Da che ho memoria

Da che ho memoria

Di Milena Michelotti

Sarah Scazzi, agosto 2010, la prima disgrazia che mi sconvolse.
La vicenda è travagliata, piena di intrighi, invidia e vergogna. Il folle e disperato desiderio dello zio di Sara: coprire la donna amata e la giovane figlia, per proteggerle dalla gelida vita che avrebbero dovuto passare in prigione. Una vittima, tre colpevoli. La madre Cosima e la figlia Sabrina, rispettivamente zia e cugina di Sara, compirono l’atto: condannate all’ergastolo dalla Suprema Corte di Cassazione nel 2017. Michele Misseri, lo zio di Sara, condannato ad otto anni di reclusione, per soppressione del cadavere ed occultamento delle prove.
La rilevanza mediatica dei social era ancora forse troppo poca per dedicarle attenzione. Non c’era il dovuto spazio per dare voce alla carneficina di quella ragazza di 15 anni, rendendola una paladina del cambiamento, il simbolo del femminicidio.

Yara Gambiraso, lo stesso anno, novembre.
Scomparsa a soli 13 anni. Assassinata da Massimiliano Giuseppe Bossetti in seguito ad un’aggressione sessuale definita dalla Corte Suprema: un’avances a sfondo sessuale. Lungo il processo, fu difficile identificare il colpevole. Devastante la vicenda per tutta Italia. Una sconfitta per tutti noi.

«Non siamo in grado di proteggere le nostre bambine…» «Non mi sento al sicuro a camminare sola per strada…»«Non posso fidarmi di nessuno…»
«Il problema sono gli uomini!»
«No! Il problema sono i genitori irresponsabili! Fanno figli e non se ne prendono cura!» I cittadini gridano ora e puntano il dito. Ma chi è il vero colpevole?

Questi, sono i primi due eventi di femminicidio di cui ho memoria. A quei tempi nemmeno sapevo si chiamasse femminicidio e che sarebbe diventato sempre più ricorrente.
Tenterò di analizzare le caratteristiche di un caso che ha fatto e sta facendo ancora parlare molto l’Italia. Ormai, le voci si sono fatte più flebili. Qualcuno ha deciso di non esprimersi e tacere sin dall’inizio, a qualcun altro s’è spento il caldo fervore che ha subito seguito la vicenda, qualcuno, aimè ha dimenticato. Un caso che, pareva avesse dato inizio a un vero cambiamento sociale, dal quale potrebbero conseguire processi di sensibilizzazione che riguardano tematiche delicate le quali, ad oggi, potremmo definire tabù. Sto parlando dei casi di omicidio femminile, anche detti casi di femminicidio. Nel 2021 sono stati stimati cinque femminicidi all’ora in tutto il mondo. Sarebbero centoventi al giorno, oltre 43mila in un anno. E queste cifre sono in costante aumento. Nel 2023, solo in Italia, è stata tolta alla vita a una donna ogni tre giorni circa.

 

IL FILO DI ARIANNA

Che cosa affronta una donna quando è vittima di violenze? In un uomo che l’ama cosa succede? Cosa sente?
Che terapia si applica ad un dolore così grande?
Come si può sostenere questo genere di domande? 1

Settantuno i casi di femminicidio in Italia nel 2015. Centoventiquattro nel 2022. Centocinque dall’inizio del 2023. Sembra ci sia un qualche assurdo record da superare…
Per quanto riguarda le violenze domestiche? I tentati omicidi? Lo stalking? I casi si verificano più volte, al giorno e non sempre una denuncia, o un ordine restrittivo, bastano a salvarsi la vita. Inoltre, non è così facile determinare la gravità di una situazione quando vi si fa parte di essa. Le parole di amici e parenti risultano eccessive e, qualche volta, o meglio, troppe volte, l’esisto è irreparabilmente macabro.

«Basta! Questa è l’ultima volta che accadrà! Da oggi ci sarà un cambiamento!»
Da oggi si cambia…
Oggi si cambia…
Si cambia…

Rimando a domani.

Da domani cambiamo, lo giuro, faccio solo l’ultimo “sgarro”. Come se, uccidere, fosse uno sciocco peccato di gola fatto prima di iniziare la dieta, prima che torni il lunedì e così non ci saranno più scuse per rimandare.
Rimando a domani. Nel frattempo tentiamo invano di tamponare la ferita con dell’acqua. Una proposta di legge, sì, sarà perfetta. Una proposta di legge che imponga una pena maggiore ai carnefici che si rendono protagonisti in atti di femminicidio.

