PALAZZO |
Le celebrazioni del centenario del Palazzo Pubblico ci inducono a riflessioni da diversi punti di vista. Qui ci si limita a qualche considerazione sul Cultura e politica hanno nella realtà sammarinese un forte intreccio, con una accentuata prevalenza della politica. Dice Paul Aebischer: la indipendenza di San Marino è la magnifica conseguenza degli sforzi testardi, della diplomazia plurisecolare di un piccolo gruppo di montanari…. . Nel corso dei secoli, questi montanari hanno perseguito un ideale di libertà….. La tensione verso la concretizzazione di quell’ideale finisce per assorbire pressoché per intero le energie e le risorse della comunità, tanto dell’economia che della cultura. Così si spiega, ad esempio, in un paese tanto piccolo e, generalmente, povero, il grande scenario delle torri e delle mura, già presente nei sigilli del Trecento, con un corredo di armi sempre in
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Quell’ideale è in cima agli obiettivi della comunità. Non solo in tempi lontani che, appunto perché lontani, ci sembra più facile accettare come eroici, ma costantemente lungo i secoli. E’ perseguito con una fermezza ed una linearità di comportamento quali è possibile riscontrare, in altre parti della penisola, solo in famiglie eccezionali che sono riuscite a trasmettere, per secoli, generazione dopo generazione, un progetto di ricchezza e di potenza. Una prova recente di tale determinazione è fornita proprio dal Palazzo Pubblico. La prima pietra è posta il 7 maggio 1884. L’inaugurazione avviene il 30 settembre 1894. Singolare appare subito lo stile: non ha riscontro né nelle costruzioni del posto né nelle mode architettoniche dominanti in quel periodo nelle vicinanze della Repubblica. Indurrebbe ad ipotizzare una scelta casuale, prospettata da un dilettante, magari estroso o bizzarro. Invece il progettista è un professionista di fama, Francesco Azzurri, un architetto di tendenza neoclassica, presidente della prestigiosa Accademia di San Luca di Roma, membro della commissione incaricata di scegliere il progetto del monumento a re Vittorio Emanuele II, la cosiddetta “patria di marmo”, simbolo dell’Italia unificata in un regno. Anche San Marino aspira, in parallelo, a un monumento-simbolo, il Palazzo Pubblico appunto, emblema di un microstato, una Repubblica, che vuol continuare a vivere dentro l’Italia-Regno. Sono i sammarinesi a scegliere lo stile dell’edificio, in funzione di una strategia politica già da tempo impostata.
San Marino si era salvato in modo piuttosto fortunoso durante le guerre risorgimentali, a seguito di decisioni prese nelle cancellerie di Torino e di Parigi, da Cavour e da Napoleone III. La sua sopravvivenza fu imposta a Cavour da Napoleone III. Cessato il rumore delle armi, scampato il primo pericolo, San Marino si attiva per guadagnare il consenso dell’Italia. Quel consenso è indispensabile per rendere definitiva la sua condizione. In particolare deve accattivarsi l’area liberal-monarchica, uscita vincitrice dal Risorgimento, che non si era riconosciuta nell’entusiasmo verso San Marino manifestato più volte (e con intensità anzi sospetta a quella parte politica) dai garibaldini e dai mazziniani in genere, notoriamente antimonarchici. Insomma, per sopravvivere alla unificazione della penisola San Marino ha bisogno di produrre giustificazioni condivisibili dai protagonisti di quella unificazione. Si esplora la storia. Fra le più rappresentative espressioni della civiltà peninsulare viene individuata l’età comunale. In essa, per le estese radici culturali e libertarie che la caratterizzano, avrebbero potuto riconoscersi le varie anime della composita realtà risorgimentale. San Marino può far riferimento a quell’età senza forzature. Facile, ad esempio, definire comunale la ‘costituzione’ sammarinese, che ancora ha i consoli al vertice dello Stato. La scelta è felice. Ponendo