Giovani: Educazione alla Cittadinanza

Giovani: Educazione alla Cittadinanza

Come abbiamo visto in precedenza, la tematica che affronteremo durante il gemellaggio dei giovani in Diocesi è l’educazione. Tuttavia, vista l’ampiezza della tematica, abbiamo pensato di toccare in maniera più attenta alcuni ambiti riguardanti la vita dei giovani, per la precisione tre, proprio per la loro grande attualità dal punto di vista educativo. Il secondo di questi, sul quale ascolteremo le istanze dei nostri giovani, è l’educazione alla cittadinanza nei suoi vari aspetti.
Occorre subito chiarire che quando si parla di cittadinanza non si parla solo di diritti (“sono di cittadinanza italiana”), né solo di sentimenti (“mi sento italiano” o “mi sento cittadino del mondo”). Cosa sia la cittadinanza si comprende forse meglio se si pensa ad una prassi come, ad esempio, lo sport, il lavoro, la lingua. Ovviamente si tratta di prassi, di attività che suppongono sentimenti e che sono regolate da diritti (e da doveri). Ma sentimenti, diritti e doveri ne sono solo alcune dimensioni.
In particolare, la cittadinanza è quel genere di prassi attraverso la quale degli individui, uomini e donne, di qualsiasi età e condizione, concorrono alla produzione di beni di cui non saranno loro a godere: questa è la cittadinanza.
Non che soddisfare i propri bisogni e i propri desideri sia un delitto, sia chiaro! E’ solo un’altra cosa. Come posso giocare a pallone e andare in piscina, e sono cose belle entrambe, posso anche spendere del tempo per collaborare alla produzione di beni di cui non sarò solo io a godere, ma tendenzialmente tutti. Quando voto, quando dono il sangue, quando protesto contro la mafia, quando sono disponibile a partecipare a una giuria popolare in tribunale, quando presto servizio militare o civile, quando partecipo con argomenti ad una discussione pubblica, ed in mille altre circostanze, pratico cittadinanza.
Dunque la questione è “i giovani italiani praticano la cittadinanza? Non abbiamo risposte precise perché non esiste nel nostro paese una grande tradizione di studio della cittadinanza praticata dai giovani, però qualcosa possiamo dire. Innanzitutto il nostro è un paese a basso senso di cittadinanza, ad alto individualismo e ad alto familismo (“al massimo mi occupo della mia famiglia”), ed inoltre è evidente che se la cittadinanza è una prassi essa si apprende attraverso “tirocini” non solo teorici ma soprattutto pratici. Dobbiamo allora constatare che le istituzioni che hanno formato il senso civico delle generazioni degli anni ‘50 e ’60 non funzionano più. E anche se funzionassero non servirebbero a nulla perché sapevano educare alla cittadinanza per una città e una società molto diverse e molto meno complesse di quelle attuali.
E la Chiesa? Forse qualcuno non lo sa, ma le Chiese cristiane sono state le principali palestre della democrazia e della cittadinanza nel mondo moderno e non abbiamo evidenze né argomenti per affermare che tale funzione sia superata. Basta scorrere le pagine della Bibbia e la storia della Chiesa e della santità cristiana per vedere quando i credenti hanno fatto e detto per la città, per una città abitabile non solo per loro stessi ma per tutti. Ed è seguendo questo esempio che tutti noi siamo chiamati a fare la nostra parte in un mondo globalizzato dove i grandi problemi mondiali sono sotto gli occhi di tutti: la fame e la povertà, la giustizia economica internazionale, l’emigrazione, la pace e la salvaguardia dell’ambiente. E’ indiscutibile che davanti a questo quadro si debba parlare di una nuova “questione sociale” nei confronti della quale tutti devono rimboccarsi le maniche per “ammortizzare” le ricadute negative prodotte dalla società tecnologica nei confronti dei ceti più poveri. Ovviamente la questione non è solo sociale ma soprattutto culturale. Occorre ripartire, dunque, dalla persona umana difendendone la dignità e pretendendo rispetto davanti a tutti gli attacchi esterni frutto dei cambiamenti e delle contraddizioni che si sono accompagnate alla crescita della società post-industriale.
Proiettarsi nel mondo guardando alle questioni in chiave antropologica significa tuffarsi nel mare magnum dei problemi per generare nuovi stili di vita e soprattutto nuove responsabilità nei confronti di quanto davvero hanno bisogno.
Noi giovani dobbiamo ripartire da questo presupposto se davvero vogliamo prendere in mano il nostro futuro in risposta a chi, adulto o meno, pensi di usare la magica parola “giovani” solo per strumentalizzare la categoria solo per gli scopi più disparati. Se davvero si vuole non si può non tenere conto del protagonismo giovanile e dell’impegno socio-politico dei giovani.
L’Agorà dei giovani italiani potrà servire anche a incontrarsi, confrontarsi e mettersi in rete. Potrà essere anche un trampolino di lancio per cominciare a fare, a vivere la fraternità e a riscoprire un nuovo “senso religioso” che è l’essenza stessa della razionalità e la radice della coscienza umana. La realtà in cui viviamo è quella che mette in moto i grandi interrogativi della vita sul significato dell’esistenza. La natura dell’uomo è esigenza di verità e di compimento, cioè di felicità e di gioia. La prima risposta, dunque, che possiamo dare alle nostre grandi domande è Cristo. Da questo grande modello bisogna mettersi in moto per dare vita oggi a una nuova cittadinanza capace di prendere a cuore i bisogni dell’uomo.

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