“Per una intera generazione di architetti che ha studiato negli anni Novanta vi è una tappa significativa dalla quale non è possibile prescindere”.
Si apre così il comunicato dell’Istituto Sammarinese Diffusione Architettura, che aggiunge: “Per quella generazione, ma a dire il vero per molte altre, in un trasalimento del puro dato temporale, la riqualificazione dell’intera area metropolitana di Barcellona ha rappresentato un ripensamento complessivo degli approcci progettuali alla città, al territorio e in fondo all’architettura stessa. L’architetto Oriol Bohigas, spentosi all’età di 95 anni il 30 novembre scorso (era nato il 20 dicembre del 1925), della trasformazione del capoluogo catalano è stato sicuramente una delle menti operative più importanti. Bohigas ha diretto il suo impegno toccando le corde nevralgiche della città vestendo i panni del critico (Ricostruire Barcellona del 1985 e Architettura spagnola della seconda repubblica); dello storico (tra gli altri, il bel libro del 1968 Architettura modernista. Gaudì e il movimento catalano); del cronista polemista (i numerosissimi articoli scritti per la stampa); dell’architetto attento ai valori della città e dell’urbanista attento ai caratteri dell’architettura; dell’editore (con la casa editrice Edicions 62); dell’animatore culturale (dirigendo per esempio la Fondazione Joan Mirò); del pedagogo (come professore universitario e preside di facoltà dell’ETSAB) e in fine del politico.
Può sembrare molto, e indubbiamente lo è, ma Bohigas ha “semplicemente” fatto l’architetto, una professione nata nel segno delle competenze tecnico-scientifiche e storico-umanistiche che nel Novecento ha saputo interpretare una figura importante di intellettuale capace di incidere sulla realtà del proprio tempo. Una concentrazione di saperi, quelli dell’architetto, che non si presentano come accumulazione indistinta di un generico e salottiero erudito ma, al contrario, come regista in grado di sintetizzare, nella propria visione, l’ampiezza panoramica del proprio sguardo. Inevitabile quindi per l’intellettuale/architetto Bohigas impegnarsi anche nell’agone pubblico della polis: dirigendone le sorti in qualità di sovrintendente urbanistico, e poi alla cultura, accanto ai sindaci della svolta democratica post-franchista; e prefigurandone poi il disegno con gli incarichi per la città olimpica e la riapertura della città al mare.
Bohigas è stato, nella migliore delle tradizioni della disciplina, un architetto della città, in particolare della sua città. Ed è proprio questa caratteristica che gli ha permesso di collocare l’intervento urbanistico in una dimensione di “educata urbanità” (Solà-Morales) interessata a risarcire il progetto d’architettura delle sue prerogative di modificazione e valorizzazione della città stessa. Un realismo strumentale, si disse, giocato contro l’ideologia del piano, che ha impegnato i migliori talenti spagnoli e della città, all’epoca per lo più progettisti giovani e semi sconosciuti, senza ricorrere ai nomi dello star system (che arriveranno soltanto dopo). La Barcellona alla quale Bohigas presta il suo magistero si concentra sulle periferie considerando l’area metropolitana, si dedica alla riqualificazione ricucendo vecchi strappi del tessuto urbano attraverso l’eliminazione di ingombranti barriere fisiche, polarizza l’attenzione sulle infrastrutture inventando tipologie di connessione fra queste e lo spazio pubblico. Ed è soprattutto la Barcellona che ripensa interamente la dimensione degli spazi aperti (piazze, giardini, parchi, ma anche strade, percorsi, punti panoramici e luoghi di relazione) con i quali si conia un vero e proprio “modello” urbano che sarà esportato con alterne fortune.
Nell’autunno del 1997 il DARCH di San Marino in collaborazione con l’ACMA di Milano, memore del successo ottenuto con la mostra di Alvaro Siza due anni prima, porta all’ex convento di Santa Chiara l’antologia dedicata allo studio che l’architetto catalano divideva con Josep Martorell e David Mackay dalla metà degli anni Cinquanta. La mostra fu la summa completa dell’opera quarantennale dell’MBM (Martorell-Bohigas-Mackey). Erano in essa comprese anche le opere italiane che, per la prima volta, venivano esposte organicamente. Anche nei lavori italiani l’architettura diventava mezzo per la riqualificazione di brani di città, a volte fortemente degradati. Lungo il settecentesco corridoio e all’interno delle celle dell’ex convento, oggi sede dell’università del Design, la mostra si snodava in cinque tappe in forma di “dialogo” con i visitatori: un “Percorso Cronologico” dell’intera ricerca dello studio, che passava in rassegna l’esperienza progettuale dal razionalismo all’eclettismo moderno fino al regionalismo critico (Frampton); i “Dialoghi con la Società”, ossia gli edifici pubblici e il rapporto tra isolato e abitazione; i “Dialoghi con la Costruzione”; i “Dialoghi con l’Ambiente”. Nella mostra risultava ancora una volta chiaro come l’architettura diventasse l’elemento cardine per la riqualificazione della città.
Con questo ricordo, il DARCH vuole rendere omaggio a un grande protagonista dell’architettura dei nostri giorni, con il quale gli iscritti ebbero l’onore di trascorrere momenti importanti in occasione della mostra appena ricordata, insieme ai suoi amici e colleghi di sempre: Josep Martorell, morto nel 2017, David Mackay, scomparso nel 2014, e l’architetto Beth Galì. Il DARCH vuole infine porgere le condoglianze alla figlia Maria, con la quale nei giorni dell’allestimento e dell’organizzazione dell’evento i membri dell’associazione si sono intrattenuti in prolifiche e appassionanti discussioni.