San Marino. Difesa di Fiorenzo Stolfi: “Questo è un processo senza prove”

San Marino. Difesa di Fiorenzo Stolfi: “Questo è un processo senza prove”

L’informazione di San Marino

Gli avvocati Luigi Stortoni e Simone Menghini hanno chiesto l’assoluzione con la formula più ampia 

Difesa di Fiorenzo Stolfi: “Questo è un processo senza prove” 

“Se ancora vige il principio di innocenza, chi accusa deve provare ciò che sostiene. Al dubbio deve seguire l’assoluzione. Ma serve coraggio per assolvere” 

I legali hanno parlato anche di caso mediatico e politico

Antonio Fabbri

Il fatto non sussiste, o non costituisce reato, o in subordine difetto degli elementi oggettivi o soggettivi per pronunciare sentenza di colpevolezza. Queste in sintesi, a fronte della richiesta di condanna a 9 anni da parte della Procura fiscale, le conclusoni della difesa di Fiorenzo Stolfi, sostenuta ieri in aula agli avvocati Luigi Stortoni e Simone Menghini. (…)

L’avvocato Stortoni Ha iniziato l’arringa difensiva il professor Luigi Stortoni, sostenendo che “l’unione e separazione di diversi fascicoli” ha causato difficoltà nel vaglio delle prove raccolte. “Di quali prove il giudice dovrà tener conto? Non credo di quelle dei procedimenti in cui Stolfi non era presente. In questo senso va presa in considerazione una eccezione di inutilizzabilità quanto prima”. Poi l’avvocato Stortoni ha fatto riferimento alla registrazione depositata con l’esposto di Giuseppe Roberti. “Uno degli imputati getta delle accuse pesanti nei confronti dello stesso istruttore, il Commissario Buriani che ha svolto le indagini. Accuse che fanno saltare sulla sedia chi le legge, che se dovessero rivelarsi fondate, cosa che non credo, creerebbero un grosso problema rispetto alla validità dell’intero processo. Si è parlato di processo politico, io non voglio crederlo. Non lo credo altrimenti mi asterrei dal prendere la parola. Certamente ha avuto eco mediatica. Però la stessa prospettazione accusatoria, tradisce questa impostazione. Il capo di imputazione rispecchia una impostazione metagiuridica. I reati scopo sono descritti con una serie di locuzioni che rimandano più o meno lontanamente a dei reati. Si allude alla corruzione, ma poi negli atti non se ne trova traccia. Si trovano locuzioni come ‘acquisire direttamente o indirettamente il controllo di società’, ma non riesco a capire dove sarebbe qui la riconduzione al misfatto, dato che è attività perfettamente lecita. Influenzare apparati: influenzare di per sé è esercizio dell’attività politica. Sono fatti extra penali. Ricordo che quando sollevammo la questione di indeterminatezza su queste locuzioni, il giudice di appello Ferroni buttò sul tavolo una serie di articoli del codice penale, ma nessuno di questi si è tradotto nel capo di imputazione. Il professor Ferroni, che mi auguro non sia un cultore del diritto penale, disse che non era necessario venissero indicati. Sul riciclaggio cito per tutti la sentenza di appello firmata dal giudice Brunelli: è vero che non è necessaria la misura specifica della condotta del reato presupposto, ma una descrizione che consenta alla difesa di individuare il fatto per cui si procede per potersi difendere, sì. Insomma, è una imputazione che ha più carattere etico-politico che non penale. Dovendo noi rispondere in termini giuridici, diventa difficile, perché i due piani non coincidono più. Come possiamo difenderci, se ci si configurano questi dati socio-politici?”, ha detto il legale parlando di “strisciante retroattività”, sul desiderio di riscrivere la storia politica. L’avvocato Stortoni è poi entrato nel merito delle accuse. “Questo è un processo senza prove. Contro Stolfi non ci sono, se intendiamo il termine prova in una di quelle accezioni giuridico-penali che garantiscono la serietà del processo e l’affidabilità della decisione. Dirò di più, che le prove non si sono volute cercare veramente fino in fondo. Non so se sarebbero state trovate. Ho ragione di pensare di no, ma tutto sommato non si sono neanche cercate. Veronesi dell’Aif dice che non ha fatto indagini specifiche su Stolfi. Francioni anche. Si è ritenuto da parte dell’inquirente che ci ha condotto al processo, che non serviva, era patrimonio comune che ci fosse ‘del marcio in Danimarca’”.

Quindi l’avvocato è tornato a evidenziare il carattere etico-politico del processo: “L’invocazione della sentenza esemplare del Procuratore del fisco è emblematica. L’imputato non è più il fine, ma il mezzo con cui ottenere il risultato, ma questa è la negazione del diritto penale. Forse è l’affermazione della politica, io dico di una pessima politica, ma è il contrario del diritto penale. Lei – ha poi aggiunto rivolgendosi al Giudice Gilberto Felici – gettò una salutare sfida all’accusa, quando respinse la nostra eccezione preliminare sulla indeterminatezza del capo di imputazione. ‘L’accusa dovrà svolgere il suo compito’, disse. Ebbene, dal dibattimento non è uscito un grammo in più di quel vuoto pneumatico che c’era all’inizio”. Quindi le contestazioni alla posizione della parte Civile e della Procura fiscale. “Ho ascoltato e riletto con attenzione la sapiente e arguta conclusione dell’accusa privata e pubblica: una litania di ciò che non deve esserci perché ci sia associazione: non necessaria conoscenza diretta tra i suoi membri, non necessaria una finalità specifica, non l’ univocità di interessi. Fino qui si può, con molta cautela, anche acconsentire, con molti puntini sulle “i”. Ma questo non vuol dire che non debbano esserci alcuni elementi, non vuol dire che io non debba sapere che faccia parte della associazione, non vuol dire non sapere quando si è costituita, tra chi e quanto è durata. Dopo che mi avete snocciolato quello che non c’è, mi dite allora cosa deve esserci? Si dice allora che l’associazione è FinProject. Poi no. Poi di nuovo c’era, in finproject e negli studi professionali. Prova di questo è che Roberti aveva le chiavi se si intratteneva fino a tardi dell’ufficio… De hoc satis, veramente. Questa è una ricostruzione dell’associazione a posteriori, certo, ma deve essere la ricostruzione di un qualcosa che c’era. Se poi guardiamo il dolo: possiamo affermare che vi era una consapevole appartenenza alla stessa pur rudimentale organizzazione? No. Questa carenza del dolo, mi pare che denunci la carenza del substrato materiale”. Richiesta di assoluzione, dunque, dall’accusa di associazione a delinquere.

