San Marino. Antonio Fabbri: Sentenza parcheggione, tutte le anomalie in danno allo Stato

San Marino. Antonio Fabbri: Sentenza parcheggione, tutte le anomalie in danno allo Stato

L’informazione di San Marino

Sentenza parcheggione, tutte le anomalie in danno allo Stato

Antonio Fabbri

SAN MARINO. E’ stata depositata dieci giorni fa, il 29 dicembre 2016, la sen­tenza sulla vicenda della truffa del parcheggione. Una sentenza del giudice Gilberto Felici che, seppure rilevi la responsa­bilità del dipendente infedele condannato a tre anni e due mesi di prigionia, non manca di sottolineare le pesanti lacune nella gestione del parcheggio­ne, emerse anche durante le udienze pubbliche del processo. Non solo. La sentenza invita in maniera neppure troppo velata, a modificare la convenzione penalizzante per lo Stato e ad­dirittura ad attuare una dovuta compensazione per gli anni di azione di Luciano Ceccatelli, l’imputato, favorita dai mancati e non adeguati controlli da parte dell’amministrazione di Sinpar.

Di certo quella del parcheggione è una convenzione svantaggiosa per lo Stato.
“L’accordo più recente prodot­to – non si sa se oggi ancora vigente (la validità è stabilita al 31 dicembre 2014, pertanto attuale all’epoca dell’ avvio del procedimento penale) – “fis­sa per l’anno 2010 il minimo garantito annuo da parte dell’Eccellentissima Camera a Sinpar in €1.860.000”. Quanto precede – si legge nella sentenza – consente quindi di affermare che il costo delle inefficienze di Sinpar non è sostenuto da Sin­par stessa, ma dallo Stato: non risulta infatti che dalla gestione tipica del parcheggio multipiano la società abbia mai ottenuto “incassi annui complessivi” superiori al minimo garantito. A fronte di tale situazione, è del tutto plausibile dedurre che – nella legittima ricerca
del profitto – la conduzione di Sinpar non fosse particolarmente attenta rispetto alla riduzione degli sprechi e delle inefficienze, essendo comunque assicurato un determinato
successo economico, ricorrendo alle casse statali, indipendente dai risultati ottenuti attraverso la gestione tipica, al pari di quanto accadeva in Gaps”. Tra i vari episodi descritti in sentenza, ce n’è uno in particolare, che riguarda un ammanco di 8.000 euro finiti in tasca a Ceccatelli, poi restituiti. Episodio per il quale, però, non fu preso alcun provvedimento. “Non si comprende perché Francesco Galassi – preposto proprio alla tutela dell’interesse dello Stato – allorché si avvede di un ammanco di ben 8.000 euro, rimborsato da Ceccatelli senza alcuna contestazione, nessun provvedimento adotti od esiga nei confronti di questi, che direttamente (in relazione alle casse automatiche Gaps) e indirettamente (attraverso Sinpar) incassava e versava i denari dello Stato. A domanda del giudice ha riferito che -rispetto a questo episodio- “Casadei ha interpretato la situazione come errore” e che “anche io interpretai la situazione come errore”. La giustificazione è non solo bizzarra, non solo stravagante, ma scade nel risibile, che purtroppo diviene grottesco – scrive il giudice Felici in sentenza – se si pensa alle conseguenze per i conti pubblici; se si esclude che banconote e monete siano dotate di una loro autonoma mobilità, è molto difficile immaginare come 8.000 euro possano finire nelle tasche di un impiegato “per errore”, cioè senza la partecipazione volontaria di chi quei soldi prende e trattiene (per poi restituire immediatamente a richiesta)”.
La responsabilità per truffa, tuttavia, è in capo a chi si è appropriato del denaro. Ma il giudice, nel rilevare questo, non è tenero con chi non ha controllato: “Le singolarità suddette – che si risolvono in un utilizzo di risorse assolutamente inefficiente, ed in uno spreco flagrante di mezzi finanziari – sarebbero circoscrivibili alla libertà di disporre
