La Voce di Romagna: Conto Mazzini. Il maxi processo riparte col botto

La Voce di Romagna: Conto Mazzini. Il maxi processo riparte col botto

La Voce di Romagna San Marino (5 aprile)
Conto Mazzini. Il maxi processo riparte col botto
Il direttore dell’Aif, messo alle strette, ammette: “Forse posso essere stato improprio nei termini”

E’ ripartito col botto il processo che vede alla sbarra una intera stagione politica. Archiviate le udienze dedicate ad aspetti tecnici, il primo maxi-processo a tinte biancazzurre è entrato ieri nel vivo con la prima udienza dibattimentale, che ha visto le difese incalzare il primo teste di accusa, il direttore dell’Agenzia Informazioni Finanziarie, Nicola Veronesi. Una seduta fiume, aperta alle nove, subito sospesa per l’ennesima eccezione sollevata dalle difese, riaperta intorno alle 11,30 e chiusa, dopo la pausa pranzo, intorno alle 17.

Alla sbarra 21 persone fra cui gli ex segretari di stato Fiorenzo Stolfi, Claudio Podeschi, Claudio Felici, Giovanni Lonfernini, Pier Marino Menicucci, Gian Marco Marcucci e Pier Marino Mularoni e sei società, difese da avvocati di primissimo piano del Foro italiano come Massimiliano Annetta, docente di diritto penale alla prestigiosa Link Campus University di Roma presieduta dall’ex ministro Vincenzo Scotti nonché legale del sindacato di polizia; o Luigi Stortoni, da oltre un ventennio titolare della cattedra di diritto penale dell’Ateneo bolognese; o come il riminese Moreno Maresi. Interminabile l’elenco dei testimoni chiamati a deporre, fra cui spicca il nome del magnate delle telecomunicazioni Simon Murray.
Protagonisti di questa prima udienza dibattimentale sono senza dubbio stati gli avvocati di Claudio Podeschi e Biljana Baruca. Infatti, Annetta e Stefano Pagliai, supportati dal legale sammarinese Achille Campagna, hanno “torchiato” il teste nel tentativo di dimostrare l’insussistenza di elementi concreti a carico dei loro assistiti, arrivando quasi a monopolizzare i lavori sul fascicolo 769/2012, in cui si ipotizza il reato di riciclaggio per dei fondi finiti nella società Clabi di Podeschi e Baruca, da un conto svizzero intestato a Black Sea Pearl e oggetto di una indagine elvetica su presunte interconnessioni con Vanangels Connections. Indagine poi archiviata in forza di una richiesta depositata dal giudice inquirente d’oltr’alpe già nel febbraio 2014, circa quattro mesi prima del provvedimento di custodia cautelare emesso dalla Magistratura sammarinese contro l’ex Segretario di Stato e l’imprenditrice sloveno-sammarinese.
Prima Pagliai, poi Annetta, poi di nuovo Pagliai, Campagna e Annetta impegnati quasi freneticamente ad incalzare il testimone di accusa… Pressato su più fronti, Veronesi non ha potuto far altro che confermare che alla base delle conclusioni dell’Aif che sono alla base dell’indagine penale poi avviata, di estremamente concreto c’era soltanto una informativa svizzera sulla stessa indagine, all’epoca, in corso. Indagine, come detto, da tempo archiviata. “Si rende conto -ha girato il coltello nella piaga Pagliai rivolgendosi al Direttore dell’Aif- che su questi elementi aleatori due persone hanno fatto un anno di galera?”. Certo, non è certo l’Aif a disporre arresti o restrizioni… In ogni caso Annetta, subito dopo, ha rincarato: “Se l’Aif aveva solo le comunicazioni svizzere, perchè nelle sue conclusioni che probabilmente hanno avuto un ruolo importante nell’arresto cautelare degli imputati le trasforma in certezze?”.
Il colpo del KO, il teste di accusa, dopo aver ammesso imbarazzato che gran parte dell’indagine condotta dall’Aif e stata fatta su fonti aperte, ovvero internet e Google, se lo sferra da solo: “Forse -ammette- posso essere stato improprio nei termini”. Sta di fatto che tanto è bastato all’avvocato Pagliai, in chiusura di udienza, per attaccare e “pretendere” che sia fatta piena luce per capire perché e per colpa di chi, soprattutto per Biljana Baruca che ha la vicenda Clabi come unico capo di imputazione che le è costato mesi e mesi di carcere, quel decreto di archiviazione sia stato ignorato o dimenticato. Ad incalzare serratamente il teste, a contribuire a trasformare il Direttore dell’Aif da testimone ad una sorta di “imputato”, ci ha pensato, poi, anche l’avvocato Fabbri Ercolani, difensore di Mirella Frisoni, a sua volta determinato nell’evidenziare l’assenza di elementi concreti a suffragio della tesi accusatoria di autoriciclaggio mossa verso la sua assistita. E oggi, dalle nove del mattino, si replica…
E.L.

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