l’accento su San Marino-comune si sarebbe ridotto l’impatto dell’altro ben più noto appellativo, quello di repubblica, che suonava, ora, troppo forte, quasi provocatorio all’interno di uno stato monarchico, con una casa regnante a dir poco malferma. Inoltre, attirando l’attenzione su un periodo così lontano, antecedente ai secoli dello Stato Pontificio vero e proprio, la si distoglieva dall’ambiguo rapporto sammarinese col papato, contro il quale si era svolto il Risorgimento Italiano (i papi, sia pure con qualche ripensamento, avevano favorito o almeno tollerato la formazione di San Marino). Ad impostare la strategia ed a curarne la realizzazione furono i pochi uomini di cultura della modesta San Marino della seconda metà dell’Ottocento, che, di colpo, da enclave del sonnolento Stato Pontificio si era trovata enclave del Regno d’Italia, effervescente di nazionalismo. Fra questi intellettuali, Marino Fattori. Si aggiungeranno ad essi, via via più numerosi nei decenni successivi, i giovani che si laureeranno nell’Ateneo Bolognese, fra cui Pietro Franciosi. Determinante, fin dall’inizio, fu l’apporto di Pietro Ellero, docente di diritto nell’Università di Bologna, uomo tipico del Risorgimento Italiano, in cui si combinano reminiscenze classiche ed accesi entusiasmi comunali. Alla comunità del Titano Ellero dedicherà molti e diversi scritti, fra cui la “Relazione della Repubblica Sammarinese”, di grande fondamento scientifico. La strategia, insomma, nasce con solide basi e riesce da subito a coinvolgere autorevoli personalità esterne. Però non ci si affida solo alle parole, né si gioca solo all’esterno. San Marino-paese era apparso in condizioni miserevoli, al cadere dello steccato pontificio, condizioni del tutto simili a quelle dei paesi circonvicini: piccolissimi borghi rurali di una zona montagnosa, dove l’economia ristagna da secoli. Primo obiettivo dei sammarinesi: distinguersi. Coi mezzi più diversi. Nell’edilizia si cominciò a costruire il nuovo ed a rabberciare il vecchio pensando all’antico. Si aprì una Biblioteca. Poi un Museo. Si diffuse l’assegnazione di titoli nobiliari. In conclusione, il rafforzamento della identità sammarinese è posto in termini concreti ed è tradotto in una serie di atti ben coordinati. I risultati non mancano. Prende piede una idea nuova di San Marino. La retorica, sottofondo comune, in quel periodo, alle principali modalità di comunicazione, prese ad amplificare le caratteristiche positive di tale identità, fino alla mitizzazione. Si cominciò ad additare San Marino come piccola città-stato, arroccata su un monte di forma singolare, con il carattere di comunità medioevale, sopravvissuta a fatica dentro lo Stato Pontificio. Presentato così, come scampolo di antico comune italico, San Marino attirò l’interesse e la simpatia di un vasto pubblico, in quanto, fra l’altro, era in grado di riassumere in sé i contrapposti sentimenti di ogni italiano, combattuto (allora più di adesso) fra l’esaltazione della grande patria appena attuata, ed il vagheggiamento, un po’ romantico, della propria piccola patria perduta. Da tempo sul Titano si avvertiva la necessità di poter disporre di locali adatti per il Consiglio, per le udienze dei Reggenti e per i (pochi) dipendenti pubblici. Ma prima dell’unità d’Italia la questione era posta in termini eminentemente pratici. Al più si ipotizzava un luogo decente per la residenza dei Reggenti, dove avrebbero potuto trovare posto con la dovuta regolarità tutti gli altri uffici pubblici. Dopo l’unità d’Italia la costruzione del Palazzo Pubblico fu inserita nella strategia più ampia della enfatizzazione delle ascendenze comunali della Repubblica. L’Azzurri assecondò pienamente i sammarinesi. Con scrupoloso impegno. Dopo attenti studi e ricerche, progettò il Palazzo come edificio-simbolo facendo riferimento, come egli stesso disse, alla architettura dei palazzi