Quante volte in questi anni abbiamo sentito ripetere ‘basta capannoni’. Frase molto di moda, che ha contagiato politici di governo e di opposizione. Quasi un destino ineluttabile per la nostra piccola economia, segnata dal tramonto delle fabbriche (e dei suoi operai) per lasciare il posto ai giochi (veri e virtuali) del tavolo verde e della piazza finanziaria. Era inutile insistere, incalzare i governi sul tema dello sviluppo e delle infrastrutture.
Era inutile e perfino arretrato parlare del valore occupazionale e produttivo di tante aziende manifatturiere che chiedevano, e continuano a chiedere, spazi sul territorio. Aziende storiche, lo zoccolo duro di una economia sammarinese che, come ha giustamente sottolineato il segretario dell’Anis Carlo Giorgi, hanno fatto davvero impresa e non speculazioni. In poche parole: hanno creato e distribuito ricchezza.
Se l’urgano finanziario di queste settimane ha un merito, è sicuramente quello di avere scoperto l’enorme trucco dell’economia di carta, oltre la follia delle ricette ultraliberiste che predicavano un mercato senza regole, senza valori e magari senza la presenza ingombrante del sindacato.
Questa storia è finita.
Lo sconvolgimento economico-monetario che sta attraversando il mondo ha il merito di riaffermare il ruolo indispensabile dell’economia reale. Quella solida rete fatta da piccole e medie imprese che producono beni, servizi e occupazione. Che stanno sul territorio, investono e si rivolgono al sistema bancario per accedere a linee di credito, senza inseguire il miraggio degli arricchimenti facili in borsa.
E’ insomma la rivincita dell’economia reale: della fabbrica, della quotidiana fatica di chi sta alla catena di montaggio, così come di chi rischia capitali per fare impresa. Non ci sono scorciatoie. Indicare prospettive concrete di sviluppo è il dovere di una classe dirigente, e soprattutto della futura coalizione di governo. E allora bisogna ripartire dalla consapevolezza che San Marino ha bisogno di lavoro vero, di formazione di qualità e di un rilancio degli investimenti industriali.
Continueremo ad insistere.
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