La Reserve Roastery “Made in Italy” di Starbucks: Milano il tempio del caffè

La Reserve Roastery  “Made in Italy” di Starbucks: Milano il tempio del caffè

Tutto è stato detto, o quasi, relativamente all’apertura del primo Starbucks tutto italiano a Milano.Ciò che ora possiamo analizzare è quanto la strategia di marketing che ne ha preceduto l’inaugurazione abbia impattato sul successo di questa scommessa.

Perché per essere onesti, con tutte le battute che sono state spese tra social e media istituzionali, questo brand può ritenersi già a metà dell’opera.

Perché? L’eredità che si porta dietro la catena americana di coffee bar giocava a suo enorme sfavore pensando di sbarcare con un proprio store nell’enclave del culto dell’ ”oro nero da bere”.

Per cui, solo a pensare di farci avvicinare allo stile annacquato o ai “sacrileghi” tradimenti della miscela sacra ai più nel nostro Paese secondo le usanze Usa, poteva rasentare la follia.

E invece no, hanno alzato l’asticella gli americani, convinti che si sarebbero dovuti misurare con un livello piuttosto di esigenza quasi proibitiva per i loro standard di clientela

E hanno creato la magia giocando con l’aspettativa…

Tutti ad attendere al varco la fenomenologia della sconfitta a tavolino, credendo di coglierli in fallo perché chi osa mettere in discussione uno dei nostri capisaldi alimentari, peccando inoltre di presunzione, deve essere punito con la peggiore onta.

E invece no. Ma proprio per niente.

Starbucks

Reserve Roastery “Made in Italy” Starbucks Milano.

La “Reserve Roastery”, questa la denominazione dei locali di fascia alta del colosso della ristorazione a stelle e strisce, ha spiazzato tutti, maligni e benpensanti.

Nella cornice di un palazzo storico centrale un tempo adibito alle Poste in Piazza Cordusio, si svela un tempio della torrefazione nella versione deluxe rispetto alla migliore delle tradizioni. Si celebra un rito e un piacere tutto italiano, che parte dalla preparazione alla miscelatura del caffè.

Nel Vecchio Continente quanto ad estensione non lo batte nessuno. Per trovarne di pari dimensioni bisogna spostarsi in America o Asia e si contano sulla punta delle dita comunque – .

Hanno pensato in grande: materie prime di tutto rispetto non solo per le consumazioni offerte ma anche per il design. Qui nulla è lasciato al caso. E lo si ravvisa per l’attenzione ai dettagli nella componentistica degli arredi e il design.

Nel Bel Paese ci teniamo, sono quelli che fanno la differenza. Marmi, legni pregiati e ottoni si alternano tra i due piani in cui è diviso lo store. E i fornitori seguiti da partner di tutto rispetto completano l’aurea del sacro empireo nobilmente descritto.

Si respira palpabile l’ambizione a regalare un’esperienza sensoriale, attraverso un’ambientazione esclusiva. La “riserva” ricorda le selezioni di prodotti di nicchia e un’alta qualità esaltata da omaggi sagaci e lusinghieri alle specificità locali.

Il fattore curiosità ha fatto il resto.

Detrattori e trend addicted in fila per giorni non hanno resistito a togliersi lo sfizio di scoprire cosa la multinazionale di Seattle tenesse in serbo per la metropoli meneghina.

Smessi i panni del breakfast corner ordinario in cui ci si poteva imbattere in giro per il globo qui già solo la location brilla di luce propria.

La forma sfodera carte pesanti perché la sostanza ha un messaggio troppo delicato da evangelizzare per essere trascurato. Gli americani non sono qui per defraudare alcunchè ma per celebrare un rito.

Annessi e connessi collegati a un menù ricco ma non alla mano che in Italia è sacro e a cui vogliono riconoscere il giusto merito. Per questo si può fregiare del sigillo “Made in Italy”. 

I particolari contano, ma anche il savoir-faire. E qui ci sono andati coi guanti, riqualificando il concetto di caffetteria alla base del loro format conviviale.

Benchè si siano avanzate critiche e non siano mancate le polemiche questo rappresenta un fenomeno di marketing da studio per le modalità di costruzione di un caso da manuale, e i risultati  che stanno già raccogliendo.

Se reggerà pressione e concorrenza nel lungo periodo non è dato saperlo ma basti pensare che per impiego diretto e indotto contribuisce ad un’economia che non può rimanere ferma e deve aprire le porte a tutti i modelli di business che possano portare sviluppo.

In un momento critico come questo far di necessità virtù è quanto mai d’obbligo. Noi strizziamo l’occhio al loro brunch e di rimando loro al nostro caffè. Il codice per dare una corretta lettura all’affaire Starbucks è quindi “Welcome”.

Cristina Rosso

Articolo tratto da life&people.it

 

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