monumentali delle…. antiche Repubbliche, ora palazzi comunali… e scelse senza esitazioni… uno stile che rammentasse l’antico del decimosecondo o decimoterzo secolo... Le pietre del Palazzo si affiancano a saggi storici, brani musicali, esercitazioni retoriche nell’esaltare questo piccolo angolo di terra, antico custode di libertà italiana (come scrisse Pietro Tonnini, l’uomo politico sammarinese che scelse l’Azzurri e tenne poi con lui i contatti a nome del governo). Anche il Carducci, chiamato a pronunciare il discorso inaugurale, si riconosce pienamente nella scelta medioevalistica dei sammarinesi. Carducci è un personaggio importantissimo nella nuova Italia: professore dell’Università di Bologna, come il collega Ellero, “il Poeta d’Italia” è anche presidente della Deputazione di Storia Patria delle Romagne e senatore del Regno. Carducci pronuncia per i sammarinesi un discorso che dovette a loro sembrare un capolavoro anche di arte politica. L’enfasi retorica copre opportunamente le contraddizioni: egli esalta i sentimenti repubblicani senza che i monarchici abbiano motivo di risentirsene, bolla con espressioni platealmente anticlericali il periodo pontificio e si sofferma esageratamente sull’episodio alberoniano studiato dal Malagola, pur magnificando la religione con toni che finirono per scandalizzare il suo stesso seguito di ‘sacerdoti’ del positivismo, venuti da Bologna e da altre parti a celebrare l’avvenimento (di enorme risonanza anche popolare). Il Palazzo Pubblico, realizzato in purissimo stile comunale italiano, esempio di gagliarda e solenne architettura della gente d’Italia, assurge col Carducci a memoria, testimonianza, ammonizione delle cose ‘italiche’ al cospetto di tutte le genti ‘italiche’ raccolte la prima volta (Murri, nel 1906, arriverà ad affermare che a San Marino si respira un’aura di maggiore italianità). L’aureola cultural-politica portata dal Carducci è decisiva. San Marino apparso, al cadere dello Stato Pontificio, come un rudere medioevale mummificato dentro quello stato emblematicamente arretrato e reazionario, diventa il fiore della libertà italiana, come dire, il simbolo dell’Italia moderna unificata. In conclusione, l’onda di nazionalismo che ha prodotto la unificazione della penisola non travolge San Marino. San Marino, di fronte a quel nazionalismo, anziché mettersi in atteggiamento passivo o difensivo, vi si è calato dentro, l’ha cavalcato, modificandone a poco a poco la direzione, fino poi a sfruttarne la forza, per farsi spingere definitivamente fuori dai pericoli derivanti dal processo di unificazione indotto da quello stesso nazionalismo. Insomma, San Marino si salva dal nazionalismo italiano, diventandone, per così dire, un simbolo. Effettivamente San Marino esce consolidato da quell’eccezionale 1894. Tre anni dopo stipula una nuova convenzione con il Regno d’Italia. Cinque anni dopo, ormai sicuro dentro la penisola, può affacciarsi dalle Alpi alla ricerca di nuovi riconoscimenti di sovranità: Inghilterra, Belgio, Olanda e Stati Uniti d’America.
*** Fu, insomma, il Palazzo Pubblico, il punto d’arrivo di una lunga operazione politica che gli uomini di studio e di cultura sammarinesi impostarono e realizzarono. Quegli uomini sono fra loro divisi forse più di quanto avvenga normalmente in altri (piccoli) luoghi, e, in quel periodo, sono divisi più che in altri periodi della storia. Alcuni sono così attaccati all’antico da voler continuare a rinnovare il Consiglio solo per cooptazione, come nel Seicento, ignorando le più elementari regole della democrazia, come se la rivoluzione francese non fosse mai avvenuta ed il Titano potesse continuare a rimanere fuori del mondo, in tema di diritti politici e civili. Altri (ad esempio Pietro Franciosi), sono accesi propugnatori di innovazioni politiche e sociali, conosciuti ed ammirati, per questo loro impegno, anche oltre i confini della Repubblica.
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La strategia politica, conclusasi col Carducci, fu impostata al momento dell’unificazione della penisola, forse in quello stesso 1861. O addirittura qualche mese prima. Era necessario ed urgente intervenire. Infatti stava montando verso San Marino un atteggiamento ostile come si evince da alcune dichiarazioni dei protagonisti della politica risorgimentale e dai giornali. Ad esempio, la “Gazzetta del Popolo” di Bologna invita Cavour a risolvere la questione San Marino una volta per tutte senza mezzi termini: La Repubblica di San Marino è il nido della reazione papalina…. quantunque repubblica, non ha avuto, San Marino, né ha le più sincere tenerezze per quanto sa di patrio e di liberale. I sammarinesi ribalteranno tale atteggiamento dimostrando, al contrario, che questo Monte… è rimasto per tanti secoli il deposito della libertà italiana (come si legge in una nota diplomatica) e non hanno dubbi sulla riuscita della operazione: San Marino sarà conservato nella sua autonomia e indipendenza. Dietro a quella strategia ci dovevano essere, indubbiamente, a San Marino, uomini capaci, colti ed esperti in politica. Eppure San Marino, proprio in quegli anni, veniva descritto dal francese Edmond About nel modo seguente. Ce singulier état de 9500 hommes, chi conserve le nom de république…, m’a tout l’air d’un ghetto rural</i>; i soldati hanno una uniforme gràce aux libéralités d’un bienfaiteur étranger… il n’y a pas, à proprement parler, de finances</i>; l’istruzione pubblica est à peu prés nulle: une vingtaine de petit républicains vont à l’école chez les pre^tres.
I borghi rurali sono, in genere, senza storia, perché non sono in grado di scrivere la storia in quanto non riescono a produrre una classe dirigente capace Raramente il microcosmo sammarinese è oggetto di giudizi meditati. Abbiamo visto come si esprime l’About (venne qui già con un intento demolitore, per ragioni di politica interna francese). All’opposto, il Carducci usa toni così accesi da risultare, talvolta, altrettanto falsi o prevenuti. Per evitare inciampi pregiudizievoli alla loro Repubblica, per secoli, i sammarinesi non hanno agevolato osservazioni ravvicinate della realtà e della storia del Titano.
Manca, insomma, una vera storia. Al più, finora, della vicenda umana che ha avuto per protagonisti gli uomini del Titano si conoscono episodi che ne mettono in evidenza il coraggio… l’acuta ed astuta tenacia. Non sono state analizzate, ad esempio, le strategie di lungo periodo, o certe strategie ardite e complesse, per elaborare le quali non sono stati certamente sufficienti il coraggio e la tenacia. Nel libro “Il cammino di una idea” si è accennato a due strategie impostate all’interno della operazione che ha fatto sì che il Ducato d’Urbino, nel suo crollo, non coinvolgesse anche San Marino (portate avanti parallelamente, una sul piano diplomatico e l’altra su quello religioso, per oltre quarant’anni, con mosse di spregiudicata sicurezza, con piena ‘intelligenza’ del teatro e degli attori). In effetti i dirigenti sammarinesi, oltre al coraggio e alla tenacia, dimostrano, lungo la storia, una capacità di lettura e di interpretazione dei vari tempi della storia, che solo persone di solida formazione culturale cioè pienamente presenti nella storia, potevano elaborare. Si intende dire che San Marino, pur isolato per ragioni di geografia, pur povero perché montagnoso e senza fonti economiche integrative dell’agricoltura, non rimane fuori del tempo, isolato rispetto al progresso culturale che ha attinenza con la politica ed, in ogni tempo, sa cogliere le migliori opportunità per fare un altro passo verso la concretizzazione dell’ideale.
