Il Gazzettino: Mose, computer e documenti al setaccio per trovare le prove delle tangenti

Il Gazzettino: Mose, computer e documenti al setaccio per trovare le prove delle tangenti

Il Gazzettino

Mose, computer e documenti al setaccio  per trovare le prove delle tangenti

Mantovani e Consorzio Venezia Nuova, investigatori al lavoro
per scoprire dove siano andati a finire i soldi dei fondi neri
Monica Andolfatto
VENEZIA – Dalla Mantovani al Consorzio Venezia Nuova sullo sfondo del Mose. L’hanno definita una manovra a tenaglia, sdoganando un’espressione di strategia militare. Attaccare su più fronti per essere sicuri di arrivare all’unico obiettivo. Quello delle tangenti? Gli investigatori fino a questo punto non si sbilanciano.
Ma fanno capire che se si creano fondi neri attraverso l’evasione fiscale generata con fatture false e società cartiere, o con ribassi irrisori nei bandi in cui si è già sicuri di vincere in maniera da ottenere comunque una cresta rispetto al costo reale sostenuto, di sicuro non servono per fare beneficenza. Più plausibile pensare che il “denaro fantasma” sia impiegato per oliare meccanismi e far schierare dalla tua parte il politico di turno più funzionale ai tuoi affari.
«Non scapperà nessun segreto». È il monito pronunciato a mezza voce dai finanzieri che ieri sono stati impegnati anche per trentasei ore continuate nelle 140 perquisizioni eseguite in mezza Italia. Un esercito di cinquecento uomini che ha rastrellato una mole incredibile di materiale: computer, server, chiavette Usb, documenti cartacei che saranno oggetto di analisi forense. Un’attività che si stima possa durare mesi e mesi e grazie alla quale forse si potrà arrivare a dipanare le pastoie fra impresa e politica anche nei profili e nelle responsabilità: penali e morali. Fra i cento indagati manager, commercialisti, imprenditori, tecnici, amministratori pubblici che hanno avuto a vario titolo contatti, giudicati interessanti e quindi meritevoli di approfondimento, in primis con Giovanni Mazzacurati, ma anche con i suoi più fidati collaboratori sia dentro che fuori Cvn.
«Meno male che il Mose lo costruiamo sott’acqua» ebbe a dire Piergiorgio Baita quando ancora era il patron della Mantovani spa, società leader in Italia nel campo delle costruzioni. E l’inchiesta della Procura lagunare, coordinata dalla pm Paola Tonini, ancora una volta mette sotto accusa il “modello Venezia”, non quello virtuoso di una città capitale della cultura, bensì quello illegale e sfrontato nell’assegnazione dei lavori per le grandi opere pubbliche, talmente collaudato da espandere il contagio, si ha l’impressione, in tutta la regione.
Già, gli appalti. È questo il filo conduttore delle ultime indagini incardinate dai magistrati veneziani con braccio operativo la Guardia di Finanza. A venire scoperchiato è un sistema che pare replicarsi. Basta ricordare che la stessa squadra investigativa, composta dai militari colonnello Renzo Nisi e dal pm Stefano Ancilotto, ha arrestato nel gennaio 2012 Lino Brentan, padre-padrone della Società autostrade Padova-Venezia quando ne era amministratore delegato, ed esponente di spicco della Sinistra veneziana, condannato in primo grado a 4 anni di reclusione per corruzione. E anche in quell’inchiesta battezzata “Aria nuova” il perno era costituito da bandi in un certo qual modo pilotati o spezzettati in modo da poter procedere con il cosiddetto cottimo fiduciario anche in assenza di presupposti.
A essere privilegiate le aziende amiche che “ringraziavano” con mazzette consegnate brevi manu. Una cricca che l’anno precedente era stata individuata anche in Provincia, manovrata da due dirigenti e che di fatto si tradusse come tappa di avvicinamento al vero bersaglio, ovvero Brentan. Un ciclone in laguna che nel marzo scorso si trasformò in un vero e proprio tsunami con l’inchiesta “Chalet” e l’arresto di Baita, del console onorario di San Marino William Colombelli e di Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Giancarlo Galan e responsabile di aziende collegate al colosso padovano delle costruzioni. Ancora appalti, ancora fondi neri. Si parlò di dieci milioni di euro. Ma la bufera non aveva ancora toccato il suo massimo. Lo ha fatto adesso con la detronizzazione di Mazzacurati e l’emersione di almeno sei milioni di euro non dichiarati? I ben informati si aspettano il vero colpo di coda.

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