Cesare Baracca al Museo della Città di Rimini, sabato l’inaugurazione

Cesare Baracca al Museo della Città di Rimini, sabato l’inaugurazione

Sabato 1 Marzo 2014 alle ore 17,30, nella Manica Lunga del Museo della Città, si inaugura una mostra di opere pittoriche recenti di Cesare Baracca.

Si avverte quasi una rauca voce fuori campo, ma nessuno ci accompagna in questo viaggio, forse nella stanza accanto qualcuno ascolta un brano di Nick Cave o un lamento di Diamanda Galas. La casa è una nave fantasma, letti e divani sfatti, sul pavimento rotolano bottiglie vuote e il buio sabbioso è virato dai bagliori acidi di un televisore lasciato acceso. La città è dietro ai vetri, dodici piani sotto, impastata come la bocca alle quattro di notte. Si direbbe che la postazione dello sguardo si trovi in uno di quegli alberghi in cui andavano a morire gli scrittori degli anni Cinquanta, i musicisti degli anni Settanta o gli attori degli anni Novanta (a titolo di cronaca i pittori hanno smesso di morire nell’Ottocento e lungo il Novecento hanno smesso di nascere).

Cambiano le sostanze stupefacenti e le materie cromatiche, la nicotina è la stessa dei romanzi di Raimond Chandler, ma sono aumentati i tatuaggi, i baristi col berretto bianco hanno lasciato il turno ai pusher e le architetture opalescenti di Edward Hopper sono sostituite da un macerato impasto di piombo che aggiorna le desolazioni cittadine sugli strati di polvere di qualche decennio in più.

Ma questo viaggio di perdizione e raschiamento, tra i più feroci e crudi del nostro contemporaneo, è intrapreso dall’interno di una casa di campagna, dispersa nella bassa pianura ravennate. Un luogo teoricamente più vicino all’Arcadia di quanto non sia al gorgo metropolitano, ed è pur vero che non c’è ormai zolla del pianeta che non sia raggiunta dall’eroina, dal crollo dei subprime, dalla prostituzione o dai suicidi.

In realtà anche i temi più classici sono trattati da Cesare Baracca con spietata grevità, al punto che l’aulico e il dissoluto si trovano nello stesso abisso fangoso, di un frullatore casalingo.

D’altro canto diventa ruvida pure una canzoncina da San Valentino se la si fa cantare a Tom Waits. Forse anche per la pittura è una questione di corde vocali.                             

(Massimo Pulini)

Hangover Hotel: l’ebbrezza degli eroi e il ritorno degli dei nelle metropoli di Cesare Baracca

 Da tempo Cesare Baracca ha riconosciuto nella metropoli il teatro ideale per rappresentare una contemporaneità attraversata da forze e pulsioni contrastanti, intuendo il generale processo di urbanizzazione del mondo, tutto interno alla globalizzazione, che – sostiene Marc Augé – sta trasformando l’intero pianeta in un “mondo-città”, dove cioè sempre maggiore è la concentrazione delle umane attività in pochi grandi centri del potere decisionale. La mostra ideata dall’artista per il Museo della Città a Rimini riunisce, infatti, tre gruppi pittorici differenti nei confini ideali di un’unica ricerca segnata dalla pervadente presenza dello scenario metropolitano.

In Underground Spleen, il primo, il sentimento di melanconia decadente è riattualizzato attraverso una tecnologia del tutto impersonale e de-soggettivizzata, quella delle city web-cam: piazze e spazi pubblici di una serie di città (Amsterdam, Berlino, Londra, Roma, Tokio, Washington, Lincoln) sono ritratti partendo da immagini prelevate dalla rete. Lincoln webcam o Webcam su Roma, spazi totalmente svuotati dalla presenza umana e giustamente intesi dall’artista come “luoghi del nulla in cui tutto scorre”, sono investiti da quei processi di videosorveglianza di origine carceraria, indicativi dell’attuale deriva biopolitica del potere moderno (Giorgio Agamben, Stati di ordinaria emergenza), che li ha definitivamente privati della loro qualità di agorà, di spazio “pubblico”, trasformandoli in vuoti scenari in cui si celebrano i moderni riti securitari.

