Rimini. Walter Veltroni agli Agostiniani: ‘l’utopia fa parte di noi’

Rimini. Walter Veltroni agli Agostiniani: ‘l’utopia fa parte di noi’

Vera Bessone di Corriere di Romagna: “L’isola e le rose”. Da oggi in libreria il nuovo romanzo ambientato nella città romagnola /
Ma che incredibile storia vera /
«Rimini metafora perfetta dell’Italia degli anni Sessanta»

RIMINI. Walter Veltroni in qualità di romanziere e di utopista, presenta oggi alla Corte degli Agostiniani la sua ultima fatica letteraria “L’isola e le rose”, ambientato a Rimini e ispirato a un fatto realmente accaduto, proprio al largo delle acqua territoriali, di fronte alla costa riminese, dove un ingegner bolognese costruì una piattaforma e su di essa installò una micro-Nazione, una sorta di Repubblica autonoma. Erano altri tempi, infatti correva l’anno 1968 e l’utopia andava ancora di moda, regalando ai giovani dell’epoca sogni e speranze. Oggi, in un’epoca asfittica, dominata più dal cinismo e dall’indifferenza, l’utopia è stata relegata in fondo alla memoria, nel dimenticatoio e i giovani faticano a sognare. Senza sogni, questo mondo appare tutto troppo uguale, privo di quelle differenze che permettono alla creatività umana di realizzare sogni e utopie impossibili. Immaginazione e fantasia sono state sostituite da comodità e certezze all’apparenza soddisfacenti, ma in realtà nascondono un vuoto depressivo che scatena dentro le coscienze dei giovani un vuoto esistenziale difficilmente colmabile. Veltroni con il suo libro ci solletica la memoria e la fantasia, riportandoci indietro nel passato, ragalandoci una boccata d’aria fresca:

(…)

«I personaggi del libro, tutti di fantasia, sono quatto ragazzi di Rimini, uno dei quali ha esattamente il progetto di far dei soldi, e un altro invece vuole creare una comunità utopica. Alla fine si scoprirà che le cose non stanno esattamente così, che non tutto è bianco o nero. Ed è proprio la cosa che mi ha interessato di più: questo non era un progetto ideologico, bensì nato con l’idea di fare dei soldi, però in un tempo in cui non erano i soldi
la cosa più importante».

(…)

Veltroni, sulla città di Rimini:

«Dentro il libro – racconta Veltroni, che per scriverlo si è documentato accuratamente sulla storia locale – c’è la Rimini che ho cercato di capire, di estrarre da tutti i libri che ho letto e da tutte le persone che ho incontrato.
C’è una città che per me è meravigliosa, aperta, includente, operosa e allegra, multiculturale, poetica, anche un po’ folle. Insomma, l’idea che in questa città, venti anni dopo la guerra, i figli di quelli che si erano sparati sul fronte si baciassero dietro le cabine degli stabilimenti balneari, mi sembra assolutamente fantastica. E siccome Rimini aveva sofferto per la quantità incredibile di bombardamenti che sulla città si era riversata, aveva tutto il diritto di vivere in allegria il tempo migliore che la storia abbia consegnato all’Italia, gli anni Sessanta».

(…)

Ma che cos’è realmente L’Isola per Veltroni?

«L’isola è raccontata veramente come una metafora, i protagonisti ne discutono anche nel romanzo: c’è il rischio di farsi comunità a parte, di isolarsi dai problemi degli altri. Però i cambiamenti sono fatti anche di persone che in quel determinato momento e luogo hanno spostato un pochino più avanti gli equilibri della storia. Oggi non avrebbe senso ripararsi fuori, però bisogna tornare al progetto di una società gentile, fatta di comunità, di solidarietà, di relazioni umane, di giustizia sociale. Questa è una meravigliosa utopia poco frequentata».


1968 – L’Isola delle Rose (Repubblica utopica)

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