Andrea Rossini – Corriere Romagna: «Non c’entro con il delitto: ero in mare» /
Il marinaio di 54 anni ha un alibi e nega il coinvolgimento: «E’ assurdo, ma ho la coscienza a posto» /
Dopo 31 anni viene indicato come complice del killer: «Non conosco né vittima, né coindagato»
RIMINI. «Non auguro a nessuno di passare quello che che sto vivendo io in questi giorni: indicato all’improvviso come il complice di un delitto compiuto trentuno anni fa, quando invece non soltanto non conoscevo né la vittima, né gli altri accusati, ma in quel periodo non mi trovavo neppure a Rimini. Sono solo un pescatore». Maurizio Cavuoto, marinaio di 54 anni, nato a San Mauro Pascoli e residente a Gambettola è una delle due persone raggiunte nei giorni scorsi dall’avviso di conclusione delle indagini per l’omicidio di Arcangelo Romano, avvenuto il 29 luglio 1983, a Igea Marina, nell’ambito della guerra tra clan mafiosi per il controllo delle bische in Romagna. Un caso di “lupara bianca” (il cadavere dell’uomo non è mai stato trovato) sul quale si pensava di aver fatto luce dopo il pentimento del boss Angelo Epaminonda, il mandante reo-confesso, con tanto di sentenza definitiva. A partire da una lettera anonima (che scagionava un sessantenne all’epoca ancora in carcere e poi morto suicida) i carabinieri del Ros di Bologna, coordinati dal pm Dda Stefano Orsi, hanno riaperto il caso “scovando” dopo mesi di accertamenti documentali, interrogatori, intercettazioni
telefoniche e ambientali, due nuovi presunti corresponsabili, mai sfiorati in passato dalle inchieste. (…)