale veniva comunicato dalla stessa ai membri di governo di avere incontrato il generale dei servizi segreti italiani Luciano Carta e non meglio precisati esponenti della Commissione antimafia italiana.
Circostanza su cui la Tomasetti dà la sua versione, ma che fu verbalizzata dall’esecutivo in quei termini. Notizia questa di preminente interesse pubblico. Tuttavia, al di là del merito di quanto pubblicato – che a ben vedere avrebbe dovuto destare più attenzione nelle istituzioni anziché farle inalberare per un presunto inesistente segreto – a fronte di queste notizie, che evidentemente non si voleva che venissero a conoscenza della cittadinanza, scattò una reazione piuttosto veemente.
Prima le pressioni e le diffide per inibire la pubblicazione, poi le azioni legali in tutte le sedi nei confronti di questo giornale: amministrativa, penale con annessa richiesta civile di esorbitante risarcimento del danno lamentato, arrivando financo ad adire l’Authority per la privacy e a minacciare addirittura l’azione disciplinare nei confronti dei giornalisti.
Azioni queste della Bcsm e della sua presidente, poi affiancate dal Governo con l’Avvocatura dello Stato.
Denunce che hanno incontrato evidentemente la condivisione degli inquirenti fino al rinvio a giudizio seppure in assenza, e la sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” lo attesta, dei presupposti di fatto e di diritto. Anzi, non si è neppure tenuto minimamente conto del costituzionalmente e internazionalmente garantito diritto di cronaca e di informazione, pur evidenziato fin dal primo momento dalle difese.
Emblematiche, per comprendere la pervicacia di tali azioni, le denunce presentate da Bcsm e Governo, di cui daremo conto nei prossimi giorni.
Articolo tratto da L’informazione di San Marino pubblicato integralmente dopo le 23