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E’ significativo, a questo proposito, quanto avviene fra Quattrocento e Cinquecento, allorché il mestiere delle armi tende ad esaurirsi per l’arrivo, nella penisola, degli stranieri che impongono la loro pax. Il potere papale nei territori della Chiesa si consolida fino ad assumere, per alcuni aspetti, le connotazioni centralizzanti proprie di uno stato. Il Montefeltro che con Rimini è stato a lungo il bilico delle cose d’Italia, ritorna ad essere regione marginale, in cui l’unico cespite economico è una povera agricoltura di montagna che al più permette la sopravvivenza. I sammarinesi non si rassegnano. Imboccano un’altra strada: gli studi di diritto. I rampolli di numerose famiglie sammarinesi, benestanti o ricche (per i trascorsi mercenari), vengono avviati nella nuova carriera. I libri prendono il posto delle armi. Comincia una nuova itineranza professionale. Ancora, i sammarinesi, peregrinano al servizio dei potenti dentro e fuori lo Stato Pontificio. Ma ancora sono pronti a mettere informazioni, esperienza ed ingegno a disposizione del proprio paese, ogniqualvolta il paese ne ha necessità. Quando San Marino negozia con Roma, non delega a rappresentarlo, come è uso altrove, un importante nome di Curia, magari un cardinale. A trattare per il loro paese sono i sammarinesi stessi. Hanno la preparazione per farlo. Duellano, quei sammarinesi, con le armi del diritto, nella spregiudicata Roma rinascimentale, come, secoli prima, con le armi di ferro nelle vicine vallate del Montefeltro. Stessa determinazione, stessa foga. Chi ha a che fare con loro rimane sconcertato. Qualcuno di quegli interlocutori (siamo nel 1545) sbotta così: ci vuole, coi sammarinesi, un contrattare attento come si negozia fra la Sedia Apostolica e la Signoria di Venetia. A un altro viene un sospetto: che quei montanari non intendano fermarsi all’autonomia politica ma che mirino anche a quella religiosa e commo il Re d’Inghilterra impaciarsi del spirituale (poco prima c’era stato lo scisma anglicano ed a Faenza, in quello stesso periodo, vennero scoperti gruppetti di protestanti). In effetti l’ardore con cui i sammarinesi sostengono le loro tesi non deriva da un fanatismo religioso del tipo paventato dalla Curia, ma da convincimenti civili che hanno tuttavia la intransigente determinazione di quelli religiosi.
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Il Corbelli porta alla luce un fenomeno culturale sostanzialmente arcaico, che ha i connotati dei fatti di religione. Ma si esprime con una terminologia ed una architettura di pensiero di pronta modernità. Il Titano, quando si tratti di argomenti relativi alla politica, appare, nel Quattrocento e nel Cinquecento, straordinariamente vicino ai luoghi più rappresentativi di tale modernità culturale, come ad esempio Firenze. Machiavelli sembra avere da subito buoni allievi sul Titano, a giudicare da come, dopo le armi ed i codicilli, i sammarinesi adoperano le risorse della politica, la politica-scienza. Ne è una prova, nel Cinquecento e nel Seicento, la strumentalizzazione dell’appellativo repubblica. La maggior parte dei territori pontifici che aspirano all’autonomia (contee, ducati ecc.) giocano sull’ambiguità della investitura feudale che vi sta alla base: la fanno risalire, a seconda della convenienza, o all’imperatore o al papa. Hanno però un punto debole: la investitura è legata ad una famiglia. Se quella famiglia si esaurisce, il feudo ritorna in mano al papa o all’imperatore. A partire