“Conflitto in Palestina, proponiamo San Marino come luogo di dialogo”

“Conflitto in Palestina, proponiamo San Marino come luogo di dialogo”

“Proponiamo San Marino come luogo di dialogo: il percorso è lungo ma va iniziato. Abbiamo l’autorevolezza internazionale per poterlo fare”.

E’ questa la proposta che arriva da Libera. “Le violenze in corso in questi giorni fra Israele e gruppi palestinesi sono le più intense che le parti abbiano mai affrontato.

Secondo i dati del ministero della Salute palestinese, il bilancio dall’inizio delle ostilità è di 197 vittime di cui 52 minorenni.

Ciò che sta accadendo non può e non deve lasciarci indifferenti.

Padre Ibrahim Faltas, Discreto della Custodia di Terra Santa, che conosce profondamente la situazione di Gerusalemme e che ho avuto il piacere di conoscere proprio a Gerusalemme nel 2018 con la visita della Reggenza su invito della Custodia Francescana e che ci ha accompagnato ai luoghi sacri e di solidarietà, descrive in questo modo il conflitto: “Da quando sono iniziati gli scontri a Gerusalemme, alla porta di Damasco e alla spianata delle moschee, la protesta e la violenza si è scatenata, tra la popolazione, sino ad avere più di 200 focolai di rivolta tra città e villaggi in tutto il Paese. Stiamo assistendo inermi, ad una violenza uomo contro uomo inaudita, una violenza che sta esplodendo con tutta la rabbia da entrambi le parti, giovani israeliani e giovani arabi, forse ereditata dal grande fallimento delle risoluzioni applicate nel 1967, e dall’indifferenza della comunità internazionale di trovare una soluzione per il conflitto tra Israele e Palestina, che sembra ormai arrivato ad un tragico bivio: siamo sull’orlo di una guerra civile.”

Il senso delle espressioni di padre Ibrahim si riassume in una sola parola: stanchezza. “Di qua e di là” afferma una giornalista ebrea, attivista per la pace in una testimonianza che ho avuto modo di leggere: “Siamo a pochi giorni di guerra e mi sembra siano passati mesi. Solo 15 giorni fa si parlava del vaccino, di immunità di gregge e della burocrazia legata ai viaggi all’estero, dei giovani liberi di tornare nei bar. Oggi non si parla che di vetri, razzi.”

Ciò che si percepisce in queste affermazioni è una inadeguatezza da parte di tanti israeliani e palestinesi che non riescono a fronteggiare questa situazione: da un lato, sono desiderosi di continuare a vivere insieme nel rispetto reciproco e, dall’altro, si sentono tirati – lacerati – da forze estremiste che un tempo latenti oggi sono emerse con drammatica virulenza.

Sì perché senza fare cospirazioni, in un certo senso c’è una coalizione informale fra Netanyahu, presidente d’Israele e Hamas, organizzazione religiosa islamica palestinese: si salvano a vicenda. Ma a soccombere sono centinaia di civili e c’è sfiducia sempre più crescente anche da parte di chi, in Israele e Palestina, vorrebbero la pace.

In Israele non si vuole, però, che un futuro Stato palestinese si trasformi in un’altra Gaza e tra i palestinesi si va smarrendo fiducia nella possibilità di raggiungere lo storico obiettivo di una propria patria.

Le azioni di Hamas, infatti, hanno congelato i negoziati politici israeliani, mentre Netanyahu negli ultimi anni ha lasciato che Hamas, si rafforzasse anche militarmente, indebolendo indirettamente Abu Mazen, Presidente della Palestina.

Gli estremisti foraggiano l’odio, la tensione fra i popoli, mentre è il “cessare il fuoco” l’unico messaggio che deve arrivare dalla comunità internazionale che invece è troppo silente nella reazione agli accadimenti a Gaza.

Il Consiglio di Sicurezza Onu si è riunito per cercare di fermare le ostilità, per creare un corridoio umanitario volto ad evacuare le zone colpite più duramente, mentre migliaia di palestinesi sono costretti a lasciare le proprie case per trovare rifugio dalle bombe. Ma è troppo poco.

Anche dalla nostra Repubblica, terra di pace e di dialogo, deve arrivare un messaggio forte e chiaro volto alla pace, allo stop alla guerra, alla condanna del linguaggio del disprezzo, dell’antagonismo- ricordiamo che la comunicazione fa la differenza- ad un’azione comune, non più rinviabile che possa portare ad avviare subito un percorso culturale che si fondi su dialogo, convivenza, rispetto, tolleranza e diritto.

Il diritto legittimo alla sicurezza del popolo israeliano ed il diritto del popolo palestinese ad avere un proprio Stato che goda di autonomia e di sovranità.

San Marino si renda protagonista di questa iniziativa: avviamo un luogo di confronto permanente per la crisi in Medio Oriente che metta al centro il confronto politico, diplomatico, istituzionale, invitando esponenti di altri Stati, che consenta di mettere in campo proposte, partendo dalle scuole, volte al dialogo, al rispetto, alla libertà. San Marino ha la credibilità internazionale e tutte le skills per essere portavoce autorevole e rispettato nei contesti internazionali. Io, visti i rapporti con vere autorità locali Padre Ibrahim su tutti, ma anche il Patriarca Latino Pizzaballa, inizierei a sviluppare sinergie e attribuire incarichi diplomatici a tali soggetti, vere e proprie autorità locali, che possano promuovere con azioni concrete San Marino come luogo di incontro e di dialogo.

Il percorso di rispetto reciproco sarà lungo ma va iniziato. Non possiamo farci governare da odio e vendetta ma da dialogo e diplomazia e San Marino, come sempre, farà la sua parte”.

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