della propria ricchezza, come meglio si crede, che pertiene a ciascun individuo; ma, nella fattispecie, tale conclusione non è corretta, perché l’esistenza della concessione pubblica, e soprattutto il suo modo di essere, determinano conseguenze del tutto dirette rispetto alle finanze della collettività. Si può addirittura dare atto alla difesa di Ceccatelli di una particolare eleganza verbale allorché si è limitata a definire la situazione come “assurda”.
Se è vero che l’osservazione “tanto paga lo Stato” – ovvero che “dove non arriva Sinpar, arriva lo Stato” – coglie molto nel segno; se è vero che è quindi plausibile che vi sia
stata una particolare leggerezza nel controllo di gestione, se non addirittura una deliberata volontà omissiva di controlli; se è vero che – avendo ciascuna delle persone coinvolte uno specifico interesse personale (legale rappresentate e commercialista; pensionato pagato a convenzione; responsabile per conto dello Stato che svolgeva controlli del tutto marginali, con mansioni affatto impegnative) – l’emersione di situazioni problematiche avrebbe potuto determinare l’assunzione di provvedimenti modificativi della situazione, nocivi rispetto all’interesse personale di tutti i protagonisti; è altrettanto vero che il quadro non scrimina la gravissima responsabilità penale di chi si è materialmente appropriato di somme rilevantissime”.
Come dire che alla fine quella del parcheggione risulta essere l’emblema di tante situazioni sammarinesi, dove a lasciare che le cose vadano in malomodo pare convenire un
po’ a tutti. Tranne allo Stato. Tant’è che il giudice ribadisce: “Lo svolgimento processuale -fin dalla sua fase non pubblica, in sede inquirente– ha piuttosto destato perplessità intorno alla efficienza della gestione – sostanzialmente – privata dei parcheggi – sostanzialmente – pubblici. Perplessità che sono derivate non tanto dall’azione delittuosa posta in essere da Ceccatelli, ma piuttosto dal fatto che la stessa, per la straordinaria inefficacia dei sistemi di controllo di gestione, abbia potuto permanere dissimulata, o piuttosto non sanzionata (visto l’episodio dell’ammanco di 8.000 euro), per almeno sette anni. Senza ricorrere alla antica saggezza per cui vigilantibus, non dormientibus, iura succurunt, è a dirsi quindi che la eventuale causa di una perdita di prestigio o della reputazione di Sinpar e Gaps va ricercata soprattutto nell’ organizzazione aziendale delle medesime”.
Quindi l’invito alla Avvocatura dello Stato a non chiudere gli occhi di fronte alla convenzione del parcheggione. “Si è confortati dal fatto che proprio la presenza delle parti civili –in particolare della Eccellentissima Camera- nel determinare una completa e diretta conoscenza della situazione, consentirà di porre in essere ogni rimedio volto a ridurre od eliminare le inefficienze platealmente emerse, a tutto beneficio delle finanze pubbliche. Confermato che il risarcimento del danno compete alle singole parti civili (…) sembra però doveroso sottolineare che questa determinazione non esclude l’applicazione, tra le parti stesse, delle pattuizioni in essere. Al fine di evitare che sullo Stato si abbatta, dopo il danno anche la beffa, va sottolineato che, qualora negli anni interessati dalle sottrazioni di Ceccatelli, Sinpar abbia beneficiato dell’integrazione al minimo garantita dalla Camera, dovrà procedersi alle necessarie Compensazioni tra le parti”.
Risarcimento del danno, dunque, secondo quanto calcolato negli ammanchi, ma il giudice sottolinea che si dovrà tenere conto, tra le parti civili (lo Stato e la Sinpar), del fatto che negli anni degli ammanchi del caso Ceccatelli, lo Stato rifuse alla Sinpar di più di quanto avrebbe dovuto, anche a causa di controlli superficiali.

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