C’è un cacciatore per ogni unicorno

C’è un cacciatore per ogni unicorno

Riceviamo e pubblichiamo.

Abbiamo letto i programmi dei candidati alle elezioni di quest’anno e abbiamo trovato, tra le tante proposte, anche il riferimento a quella che si chiama «rivoluzione digitale», con le esigenze di un adeguamento e di comprensione anche critica.

Cercando di approfondire l’argomento, mi sono trovato di fronte a queste, a mio avviso acute, riflessioni, che potrebbero, al di là di vane chiusure settarie, essere l’occasione di un confronto e di un approfondimento, tanto più che la comune preoccupazione dei giovani e della loro educazione fa comprendere che l’argomento è di quelli che chiamano in causa tutti noi, al di là di schieramenti e di appartenenze.

Del resto proprio questo mondo dei social e della comunicazione mostra da un lato la sua pervasività e dall’altro la sua complessità e, se non ne scopriamo la logica, non possiamo né valorizzarlo né, tantomeno, correggerlo.

Dice Shoshana Zuboff al termine di un lavoro complesso e articolato, con la competenza di chi ha studiato a lungo la questione: «Che vita ci resta se perdiamo la nostra sfida? … Vogliono sopprimere i concetti di rifugio e santuario, da sempre ricercati da uomini e donne… le aziende potranno contare su guadagni sicuri, la fiducia sarà soppiantata dall’indifferenza …, il bisogno di connessione porterà gli individui… a trasformare le proprie vite in strumenti per gli scopi di altre persone, il sé verrà saccheggiato, il giudizio morale autonomo verrà represso perché il controllo non incontri ostacoli, l’attivazione e la modifica dei comportamenti soffocheranno la volontà di volere, la voce in prima persona sarà abbandonata, e saranno distrutti la politica e i rapporti sociali basati su ideali vecchi e ancora irrealizzati, come l’autodeterminazione e la legittimità dell’autorità e del governo democratico.

Ci sono ideali che, come splendidi unicorni, hanno ispirato le più grandi conquiste dell’umanità, per quanto possano essere stati ottenuti in modo imperfetto. Per ogni unicorno c’è però un cacciatore, e gli ideali alla base dell’ordine liberale non fanno eccezione. Questo nuovo tipo di cacciatore non vuole porte, serrature e ostacoli, non vuole che ci siano differenze tra quel che è intimo e quel che è lontano, tra la casa e il resto del mondo…

L’insopportabile vita sottovetro ci spinge a una corsa agli armamenti fatta di contro-dichiarazioni, alla ricerca di modi sempre più complessi per nasconderci all’interno delle nostre vite, con la speranza di trovare un rifugio dalle macchine sregolate e dai loro padroni. Lo facciamo perché avremo sempre bisogno di un santuario, e come atto di resistenza e rifiuto della disciplina strumentalizzante dell’alveare, della sua “sospensione dei diritti” e dell’incessante avidità del [potere]…

[I teorici di questo progetto] parlano di rivoluzione, della morte dell’individualità, dicono che la macchina alveare dev’essere il nostro modello, basato sull’influenza coercitiva e su armonie prestabilite. Page e Zuckerberg, i padroni di Facebook, vogliono trasformare la società per i loro fini commerciali. Naturalmente qualcuno non è d’accordo, ma la dichiarazione di una vita senza più pareti non è ancora riuscita a provocare sollevazioni di massa. Non è successo sia perché abbiamo bisogno di connessione, sia perché non riusciamo a capire quanto grande e profondo sia il progetto degli architetti della sorveglianza, e ancor meno quali saranno le conseguenze di questa “rivoluzione”» (Shoshana Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza, pp. 503-504.507).

  1. Abbiamo oramai tutti bisogno di connessione, certo, ma a quale prezzo?
  2. Non esiste una tecnologia «neutra». Quali saranno gli interessi nascosti, quelli che sono la caratteristica di ogni ideologia?
  3. Siamo veramente consapevoli delle conseguenze di questo processo conoscitivo e comunicativo? Non ci sembra che certe prese di posizione, certi comportamenti, certi modi di pensare così improvvisamente diffusi siano non tanto frutto di convinzione e di maturazione del pensiero ma piuttosto segno di quella dittatura culturale che ci porta a esprimere idee imposte più che liberi pensieri?

A volte sembra che il senso di impotenza domini le nostre menti. A volte sembriamo rassegnati di fronte a quello che accade, come se fosse ineluttabile. A volte ci sembra che chi esprime giudizi (che tra l’altro sembravano solidamente accettati anche solo poco tempo fa) difformi dal mainstream siano come il grillo parlante di Pinocchio o dei menagramo incapaci di riconoscere la bellezza della novità, passatisti ottusi e invidiosi delle «magnifiche sorti e progressive» dell’oggi.

Così si ripetono slogan, si trinciano giudizi assolutamente parziali per cui sembra che le vittime siano i colpevoli, e addirittura si lascia che i giovani siano preda di imposizioni di mentalità contraddittorie rispetto al cammino educativo dei loro genitori.

La laica Zuboff così conclude il suo interessante studio: «Il muro di Berlino è caduto per molti motivi, ma soprattutto perché i cittadini di Berlino est avevano detto “basta!” Anche noi possiamo dar vita a novità grandi e belle che ci permettano di rivendicare il futuro digitale come casa per l’umanità. Basta! Questa deve essere la nostradichiarazione.» E un grande resistente, il Beato Clemens August Von Galen di fronte alla violenza del nazismo nella Germania di Hitler, gridava: «etiamsi omnes, ego non – anche se tutti, io no». E noi diciamo il nostro “no” anche di fronte a quella campagna elettorale che preferisce il body shaming al libero confronto di idee.

don Gabriele Mangiarotti

Condividi


Per rimanere aggiornato su tutte le novità iscriviti alla newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy