Lettera aperta di Paola Stanzani su Delta a Tito Masi dopo il colloquio con Di Vizio

Lettera aperta di Paola Stanzani su Delta a Tito Masi dopo il colloquio con Di Vizio

Ho letto con grande interesse
– e anche con sgomento,-
l’articolo del 20
aprile scorso (Tribuna
n°94) con il quale si rende
noto che “è scoppiata
la pace fra San Marino e
la Procura di Forlì” e che
si sta creando “un nuovo
clima di collaborazione”.

Trovo infatti incomprensibili
le affermazioni di
Tito Masi, Presidente
della Fondazione e Leone
Sibani, Presidente
della Cassa di Risparmio
di San Marino, che possono
riassumersi così:“Se avessimo agito così
già due anni fa forse non
ci troveremmo nell’attuale
situazione”. Si tratta
di affermazioni del
tutto infondate, che suonano
come un duro giudizio
nei confronti di
quelle persone – e io sono
una di quelle – che sono
tuttora inquisite da
quella Procura e che ancora
stanno aspettando
che i pesantissimi capi di
accusa formulati allora,
che a me personalmente
hanno aperto le porte del
carcere per 21 giorni, con
successivi sei mesi di arresti
domiciliari e tre mesi
di limitazione di dimora,
trovino finalmente riscontro
in una sentenza
all’esito di un processo.

Credo invece che siamo
ancora ben lontani dalla
stessa formalizzazione
di un rinvio a giudizio e
per questo motivo mi allarma
e mi inquieta il resoconto
dell’incontro dei
due massimi rappresentanti
della Cassa di Risparmio
di San Marino
con gli inquirenti di
Forlì, che appare un
inopportuno sostegno alla
costruzione accusatoria
– accuse che, lo ripeto,
sono ancora tutte da
dimostrare – e che mostra
di ignorare gli argomenti
a nostra difesa: argomenti
che abbiamo
espresso ogni volta che
ci è stato possibile, naturalmente
dopo il periodo
di detenzione e degli arresti
domiciliari, nel quale
siamo stati obbligati al
silenzio. I Dottori Masi e
Sibani ignorano la quantità
di faldoni e di carte
forniti alla Procura di
Forlì da parte di Delta e
di 16banca mesi prima
degli arresti? Si sono mai
presi la briga di accertare
presso i nostri difensori
la nostra volontà di chiarezza
e di dialogo da subito
ricercata, sia per
meglio comprendere i
reati che erano imputati
al Gruppo Delta e alla
Cassa di Risparmio di
San Marino, sia per
informare gli inquirenti
della disponibilità e collaborazione
offerta durante
i sei mesi di ispezione
alla Banca d’Italia
prima dei nostri arresti?

Il Presidente della Fondazione
Masi recrimina
di non aver ricercato una
via di comunicazione
con la Procura dopo il
sequestro del furgone
portavalori, ma tace sul
fatto che una sentenza
della Corte di Cassazione
scagiona gli imputati
per quell’episodio. Poiché
quell’accusa era fondata
su una perizia del
CTU che ravvisava nell’episodio
del furgone
portavalori “il massimo
del riciclaggio possibile”,
la Cassa una volta
intervenuta la sentenza
della Cassazione aveva
intentato una azione legale
nei confronti dello
stesso CTU: azione legale
che avrebbe aiutato a
fare chiarezza sulle responsabilità,
ma che è
stata ritirata dalla Cassa.
Perché? E su richiesta di
chi? E’ così che intendono
la collaborazione con
gli inquirenti? I dottori
Masi e Sibani forse non
ricordano che, appena
mi è stato concesso di
scrivere e di intervenire,
ho inviato alla Fondazione
e alla Cassa ( e agli
organi di vigilanza) una
lettera nella quale mi
rendevo disponibile a
collaborare con la Cassa
per salvare Delta e l’investimento
che era stato
fatto, sia per la Cassa
che per i 900 dipendenti
del gruppo? Il Dr. Sibani
rispose affermando che
Banca d’Italia aveva imposto
alla Cassa la dismissione
di Delta, per
cui non si poteva fare
nulla. Adesso io gli chiedo:
forse non era valida
questa impostazione,
quando la Cassa ha comprato
le azioni di Sopaf?

Basta leggere il bilancio
per capire che non si è
trattato dell’acquisto di
una opzione, così come
autorizzato da Banca
Centrale e da Banca d’Italia
per Estuari. Vorrei
ricordare che da loro
non una parola è stata
spesa, dopo gli arresti, in
nostra difesa, come se
l’allora Presidente della
CRSM e l’ A. D. di Delta
fossero dei perfetti sconosciuti!

Al di là di noi
dirigenti, una buona parola
a favore dell’azienda-
Delta e dei dipendenti
avrebbero potuto pronunciarla,
senza alcuno
scandalo! Sarebbe bastato
un po’ di coraggio.

Dicevo dei 21 giorni di
carcere, dei sei mesi di
arresti domiciliari, dei
tre mesi di limitazione di
dimora: tutti trascorsi in
un silenzio assordante!
Non è stato forse anche
questo silenzio un modo
per dialogare con la Procura,
quasi a dirle: sono
solo affari loro? E allora
scoprono solo adesso
che “ se avessimo agito
già da due anni forse
non ci troveremmo nell’attuale
situazione?”

Perché bisogna sapere
quale è la situazione attuale,
cioè quella prodotta
dalla decapitazione
dei vertici di quelle
aziende e dal commissariamento,
che di fatto sta
gestendo non il recupero
di una azienda sostanzialmente
sana ma
lo smantellamento per la
successiva svendita? E
su questo lungo e disastroso
commissariamento,
Masi e Sibani non
hanno nulla da dire? Se
come sembra dall’articolo
del 20 aprile scorso i
vertici di Fondazione e
Cassa sono convinti che
in passato sono stati
commessi degli errori,
facciano il favore di elencarli.
Per quanto mi riguarda
non ho più nulla:
non ho un lavoro, non
ho un reddito e mi trovo
coinvolta in una causa
penale che enfatizza il
mio ruolo di consigliere
di Cassa. E chi mi dovrebbe
difendere sta
prendendo le
distanze.Bisogna leggere
bene i miei capi di imputazione
per rendersi conto
dell’assurdità dell’accusa.
Perché vedete, cari
dottori Masi e Sibani:
doversi confrontare con
la Procura è fisiologico,
ma dover leggere su un
giornale che coloro i
quali dovrebbero aver
già analizzato a fondo la
situazione e aver quindi
compreso quale mostruosa
accusa si stia costruendo
ai danni di Cassa,
Fondazione ed altre
aziende che danno lavoro
a 900 famiglie, sono
invece pronti ad ammettere
errori nei comportamenti
passati: questo è
davvero insopportabile.
Io mi aspetto una difesa
mia e di Delta da parte
della Cassa e della Fondazione.

Difesa che non
si ferma a sostenere le
spese legali, ma a restituire
la dignità e il lavoro
alla persona. Io non
svolgevo il mio lavoro
per caso. Tutto quanto
ho fatto con Delta era conosciuto
ed apprezzato
dalla Cassa e dalla Fondazione.
Io protesto la mia innocenza
e non accetto di
essere relegata al ruolo
di capo espiatorio. Per
quanto mi riguarda, non
opporrei alcun ostacolo
alla rogatoria della Procura
di Forlì. Ma gli interessi
da proteggere e il
diritto alla riservatezza
non può essere barattato
con l’abbandono al proprio
destino di chi ha
operato sempre diligentemente.

Si passerebbe
in tal caso da una leale
collaborazione a un deprecabile
collaborazionismo.
Credo che tanto il
dr. Masi che il dr. Sibani
siano in grado di valutare
la gravità di questo
scarto semantico, che resterebbe
associato alle
loro persone per il resto
dei giorni. E’ troppo facile
per chi oggi è ai vertici
di Cassa e Fondazione
chiamarsi fuori. Gli stessi
però non possono meravigliarsi
se ci arrabbiamo.

Non è possibile archiviare
il passato se restano
vittime incolpevoli
sul campo: questo diventerebbe
il vero delitto.

Adesso è inevitabile
che quanti stanno pagando
per aver difeso il
proprio lavoro non possano
acquietarsi di fronte
ad un comodo abbandono.

Paola Stanzani –
Bologna, 22 aprile 2010

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