In questa condizione di generale privazione non è forse casuale che, nel secondo insieme di lavori presenti in mostra, Cesare Baracca scelga di voltare le spalle ad una contemporaneità ridotta a vuoto e insignificante simulacro, per ricercare con sguardo “affettivo e partecipativo” la bellezza soprattutto in quell’universo marginale della sottocultura, della droga, del sesso, nel quale vivono e s’agitano gli esponenti di una generazione che – afferma l’artista – “ama ostentare il dolore e confonderlo col piacere”. Le dominanti mistress (Blumen) e le loro schiave costrette nelle legature del bondage; le grottesche regine del sadomaso e le professioniste dell’eros; le malinconiche “eroine”, solitarie sacerdotesse dell’estasi e dell’abisso; gli anonimi esponenti di varie tribù metropolitane con il corpo segnato da piercing e tatuaggi; i fumatori d’hashish e i vagabondi apolidi che s’aggirano a torso nudo nella città notturna; le malinconiche fanciulle che, da sole o a convegno, sembrano sussurrare l’enigma della loro malinconica maschera. Tutti costoro sono, per Baracca, eroi e martiri contemporanei, testimoni dell’angoscia del presente. La loro disperata ribellione attesta forse l’unica ed ultima illusione di esistenza. Coerente con il suo sentire romantico, Baracca ne celebra gli anonimi eccessi immaginandoli riuniti all’interno dell’Hangover Hotel, uno di quei meravigliosi monumenti all’erranza notturna che l’artista nel corso della sua ricerca pittorica, ha spesso innalzato ad espressione di stati d’animo fondamentali e profondi.

Negli atteggiamenti di questi personaggi Cesare Baracca riconosce inoltre anche gli indizi di una ritualità (Bacco; Le due Veneri; San Sebastiano) che apre ad una dimensione ulteriore, espressa nel terzo gruppo di lavori presenti in mostra, cui attribuisce il titolo (invocatorio) di DIS MANIBVS. In esso il presente viene radicalmente investito da una temporalità mitica e rigenerante. Un Antico non edulcorato dall’erudizione, popolato da divinità greco-romane afferenti in genere ad una certa religiosità ctonia (Mania, Lara, Tacita, Ecate), irrompe allora sulla scena del mondo desacralizzato in maniera non pacificata né pacificante, con lo scopo manifesto di ricollocare, attraverso la pittura, questo stesso presente “nella giusta dimensione, quella dell’eternità”. In questa nuova e demistificante prospettiva vacillano certezze date solitamente per acquisite. Ogni azione umana –  arte compresa – è ineluttabilmente destinata ad esser caduca e nel dialogo pittorico e ideale tra Cronos e la Scultura il primato è sempre assegnato al tempus edax, capace di divorare anche la pietra. La metropoli, teatro dell’apparenza contemporanea, crolla adesso rovinosamente sotto lo sguardo impietoso di un Ares distruttore in Polvere sulle città e la crudele Furia, personificazione della nemesi contro l’ordine economico occidentale ormai giunto al collasso, assiste soddisfatta al disastro in Brucia la Grecia.                        (Lorenzo Mantile)

 Cesare Baracca nasce a Fusignano nel 1965. Ha studiato alle Accademie di Belle Arti di Ravenna e di Bologna diplomandosi in pittura nel 1990 con una tesi su Piero Manai. Docente presso l’Università per Adulti di Lugo (RA) e alla Scuola di Disegno del comune di Fusignano (RA). Fondatore dell’associazione culturale B52. Hanno scritto di lui: Gian Ruggero Manzoni, Aldo Savini, Giovanni Scardovi, Marinella Bonaffini, Sabrina Foschini, Sabina Ghinassi, Pier Marco Turchetti, Giancarlo Papi, Carlo Vita Fedeli, Lorenzo Mantile, Maria Rita Bentini, Michela Becchis, Marisa Zattini. Risiede a Masiera di Bagnacavallo (RA).

Hangover Hotel / Cesare Baracca / 1-30 marzo 2014. Rimini Museo della Città  0541/704416 Orari mostra: dal martedì a sabato 8,30-13/16,00-19,00 Domenica e festivi 10,00-12,30/15,00-19,00 Lunedì chiuso – Ingresso libero / INFO: www.museicomunalirimini.it

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