Basterà? Ma sì, le persone hanno una tale paura di finire in prigione, figurati se uccideranno ancora. Intanto mi risuona in testa questo numero: centodiciotto. Centodiciotto vittime nel 2023. Nel frattempo che io sto scrivendo e l’anno nuovo trascorrendo (assieme i suoi fantomatici buoni propositi), le vittime crescono. Mi chiedo: chi sarà la prossima? Chi avrà il dovere di raccogliere il testimone che Giulia, senza più forze per combattere, ha lasciato cadere a terra esanime?

«Sono stanca di lui, vorrei che sparisse, vorrei non avere più nulla a che fare con Filippo, ma ho troppa paura si faccia del male, è troppo depresso»
Perché allora non se ne è andata? Forse, non aveva gli strumenti. Ne deriva il tentativo di aiutare un ragazzo e fargli capire che lei ci sarebbe stata per lui, anche dopo la fine della relazione. Mentre, invano, dava la conferma a quel ragazzo che lei lo avrebbe aiutato e gli sarebbe stata vicino, lui la perseguitava. Non gli bastava la sua amicizia, aveva bisogno di Possederla. Lei doveva essere sua per sempre. Mentre, probabilmente, sulle spalle di Giulia gravava il peso del senso di colpa di non poter “salvare” quello che fu il suo ragazzo.

Non è che se amo una donna la possiedo, è mia
Ma l’idea di un tradimento mi fa a pezzi l’autostima. 2

Intanto l’acqua scorre su quella ferita e tutto si colora di rosso. Il sangue continua a scorrere a braccetto con quell’inutile proposta di legge. La ferita non si è ancora chiusa e la carneficina si accatasta.

Da che ho memoria, mostriamo solidarietà per quindici secondi. Tempo di una breve storia su Instagram; l’istantaneo passaggio di uno stato su Facebook a cui metti like e magari condividi o commenti per far sapere che anche tu sei dalla parte dei “buoni”; un post su Twitter (ora chiamato “X”), qualche parola su TikTok che si confonde tra la leggerezza di un “trend”.

E poi? Poi ce ne dimentichiamo, per lasciare spazio alla prossima serie di sfortunati eventi che si faranno carico di una rivoluzione da quindici secondi.
Magari, anche a Filippo è capitato di pubblicare qualcosa sui social, o semplicemente parlare con gli amici delle ingiustizie. Lui, come tutti, sa riconoscere il bene e il male, per questo, io credo, sia stato definito “un ragazzo tranquillo”. Nessuno avrebbe mai detto che sarebbe stato capace di una tale azione.

Che fine fa la nostra voglia di cambiamento? Dov’è finito tutto quel coraggio di esporsi di fronte a tematiche che ci toccano in quanto esseri umani? Che fine fa il ricordo di coloro che hanno perso la vita? Che fine fa la voglia di cambiare le cose? Che fine fa la lotta anti-razzista? I diritti per le donne? L’uguaglianza? La pena di una madre, un padre, una famiglia che perde i suoi cari? Dove riponiamo la consapevolezza che la morte, di un uomo, una donna, un bambino, ci fanno nasce da dentro?

Giulia Cecchettin, 22 anni, novembre 2023
Tredici anni dopo.
Nel frattempo sono morte quasi duemila donne dopo Sarah e Yara.
Nulla è cambiato.
Sabato 11 novembre 2023: parte l’allarme per Giulia Cecchettin e l’ex fidanzato Filippo Turetta, spariti durante la notte. Visti allontanarsi con un veicolo di colore nero. Esclusa la fuga d’amore da entrambe le famiglie dei ragazzi.
Ci aggiornano sui dettagli giorno per giorno. L’autovettura è in movimento. Giulia sarà ancora dentro quella macchina? Oppure è già morta? È quasi certo a tutti, ma un raggio di speranza continua a farsi strada tra le case dei cari di Giulia e anche tra quelle di Filippo.
«Voglio fare un appello a mio figlio Filippo e chiedo per favore a lui e Giulia di tornare a casa» stretto a sua moglie e con le telecamere puntate il padre di Turetta.
Intanto il macabro ritrovamento del corpo privo di vita di Giulia…

 

Sabato 18 novembre 2023: una settimana dopo l’accaduto. Arriva l’esito delle analisi fatte sul cadavere: «È morta dissanguata dopo circa venticinque minuti di lotta per la vita». I tagli sulle braccia e sulle mani sono dovuti al suo istinto di salvezza.

