I referendum sul lavoro sono un tentativo per avviare, anche nel nostro Paese, un processo culturale che valorizzi il lavoro, la sua dignità, sicurezza e diritto inalienabile di prospettiva famigliare.
Il Sindacato afferma che i referendum contro il precariato riportano indietro il paese.
Se così fosse la prima a volere il SI ai referendum sarebbe l’associazione degli industriali, che invece li contrasta aspramente.
Se così fosse il nobel Joseph Stiglitz, Mauro Gallegati, Luciano Gallino… sarebbero tutti retrogradi, piuttosto che tra i più stimati economisti contemporanei. Affrontare la modernità non significa considerare le conquiste del secolo scorso come “retaggi del passato”, piuttosto che il culmine di garanzie di cittadinanza e partecipazione che hanno fatto dell’occidente europeo la culla dei diritti umani.
Rivendicare il diritto ad un lavoro dignitoso, non riducibile a merce ma grande risorsa, è il punto di partenza per una critica al sistema che ha inteso la “globalizzazione” come l’importazione delle condizioni di lavoro disumanizzato dei paesi in via di sviluppo.
La politica ha proprio il compito di limitare gli interessi corporativi, portando equilibrio e ascolto alle istanze di tutti. Se la politica abdica, diviene inutile e sterile.
L’assalto alle tutele e ai diritti del lavoro non avviene per bisogni “di mercato”. La Germania, il mercato più garantista del mondo, è il maggior esportatore mondiale. L’OCSE riconosce nel 2005 (nel documento ufficiale “outlook employment”) che non v’è alcun nesso di causalità tra flessibilità e aumento d’occupazione o produzione.
L’unico motivo per cui le lobby pretendono la precarizzazione del lavoro, è la pretesa di non avere più vincoli di responsabilità né verso il paese in cui risiedono, né col personale alle proprie dipendenze.
Sui dati divulgati dalla CSU, secondo cui dopo la L.131/2005 i lavori precari sono diminuiti, viene da rispondere che è logico che nel periodo immediatamente successivo alla promulgazione di una legge il fenomeno che tratta si ridimensioni. È successo anche in Italia, nel ’98-’99.
Occorre chiarire 4 aspetti fondamentali:
1) Questa è solo la prima legge, apre il varco, rende “normale” la mercificazione del lavoro (un lavoro-merce acquistabile e rigettabile in ogni momento). Se non verrà bloccata sul nascere ne seguiranno altre che faranno del varco una voragine.
2) La L.131/2005 è recente, molti datori di lavoro ancora non ne conoscono le potenzialità.
3) Il lavoro precario costa molto meno di quello normale (a parità di stipendio mensile – cosa inverosimile -, un co.co.pro perde ogni anno un mese di ferie, uno di tredicesima e uno di TFR, senza contare la pensione).
4) Regolarizzare delle tipologie contrattuali con la scusa che già esistevano, equivale ad un CONDONO! Se è vero che prima del 2005 esistevano, erano però “fuori-legge”, perseguibili! La logica di questo condono-regolarizzazione è la seguente: visto che i datori di lavoro non rispettano la legge sui contratti vigente, piuttosto che aumentare controlli e pene, si depenalizza il reato.
Su questi e altri temi chiediamo al Sindacato, da sempre, confronti pubblici televisivi e nelle assemblee sindacali, collezionando solo dinieghi.
Chiederemo anche un incontro privato alla CSU, ribadendo la nostra intenzione di collaborare per un comune obbiettivo.
Ci piacerebbe anche, come contribuenti dello 0,40% (lo 0,30% non ci è più concesso pagarlo perché la CSdL ci ha ritirato la tessera) partecipare alle assemblee sindacali, come arricchimento democratico al dibattito.
Rinnovamento e Trasparenza
Comitati dei “3 SI”