Polo della moda: alcuni chiarimenti. RETE

Polo della moda: alcuni chiarimenti. RETE

Leggiamo sulla
stampa che l’investitore Borletti, patron del progetto “polo
della moda”
, starebbe ripensando l’opportunità di portare a
compimento il progetto.
Ci è d’obbligo, però, chiarire che
i posti di lavoro potenziali di questo progetto non sono 200 come
sbandierato, bensì un centinaio (per il resto si tratta di personale
di fiducia degli investitori).

Questo poco
conta: anche se si trattasse di soli 10 posti di lavoro li
accoglieremmo con favore data la disoccupazione crescente.

Le critiche che
si sono susseguite in aula come nel paese non hanno trattato,
infatti, l’investimento in sé, quanto le condizioni a cui il
governo ha deciso di procedere nonostante da tempo si fossero
preannunciate contrarietà rispetto alcuni aspetti, stranamente
sottaciuti in questi giorni.

Per primo luogo
la concessione agli investitori di un’area verde di circa 50.000
metri quadrati, destinata a zona parco, di proprietà di poche note
famiglie sammarinesi, su cui costruire ex-novo il polo. Noi
avevamo chiesto che a fronte dell’investimento, lo Stato dovesse
pretendere che gli investitori costruissero il centro commerciale in
una delle tante aree degradate o abbandonate, riqualificandola.

In caso contrario, proviamo ad immaginare: cosa può significare
perdere 50.000 metri quadrati di terreno per ogni 100 posti di
lavoro, considerati i quasi 1.600 disoccupati attuali? 800.000 metri
quadrati!

In secondo luogo
non è accettabile che il governo, per il solo motivo di non esser
riuscito a creare nessuna altra occasione di lavoro in 3 anni, decida
di concedere a questo -e solo questo- investitore decine di deroghe
alle nostre leggi già molto benevole nei confronti di chi viene ad
investire in Repubblica.
Uno Stato decide le sue norme, deve
garantire che siano uguali per tutti per creare condizioni di pari
trattamento e concorrenza leale.
Non è un caso che proprio in
questi giorni stia aprendo un centro commerciale a Dogana, realizzato
da un investitore estero, che si è accontentato dei benefici fiscali
e di altra natura già previsti dalle nostre leggi, senza pretendere
deroghe ad hoc.

Ci sarebbero
altre considerazioni da fare: in che modo è stato contattato
l’investitore, che tipo di rapporti di forza siano presenti in
questo investimento (volendo l’investitore avere risposte entro i
primi giorni di settembre, si è forzato il Consiglio a legiferare
straordinariamente nel mese di agosto).

Ci auguriamo che
la società Borletti voglia confermare il suo impegno ad investire a
San Marino. Noi, se vorranno, saremo senz’altro suoi interlocutori
ma alle nostre condizioni, perché continuiamo a credere che non
debba essere lo Stato a piegarsi alle volontà degli investitori ma
il contrario.
Siamo anche certi che se Borletti vorrà decidere
di investire altrove, non sarà certo per via di una raccolta firme
per un referendum che non chiede di rigettare il progetto ma
unicamente di tutelare la destinazione a zona parco dell’area che
il governo, sbagliando e non facendo valere la nostra sovranità, ha
deciso di concedergli.

E’ un fatto
politico lecito e non certo infamante né lesivo del diritto di
Borletti ad investire a San Marino ad esempio all’ex-Symbol, giusto
per dirne uno che si presterebbe perfettamente allo scopo.
E
che il quesito referendario non sia lesivo di alcunché lo garantisce
il fatto che il Collegio Garante della Costituzionalità delle norme
lo abbia approvato.

Una raccolta firme per un referendum è
quanto di più aleatorio: si può non raccogliere le firme
necessarie, si può perdere il referendum se la Segreteria al
Territorio convincerà la cittadinanza della bontà
dell’investimento.

Si tratta solo di
far decidere ai cittadini invece che a pochi politici, sempre quelli,
magari anche con più di un interesse nell’affare!

Movimento RETE

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