«Vaffanculo Filippo!»
«Devi morire!»
Le grida ricolme di rabbia della gente risuonano nella mia testa e feriscono come coltellate.

Intanto il padre di Filippo confuso dalla situazione, si sente colpevole, ha il dito di tutta Italia puntato addosso. Ha affermato che avrebbe preferito un esito differente, ma chissà a quale dei tanti possibili esiti si riferisse. Cerca di cancellare le allusioni fatte in precedenza e afferma: «Sono contento mio figlio torni a casa»

«Fai schifo! Se tuo figlio è un assassino è colpa tua!»

Tutto questo odio, tutta questa rabbia, non mi appartengono. Cos’hanno in comune gli esseri umani che si macchino del peggior crimine le mani? Cos’hanno in comune tutti questi omicidi? Il dolore, un dolore che non hanno saputo gestire, un’educazione che non hanno mai avuto. Nessuno vorrebbe mai il proprio figlio diventi un assassino e nessuno vorrebbe mai diventare il “cattivo”, ma nessuno, nessuno, si prende la responsabilità di una società priva di supporti. Non c’è genitore che voglia vedere i propri figli fare le scelte più sbagliate, scelte che possano portarlo ad una via senza ritorno. Ma dar la possibilità ai propri figli di un supporto esterno alla famiglia è un affronto. Quindi? Che facciamo? Restiamo ignoranti, in attesa della prossima proposta di legge.

Accanirsi contro Filippo come fosse il mostro di Italia non ha senso. Tutta questa rabbia, tutto questo odio, andrebbero utilizzati diversamente. Bisognerebbe urlare alle grandi istituzioni che i nostri figli, Noi, dobbiamo essere educati, dobbiamo essere aiutati a gestire ciò che sentiamo.
Ma sappiamo solo puntare il dito contro i piccoli pesci. Una famiglia simbolo del patriarcato quella di Filippo, dicono. Non si tratta della sua famiglia, si tratta della società intera, di tutto il Mondo. E incolpare il patriarcato dei nostri problemi non è la soluzione. Trovare un colpevole può aiutarci a risolvere il problema, ma ciò che va cambiato è alla base, alla radice più profonda ed è dentro di noi.

 

LA PARTE SADICA

Ho dei pensieri strani: a lei farei del male fisico
Per farle sentire cosa ho dentro e quanto tanto mi spaventa
Oh, adesso ti impressioni? Il mio dolore è un eufemismo
Non lo sai quello che sento, però lo vorrei tantissimo.3

Nessuno nasce cattivo. Siamo composti di tante piccole parti, alcune positive ed altre negative. Queste parti coesistono per tutta la vita in noi e l’esistenza di uno squilibrio emotivo interiore può portare a seri problemi. Ognuno di noi ha in sé una piccola parte sadica. Alcuni la sviluppano più di altri, alcuni si fanno sopraffare, si perdono e non trovano più alcuna via di uscita.

C’è chi si toglie la vita e chi fa del male ad altri…
Per aiutare questi soggetti bisognerebbe applicare tecniche di psicanalisi, ossia strumenti adatti ai casi di incapacità nella gestione delle emozioni. La psicoterapia, a discapito di quel che le generazioni precedenti (dalla quale apprendiamo idee e stile di vita), aiuta a conoscere e saper controllare tutte le parti che abitano in noi, facendole dialogare, curandole dalle emozioni inespresse e le paure non dette. Io non credo che tutti gli uomini siano marci dentro, non credo siano tutti assassini, ma penso che molti di noi siano cresciuti in un contesto di disuguaglianza e potere maschile. Non solo noi donne ne siamo vittime, ma anche gli uomini, tutto il genere umano ne è vittima e colpevole allo stesso tempo. Ancora una volta, non va ricercato un colpevole nel nostro albero genealogico. Continuare a darsi la colpa l’un l’altro non aiuta, cogliere il problema e tentare di risolverlo sì. Dare colpe serve solo in un primo momento di presa di coscienza, ma poi, siamo noi, singoli esseri umani, a dover agire per il cambiamento. Altrimenti finiremmo ancora e ancora nel vortice del vittimismo, che non ha mai condotto da nessuna parte. Siamo esseri senzienti e capaci di prendere decisioni proprio per il fatto che inizialmente l’esterno ci indica un ventaglio di possibili vie da intraprendere e condiziona anche nelle nostre scelte. Dentro di noi si generano risposte, avviene un’interpretazione del mondo che è un insieme tra interno ed esterno e, alla fine, chi agisce, siamo proprio Noi.

