Davide Siliquini, Csdl: No al referendum sui problemi del lavoro

Davide Siliquini, Csdl: No al referendum sui problemi del lavoro

Se si abdica al ruolo contrattuale del sindacato, per il paese non c’è futuro
Pensare di arginare gli attacchi frontali allo stato sociale e ai contratti collettivi di lavoro con il nobile strumento referendario, potrebbe risultare utopistico e velleitario. Questo per il sindacato è il tempo in cui avere coraggio. Coraggio di fare  i contratti anche in un periodo di crisi, per ridare fiducia e speranza ai lavoratori e al paese
di Davide Siliquini – membro Direttivo Confederale CSdL
22 aprile 2012 – La crisi mondiale, che per San Marino si è declinata anche in una crisi di sistema, ci ha fatto riscoprire l’importanza dell’economia reale, squarciando quel velo ovattato sotto al quale, con ingenuo o indotto disincanto, si era largamente maturata la convinzione che la finanziarizzazione dell’economia, spesso spregiudicata, avesse perpetuato i suoi facili ed effimeri guadagni all’infinito. Per questo non è più procrastinabile riprogettare per la Repubblica un nuovo modello di sviluppo in un’economia globalizzata, conditio sine qua non per assicurare un futuro ad un Paese che, tra non scelte e black-list, lentamente sta andando verso il declino.Però, se anche la competizione internazionale richiederà sacrifici, cambiamenti e nuovi paradigmi per tutti gli attori in campo, da un elemento non si potrà a mio avviso prescindere, che è quello di rendere ancora una volta protagoniste le maestranze, valorizzando i lavoratori e le loro aziende attraverso la firma dei contratti di lavoro scaduti ormai da troppo tempo, in particolare quello dell’industria.

Il contratto, oltre ad essere per antonomasia lo strumento con il quale, tra l’altro, si definisce l’incremento delle retribuzioni, assume oggi più che mai una valenza intrinseca ed inalienabile di civiltà e democrazia. Per questo, anche se ho profondo rispetto per ogni strumento democratico, non mi convince la proposta referendaria che punta solo a dare soddisfazione di tipo economico.

Mi sembra una scorciatoia e un miraggio abdicare al principale ruolo del sindacato, che è quello di fare i contratti, e non il referendum sulla scala mobile e/o strumenti affini. Mi asterrò dal fare l’esegesi di questo meccanismo automatico che credo avesse una sua ratio in un’altra fase storica, ma ritengo che se in Europa si è aperto il dibattito (in casi del tutto isolati) sull’opportunità di pensare a nuovi strumenti di salvaguardia delle retribuzioni, è altresì  vero che la peculiarità dell’erga omnes è una prerogativa della Repubblica di San Marino, una ragione in più per adoperarsi  al fine di siglare i contratti.
Un altro motivo su cui invito a riflettere è il pericolo che si cela dietro al fatto di delegare ad altri soggetti, che non siano esclusivamente i lavoratori e i datori di lavoro, la facoltà di determinare le condizioni economiche, e cioè il fatto che la politica potrà e vorrà arrogarsi il diritto di determinare anche le condizioni normative; in tal senso mi pare che alcune avvisaglie ci siano già state (vedi le deroghe ai contratti richieste dall’ANIS a livello aziendale)…
Non ho dubbi sul fatto che la copertura dell’inflazione sia un diritto, così come quello ad un lavoro non precario, ma i diritti quasi mai sono stati concessi per legge ma si sono dovuti conquistare, così come è stato nelle vertenze contrattuali del 2002 e del 2005, con la battaglia di civiltà fatta dai lavoratori dell’industria; fu la legge a recepire poi i contratti.
Per questo come sindacato, che da tempo non è solo di protesta ma anche di proposta, pur nella consapevolezza delle difficoltà contingenti, dobbiamo concentrarci a fare il nostro mestiere che è quello di provare a fare i contratti con la concertazione, se è possibile, oppure con la mobilitazione. Altrimenti, se rinunciamo a svolgere il nostro ruolo contrattuale, come possiamo rivendicarlo sulle riforme e sui progetti di sviluppo che servono al Paese? Lungi da me il voler innescare una visione manichea della questione, ma credo che in gioco ci sia il modello di sindacato del futuro ed è per questo che invito a fare un’attenta riflessione.  
La proposta referendaria potrebbe sterilizzare in questa fase la possibilità di fare maturare convinzione e consapevolezza nelle potenzialità del movimento, mentre occorre adoperarsi per verificare da un lato quali possono essere le ipotesi di compromesso accettabili, come ha fatto la Federazione Industria, e dall’altro le eventuali iniziative di mobilitazione propedeutiche a sbloccare le trattative.
Pensare di arginare gli attacchi frontali allo stato sociale e ai contratti collettivi di lavoro con il nobile strumento referendario, a mio avviso potrebbe risultare utopistico e velleitario. C’è un tempo per ogni cosa e questo per il sindacato è il tempo di avere coraggio. Coraggio di riuscire a fare i contratti anche nella crisi, per riportare fiducia e speranza nel futuro: lo bramano i lavoratori ma soprattutto lo merita il Paese.
 

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