dalla seconda metà del Cinquecento, il papa, dentro il suo Stato, tende a sopprimere i feudi, appena ne rientra in possesso (spariscono così i ducati di Ferrara ed Urbino). La intellighenzia sammarinese punta all’autonomia sfruttando l’ambiguità del termine repubblica. Si è cominciato ad indicare la comunità del Titano come repubblica a partire dalla metà del Quattrocento, in ragione della sua democrazia interna. Inteso nel suo significato etimologico, l’appellativo non desta sospetti presso la Curia romana (in genere rispettosa delle autonomie locali). Occorre tener conto, però, che il termine repubblica, a partire dal Medioevo, si è caricato anche di un altro significato: non facendo parte dei titoli della scala feudale della dipendenza o dall’imperatore o dal papa (le autorità massime, nel mondo politico medioevale, da cui deriva ogni altra autorità), induce a pensare che un territorio così denominato non ha sopra di sé né imperatore né papa. Questo secondo significato, ovviamente, non può essere accettato dalla Curia Romana. L’appellativo repubblica dispiegherà la sua efficacia come mezzo politico nel Seicento quando San Marino, rimasto senza la protezione del Ducato d’Urbino, per parare eventuali mire ‘annessionistiche’ romane, ha bisogno di cercare protezione oltre lo Stato Pontificio, presso gli altri stati italiani e, possibilmente, anche gli stati d’oltralpe. Primo passo: farsi conoscere. Ci riesce utilizzando l’appellativo repubblica, nel suo primo significato, quello etimologico, di democrazia. Mostrandosi, nel secolo degli assolutismi, come il paese della democrazia, attira su di sé l’attenzione di un’area Il libro del Valli ha una enorme fortuna. In Italia ed in gran parte d’Europa si comincia a conoscere questo paese ed a conoscerlo come repubblica. Proprio l’appellativo di repubblica, cardine della strategia culturale-politica del Corbelli e del Valli, contribuirà a salvare San Marino dall’Alberoni. Gli stati europei rispondono al grido di aiuto dei sammarinesi ed intervengono presso il papa, che è costretto a recedere. Sarà ancora quell’appellativo a Poi, per farsi accettare dalla nuova Italia, San Marino imbastisce la singolare operazione che si concluderà con l’inaugurazione del Palazzo Pubblico.
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Oggi si rimette mano al Palazzo. Nessuno ha proposto di demolire e ricostruire. Si è ben consci, ora, che la scelta dello stile del Palazzo fatta un secolo fa, è stata sì funzionale alla politica, ma ha finito pure per sconvolgere i parametri ordinariamente più modesti dell’architettura del ‘paese San Marino’. Le costruzioni ‘autoctone’ di allora, nella loro povertà ed essenzialità, costituivano una testimonianza di quanto fosse stata dura e severa la strada che ha portato alla concretizzazione di quell’ideale. Invece il Palazzo realizzato è ostentazione. Il suo splendore non è di questo sito. Il Palazzo è indubbiamente ‘comunale’, ma di altro luogo, di altra parte d’Italia. Viene da città retta da mercanti, non da paese di montagna o comunque da paese del A fine Ottocento, per ragioni politiche, occorreva una scenografia che parlasse anche alla gente comune. Le case, il vecchio palazzo demolito ed i resti delle fortificazioni, dialogavano, ormai, solo con gli specialisti, come scrisse Corrado Ricci: Allo studioso infatti e all’artista, la rocca ruvida e solitaria, le mura ineguali e dirute che cingono la Fratta appariranno sempre le sole sincere, legittime, autentiche rappresentanze dell’antica repubblica.