Se esistesse la possibilità di avere un’adeguata educazione emotivo-sentimentale in primis e sessuale poi, la ferita potrebbe essere tamponata. Se tutti crescessero con dei sani valori e principi la ferita potrebbe anche chiudersi, lasciando sì una cicatrice del terribile ricordo passato, ma al contempo un possibile buon ricordo in futuro.

Ma il sangue scorre come un fiume in piena e quello che vorremmo tutti fosse solo un brutto ricordo continua ad essere attuale

 

IL FEMMINISMO

Femminismo… una parola che non amo, in quanto nel tempo è stata profanata dall’estremismo. Come ogni termine con il passare degli anni e dei secoli cambia, assume sfumature differenti, anche questo ha avuto la dolorosa sorte di acquisire un significato di odio verso il genere maschile da parte del genere femminile. Gli uomini, quando sentono questo termine si sentono messi da parte. Come biasimarli? Il significato di questo termine è stato denaturato completamente.

Femminismo: lotta di genere, per pari diritti, per la parità dei sessi in ogni ambito da quello lavorativo a quello professionale a quello etico-sociale. Uomini e donne uguali in tutto e per tutto.
Dobbiamo usare un termine diverso per farci capire e per farci sentire: Uguaglianza. Sì, uguaglianza, e dobbiamo urlarlo a gran voce. Non solo per le donne, non solo per gli uomini, ma per tutti!

Un ragazzino esausto dal bullismo perché omosessuale si suicida. Non è forse la società complice del suo suicidio?
Scuotendo la testa tra amarezza e delusione con un fil di voce roca in coro: «Poverino, si è ammazzato, è l’atto più codardo del mondo… lasciare il dolore nelle mani dei suoi cari».

Ma sapete che ha dovuto passare quel codardo? Sapete cosa significa non sentirsi rappresentati? Sapete cosa significa non avere diritti? Sapete cosa significa sentirsi dire:
«Frocio di merda!»
«Lesbica!»
«Puttana!»
«Se lo meritava, guarda come si vestiva»
«Beh, era ovvio sarebbe successo, doveva allontanarsi da un pazzo come lui».
Vi siete mai fermati a pensare: «e se ci fossi statǝ io nei suoi panni? Che cosa avrei fatto? Come si sarà sentitǝ?»

Fermatevi a ragionare.
Pensate.
Fermatevi e pensate.
Cosa avreste fatto? Come vi sareste comportati?
«Perché a me?» come un tamburo in testa. Che aveva fatto Giulia di male? E Sara? Oppure Yara? Cosa hanno fatto le centodiciotto vittime dello scorso anno e le cinque che hanno perso la vita dal primo gennaio ad oggi? Cosa avevano in comune tutte queste vittime? Tutti figli della stessa schiava: la società. Una società malata, che vorrebbe conquistare il futuro stando al passo con l’evoluzione, ma macchiata dal passato. È come un cane che si morde la coda. Vogliamo cambiare, ma senza cambiare nulla, perché è più facile adagiarsi in quella che è la propria “comfort zone”, piuttosto che sedersi su un gelido pavimento pieno di vetri rotti.

E quindi accettiamo quella maledetta proposta di legge, fingendo di credere nel cambiamento, ma dentro sappiamo che sarà l’ennesimo sgarro prima del prossimo lunedì, così potrò finalmente iniziare la dieta, così, potremo finalmente cambiare il mondo.

