Antonio Fabbri – L’informazione: Caso Fasea, condanna a un anno e risarcimento del danno

Antonio Fabbri – L’informazione: Caso Fasea, condanna a un anno e risarcimento del danno

Antonio Fabbri – L’informazione di San Marino: Derubricata l’imputazione da dolosa a colposa. la difesa ha già annunciato appello / Caso Fasea, condanna a un anno
e risarcimento del danno

Si è chiuso con la condanna a un
anno di prigionia (pena sospesa)
per l’amministratrice Elisabeth
Huber, il cosiddetto processo Fasea.
L’accusa iniziale era “attentato
alla salute pubblica mediante
deterioramento dell’ambiente
naturale”. Contestazione derubricata,
come richiesto dal procuratore
del fisco Roberto Cesarini,
in attentato colposo. Dopo tre
anni di processo, dunque, e la
disposizione da parte del giudice
Roberto Battaglino dell’acquisizione
di documentazione, perizie
e ulteriori atti istruttori, diverse
delle accuse cadute nel corso del
processo.
Su otto capi di imputazione ne è
rimasto in piedi uno, assoluzione
con varie formule per gli altri.
Alla fine, perché sufficientemente
provata, è rimasta l’accusa
relativa alle lastre di eternit,
presenti e visibilmente deteriorate,
per lungo tempo lasciate
nelle pertinenze della ditta a
cielo aperto e non smaltite. Non
è risultato invece sufficientemente
provato il deterioramento
dell’ambiente e il conseguente
pericolo per la salute pubblica,
invece, per le altre sostanze
sversate o presenti in contenitori
non idonei. Condanna anche
all’arresto di 15 giorni, poi assorbito
nella prigionia, per la cattiva
custodia dei rifiuti. Condanna
anche alle spese processuali e al
risarcimento delle parti civili. I
difensori Pier Luigi Bacciocchi e
Maria Selva hanno già preannunciato
appello.

La parte civile
La parte civile sostenuta dall’avvocato
Marina Pedini assieme al
collega italiano, entrambi in giudizio
per conto del comitato di
cittadini che ha portato avanti la
causa, ha evidenziato la presenza
delle decine di lastre di eternit sostenendo anche la sussistenza
del “potenziale rischio per l salute”,
per la presenza di amianto
“in stato pessimo e scadente,
materiale infiammabile, nocivo
per inalazione o ingestione,
altamente tossico per ambienti
acquatici. Nelle cisterne sono
state trovate tracce di etano”, ha
detto l’avvocato Pedini. Il collega
ha sostenuto una situazione
di custodia dei rifiuti industriali
intollerabile “ad un braccio di
distanza da dove giocano i bambini”,
evidenziando la presenza
del parco giochi nelle adiacenze
dello stabilimento. Poi il legale
ha parlato di “negligenza sistematica
che diviene metodo”, nel
gestire quei tipi di rifiuti. “Si
sono tollerati rischi di incendio,
rischi per i lavoratori e la paura
non generava da una fantasia,
ma da fatti”. La parte civile ha
dunque chiesto la condanna e il
risarcimento del danno con una
provvisionale di 10mila euro,
questa non accordata però dal
giudice.

La Procura fiscale
Il Procuratore del fisco Roberto
Cesarini, ha dal canto suo,
evidenziato che “nell’ambito di
un processo penale, c’è bisogno
di riscontri”. Riscontri che, per il Pf, non ci sono stati, rilevando
carenze nell’istruttoria ed
evidenziando come non si sia
giunti alla prova del deterioramento
dell’ambiente naturale e
del rischio per la salute pubblica,
per la maggior parte delle contestazioni.
Unica circostanza che
secondo il Pf è rimasta sufficientemente
provata è quella della
presenza delle lastre di eternit
in cattivo stato, con conseguente
volatilità delle fibre cancerogene.
In questo caso, tuttavia, in
ordine all’elemento psicologico
il Pf ha parlato di “negligenza”,
ed è per questo che ha chiesto la
derubricazione della contestazione
non nell’alveo reato doloso,
ma colposo. Interpretazione
poi condivisa anche dal Giudice
Battaglino. Il Pf ha anche
rilevato come, per una delle
contestazioni relativa al rischio
incendio, si fosse già concluso
un altro procedimento penale,
non potendosi più procedere,
dunque, per quel fatto. Su come
fossero custoditi i rifiuti, ha invece
richiamato la legge in materia
del 1995, chiedendo l’arresto per
dieci giorni, da assorbirsi nella
prigionia. 10 mesi di prigionia
erano stati richiesti dal Pf per
l’imputazione dell’eternit.

La difesa
La difesa, sostenuta dagli
avvocati Pier Luigi Bacciocchi
e Maria Selva, ha dal canto suo
sostenuto che non ci fossero prove
per la sentenza di condanna.
“Nel processo penale serve solo
una cosa: la prova provata di
quello che viene affermato”, ha
detto l’Avvocato Bacciocchi. Ha
quindi ricostruito la storia dello
stabilimento ed ha anche rilevato
come le abitazioni circostanti
e il parco siano sorte dopo che
l’opificio era già insediato in
quell’area. Ha anche rilevato
che l’attuale amministratrice,
Elisabeth Huber, si è vista “costretta
ad assumere la direzione
di azienda dopo il decesso del
marito”. L’avvocato Bacciocchi
ha rilevato come la Huber sia
amministratore dal 2006. Poi ha
contestato le indagini. “Dopo la
denuncia della Giunta l’indagine
è stata affidata al brigadiere
Zanotti, che guarda caso abita a
150 metri da Fasea. Ed è un’indagine
a senso unico nella quale
vengono cercati solo fatti che
potevano confermare la denuncia
penale. Tuttavia le accuse
non trovano riscontro, se non in
una perizia discutibilissima e in
testimonianze soltanto di alcuni
soggetti. In questa udienza penale
abbiamo rifatto l’istruttoria
ed è emerso che non c’è la prova
sul deterioramento dell’ambiente
naturale, necessaria per
poter poi parlare di pericolo
per la salute pubblica. Pertanto
chiediamo assoluzione dal reato
ascritto, perché i fatti contestati
non sussistono o non costituiscono
reato”.

Sulla stessa linea
la collega Maria Selva che ha
aggiunto: “Si è parlato molto di
sentimenti, di paure, la vicenda
ha avuto eco mediatica, perché
si è costituito un comitato; addirittura
sono stati fatti volantini
con un teschio, sono intervenuti
partiti politici… ma di riscontri
oggettivi non se ne sono visti,
neppure su eventuali patologie
legate all’amianto”. I legali, poi,
avevano chiesto termine a difesa,
in caso di derubricazione del
reato. Il giudice, però, ha evidentemente
ritenuto di emettere
sentenza, di fatto accogliendo la
tesi del Procuratore del Fisco.
Il prossimo passaggio per il
“caso Fasea”, dunque, sarà in
appello.

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