Oggi si rimette mano al Palazzo Pubblico, per renderlo più funzionale all’interno. Il Palazzo rimane com’è. Ormai è un simbolo noto, diffuso, accettato, amato. I simboli non valgono per il valore intrinseco, in materia o forma, ma per quel che significano. Il Palazzo Pubblico, così com’è, è il simbolo della sovranità di San Marino ormai conclamata nel mondo. Le tappe di questo ulteriore successo: la nomina dei primi ambasciatori a partire dal 1971, poi l’ingresso nel Consiglio d’Europa e nella Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione Europea ed infine, il 2 marzo del 1992, nell’Organizzazione delle Nazioni Unite, il più alto consesso di tutti gli Stati del mondo. La ristrutturazione del Palazzo avviene in un momento storico in cui un altro processo di riorganizzazione politica è in corso, quello del ‘villaggio planetario’. Quando la riorganizzazione politica riguardò le zone circonvicine al Titano (affermazione dello Stato Pontificio e fine del frazionismo feudale), il sammarinese Corbelli solleticò la Curia romana a lasciare sopravvivere San Marino con questa argomentazione: chel Papa si deverebbe tener gloria conservare così quel luogo, per meraviglia de tutto il resto d’Italia. Il suggerimento fu raccolto. Papa Clemente VIII, nel 1606, dice di voler preservare illesa ed intatta la libertà di San Marino per dimostrare che la Santa Sede si comporta in modo differente da tutti gli altri potentati, che piu tosto sanno di tirannie. Quando fu la penisola italiana ad essere oggetto di una profonda ristrutturazione politica, San Marino si salvò perché riuscì a dimostrare di rappresentare per l’Italia unita non una contraddizione, ma un motivo di orgoglio: il fiore della libertà italiana. Ora il puntino sammarinese spicca sulla carta del mondo. Ha già su di sé la simpatia che gli deriva dall’essere uno stato piccolo. Già attira curiosità per essere, fra le repubbliche, la più antica. Ci sono le migliori premesse per far conoscere anche la sua storia. Attraverso la storia si darà nuovo vigore alla sua identità e, quindi, più vivacità al colore del puntino. La storia di San Marino, infatti, ha i caratteri della originalità e della eccezionalità, nel panorama delle umane convivenze. In genere si è portati a pensare che gli stati piccoli siano un frutto casuale delle vicende umane. Che derivino da una concessione estemporanea di un potente della terra, papa, re o imperatore. Insomma che siano il prodotto di una stravaganza o di una dimenticanza. Alcuni piccoli stati sorgono per la frantumazione di stati più grandi. Altri sono stati creati artificialmente, ad esempio gli ‘stati cuscinetto’. Qualcuno è opera di un personaggio che in qualche modo ha acquisito un possesso, trasformato poi in sovranità: alla figliolanza di quel personaggio rimane legata la speranza di sopravvivenza di quello stato.
San Marino non è il prodotto di altri stati. Non è il regalo di un potente. Non è opera di un personaggio eclatante. San Marino è il risultato dello sforzo plurisecolare di una comunità che, nel suo isolamento, concepisce un ideale di libertà e poi lo difende con ogni mezzo e verso tutti fino ad avere il riconoscimento di tutti. Un fenomeno unico, dice l’Aebischer, una vicenda che impone ammirazione e soprattutto rispetto. San Marino, dunque, anche nel nuovo contesto mondiale, si presenta non come un rudere storico né come una utopia antistorica, ma come una testimonianza preziosa per originalità e singolarità.
Una serie di pubblicazioni accompagnerà la ristrutturazione del Palazzo. Saranno dati alle stampe i verbali del Consiglio Grande e Generale, i documenti più importanti del nostro e di altri archivi per dare la possibilità concreta al maggior numero di persone di conoscere (anche con l’ausilio delle nuove tecnologie della comunicazione) quell’ideale e di conoscere come, storicamente, quell’ideale ha potuto concretizzarsi. Marino Cecchetti Riproduzione riservata Leggi altri temi di Storia Sammarinese Guarda il video NEMINI TENERI (prima parte; seconda parte). Ovvero la storia della Repubblica di San Marino in 23 minuti, tratta dal libro IL CAMMINO DI UNA IDEA di Marino Cecchetti, San Marino 1991 |
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