Dovremmo voler fare occhio per occhio di fronte alle ingiustizie che circondano le donne? Facendo sentire gli uomini nello stesso modo in cui ci siamo sentite (e ci sentiamo) noi? Questo condurrebbe ad un cambiamento? Non penso proprio. Questo porterebbe a nuovi disequilibri, a nuove disuguaglianze. Ciò non porterebbe da nessuna parte. Finché Noi tutti, indipendentemente dal sesso, dal genere, dalla razza e dalla religione, non ci assumeremo le nostre responsabilità, nulla potrà mai cambiare.

È al limite dell’utopico, ma dovremmo cancellare il modo in cui Tutti abbiamo pensato fino ad ora e ricominciare da capo.

Sento dire «è colpa di noi Uomini! Prendiamoci le nostre responsabilità dell’accaduto!». Perché la colpa dovrebbe ricadere su Tutti gli uomini? Che avrebbero fatto di male gli uomini? Come se potessero effettivamente nascere con un peccato originale che li perseguita: ASSASSINI!

Non penso che gli uomini si sentano rappresentati da questo termine. Nessuno si sente rappresentato da questo termine, perché non nasciamo macchine da guerra che pianificano omicidi in culla. Qualcosa nella vita delle persone si rompe, si creano delle connessioni tra la parte sadica che esiste in noi, ma non tutti sanno gestire queste emozioni. Sia chi sceglie di togliersi la vita, che chi uccide, togliendo la vita e decidendo quale sia la fine per altri.

Siamo esseri umani, perduti, e abbiamo la necessità di qualcuno che sappia darci i dovuti supporti.

 

GIULIA

Se domani sono io, mamma, se domani non torno, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.4

Cosa c’è di diverso questa volta? Perché la sua morte sembra essere la goccia che ha fatto traboccare il vaso? È la potenza mediatica che è aumentata? La giovane età dei due coinvolti nella vicenda? È forse a causa del giallo che è venuto a compiersi attorno all’inseguimento di Filippo? Il fatto che veramente siamo stanchi di una madre patria ignorante progenitrice di tabù e figlia del silenzio. Una società a cui non viene insegnato come affrontare le proprie emozioni. Una società a cui viene implicitamente insegnato di essere forti, di non piangere, di non avere paura e di non mostrare di averne, mai. Preservare la propria integrità a qualunque costo. Una società a cui viene detto di farcela da soli. Una società a cui viene insegnato che lo psicologo è solo per i malati mentali e la sessuologia fa paura perché «Chissà come cresceranno i nostri ragazzi! Perderanno la verginità troppo presto! Sono troppo piccoli per il sesso!».

Troppo presto per parlare di sesso e di emozioni, troppo tardi per salvare le centodiciotto donne morte lo scorso anno, o le oltre centoventi del 2022, quelle prima, quelle che saranno e quelle che stanno uccidendo in questo preciso istante da qualche parte nel mondo.

Serve un’educazione e dobbiamo smettere di posticipare.
L’educazione sessuale non è solo affare degli adulti. Certo, i tempi sono cambiati, probabilmente la tecnologia a cui siamo sottoposti giornalmente ci impone, volenti o nolenti, di crescere a volte prematuramente. Non possiamo fermare l’inarrestabile flusso delle informazioni a cui siamo sottoposti, ma possiamo tentare di stare al passo con queste ultime e prevenire. Anzi! Abbiamo il dovere di stare al passo con i tempi e con la velocità evolutiva che contraddistingue il ventunesimo secolo.

 

COSA POSSIAMO FARE?

Immagino un futuro, molto prossimo, se non immediato, in cui l’educazione sessuale e la psicologia fanno parte dell’educazione scolastica. Un supporto che nasca sin da bambini, quando la prevenzione può ancora attecchire come cura. Immagino scuole elementari in cui da una parte vengano resi noti i diritti umani e, dall’altra, aiutati i bambini ad esprimere le proprie emozioni per metterli in relazione con i propri valori e quelli degli altri. Immagino un futuro in cui la rabbia venga sdoganata e accettata. E parlo della sana rabbia, non quella esplosiva, o per meglio dire, nociva (a noi stessi e il prossimo). Spero in un futuro in cui le lacrime non sono sinonimo di debolezza, ma sono capacità di espressione. Sogno e immagino un futuro in cui i bambini imparano a fare i conti con la frustrazione. La frustrazione dovrebbe essere uno dei primi sentimenti con cui ci troviamo a far fronte da bambini. Sentirsi dire “No!” è la cosa più sana che possa fare un genitore, un tutore o un qualsiasi adulto. È naturale che non debba diventare una scusa per far crescere i posteri in una condizione di assoluta negazione. È ovvio che non si debba sempre dire di no e che esistono compromessi sui quali è possibile ragionare. Ma per scendere a questi compromessi bisogna Educare.

La frustrazione è dura da accettare, ma prima la s’impara, più facile il boccone è da deglutire. Prima s’inizia a far fronte con i “no” che ci vengono detti dagli altri, meno amara è la lezione d’apprendere. Quello che accomuna tutti questi casi di femminicidio potrebbe proprio trovarsi qui: dietro una mancata capacità di convivere con la frustrazione di sentirsi dire un “no”. Si potrebbe dire che, più che accomunare le donne, più che spiegare il perché delle loro morti, possa trovare qualcosa in comune tra tutti gli esseri umani che per “amore” (come dicono loro), si sono macchiati le mani di sangue.

 

IL PATRIARCATO page5image29881552

Il patriarcato è tiranno di tutti o solo delle donne?
Io me ne sento più vittima che altro, ma con chi ne parlo?
Fuori dicono di essere furbo, di essere forte

Se esterni quello che provi, sei debole oppure un pazzo5

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Sii forte. Non importa in che modo, ma sii forte. Non possono vedere la tua debolezza, le tue angosce, le tue paure. Non parlarne mai a nessuno, potrebbero giudicarti, potresti essere visto come un debole. Rifiuta ogni aiuto, non metterti mai in discussione, non crollare, almeno, non in pubblico. Sii forte.

Quando penso al patriarcato mi viene in mente questo. Il patriarcato per me è come un enorme corazza culturale che ci costringe a nascondere ciò che sentiamo, che non ci permette mai di essere noi stessi fino in fondo e che ci logora dall’interno, fino a condurci alla follia. Il patriarcato è per me quella comfort zone, che non per forza è positiva, ma abitudinaria e perciò più accettabile, meno destabilizzante.

Non ne sono vittime le donne e nemmeno gli uomini. Ne è vittima l’intero genere umano.

“Perché per Giulia sono stati fatti tanti servizi e post sui social? Perché, questa ragazza di 22 anni, perdendo la vita, ha fatto scrivere tanti giornalisti, psicologi, letterati, attivisti. Perché Giulia sì ed altre donne prima di lei non ebbero tanta risonanza?”
Me lo sono chiesta anche io per un momento, ma poi ho capito. Giulia è un simbolo. Non è solo la sua storia in stile poliziesco ad averci scosso. Non possono essere state le leggende che sono andate a crearsi attorno alla fuga di Filippo (si dice il suo tragitto abbia creato il disegno di una rosa). Questa volta c’è dell’altro mi dico. Questa volta voglio (e non vorrei) che sia diverso e mi accodo ad Elena che si sta battendo, che non vuole dimenticare, anche se lasciare una ferita scoperta per tanto tempo è molto doloroso. Voglio che da quella ferita esca il veleno che si è mescolato al sangue. Non posso più stare ferma a guardare e accettare quel che accade ogni giorno sotto ai nostri occhi, a fianco le nostre case. C’è troppo sangue che ricopre le strade e io non riesco più a vederci chiaro. Voglio che la mia vista venga rischiarata, voglio che qualcosa cambi.

Non dimenticate. Non lasciate che il trascorrere dei giorni v’inibisca da ciò che continua ad accadere. I criminali sessuali esisto, gli omicidi di razza o genere esistono e, i femminicidi, sono all’ordine del giorno. Non restate fermi a farvi travolgere dai notiziari che, come i social, c’inondano di informazioni. Filtrate ciò che è di vostro interesse, filtrate ciò che vi fa arrabbiare intaccando i vostri valori e agite per difenderli. Non, dimenticate.

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1 “Solo Domande”, dal disco HABITAT, Nayt (2023)

2 “Solo Domande”, dal disco HABITAT, Nayt (2023)

3 “Guerra Dentro”, dal disco HABITAT, Nayt.

4 Se domani sono io poesia di Cristina Torres Càceres contro la violenza sulle donne, riportata in auge da Elena Cecchettin dopo la morte della sorella minore Giulia.

5 “Solo Domande”, dall’album HABITAT, Nayt.

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