Sul riciclaggio, il professor Stortoni ha parlato di una “amalgama indistinta di situazioni tutte precedenti all’agosto del 2013. L’arditezza della costruzione giuridica non ci spiega se si sia accusati di riciclaggio o autoriciclaggio. E’ un ginepraio nel quale è difficile districarsi”. Ripercorsi i cinque singoli casi di riciclaggio per i quali il legale ha contestato l’assenza di indicazione dei reati presupposti oltre ad affermare che, vista la data dei fatti per i quali è mossa l’accusa, l’autoriciclaggio non sarebbe imputabile.

Quindi la conclusione: “Non si può dare a questo processo funzione catartica di punizione, di autoassoluzione, perché questo non è minimamente fare giustizia. Se applichiamo così il diritto, non soltanto feriamo la dignità dell’imputato, ma non facciamo neanche l’interesse dello stato, perché guastiamo il sistema giuridico. Credo che se questo stato libero è durato tanti secoli, forse è dovuto al fatto che, oltre alle persone, hanno durato le istituzioni, le garanzie e consentito di scrivere che questo è lo stato della libertà, senza dover esercitare la giustizia sommaria”.

L’avvocato Simone Menghini E’ toccato quindi al difensore sammarinese di Fiorenzo Stolfi, l’avvocato Simone Menghini. “Una condanna già scritta e già decisa. Questo il ritornello che accompagna il processo dal primo momento. Si è partiti innovando e facendo scempio di una tradizione nell’uso della carcerazione preventiva, che finora aveva tenuto al riparo il nostro Paese dalla barbara applicazione dell’istituto, tipica di altri lidi. Ricordo l’enorme impressione che l’episodio fece. Mesi di stralci di atti pubblicati con tempestività. Ogni volta che il clamore sembrava stemperarsi, una nuova pubblicazione. Condanna già scritta con un de profundis su un sistema giuridico. Vede, con la franchezza mi corre l’obbligo di evidenziare un particolare non secondario: il costante modus operandi con cui sono state condotte le indagini ha finito per piegare alle conclusioni volute sia i fatti che gli atti”. 

Poi l’avvocato Menghini ha proseguito: “Abbiamo un problema non secondario: Fiorenzo Stolfi non ha commesso i reati per cui è accusato. Perché una condanna già decisa? Perché in questo momento storico non abbiamo una alternativa. La decisione non la determinano le conclusioni endoprocessuali, ma le esigenze esoprocessuali”.

L’avvocato Menghini ha poi riportato le aspettative ascoltate tra la gente, nei bar: “Vedi, adesso viene fuori che non sono colpevoli… Va a finire che non li condannano… Stai tranquillo non vorrai mica che abbiano fatto tutto questo per niente…” Il legale ha poi richiamato un intervento del presidente della Corte di Cassazione italiana, Giovanni Canzio, nel quale si affermava che “l’opinione pubblica esprime spesso disapprovazione per alcune decisioni di proscioglimento, o di condanna se ritenuta mite. Questo disorientamento nasce dalla discrasia tra l’ipotesi di accusa e l’aspettativa dell’opinione pubblica. In questo si annida la differenza tra la giustizia attesa e la giustizia applicata, con il ribaltamento della presunzione di innocenza e dell’onere della prova. Aggiungeva poi che occorre ridare spazio alla ricerca della verità nel giudizio, secondo il rispetto delle garanzie”. Quindi l’avvocato Menghini ha proseguito affermando che la “vittima prescelta” del processo mediatico “è in primis l’imputato e, in seguito, il Giudice decidente. A fronte di ciò come farà il giudice a non condannarli? Siamo al cuore del problema: il giudice deve avere coraggio ad assolverli. In un piccolo paesotto di provincia dove si conoscono tutti, il coraggio ci vuole ad assolvere”.

Secondo il difensore di Stolfi “l’apparato di questo processo è una bolla di sapone. Il mio cliente ha troppi soldi? Ma qualcuno si è preso la briga di ricostruirne le entrate patrimoniali? Eppure Stolfi svolge attività lavorativa dal 1978. Ha ricoperto posizioni lavorative molto importanti e il totale del capitale rivalutato con interessi legali al minimo, fa due milioni di euro di stipendi. Se si fosse fatta un minimo di indagine questo sarebbe emerso”.

Poi l’avvocato ha impostato la propria arringa intrattenendo una sorta di dialogo, fatto di domande e risposte con se stesso, sui singoli capi di imputazione, sulle prove a fascicolo, su quanto emerso nel dibattimento.

Ha ripercorso quindi l’associazione a delinquere e i singoli reati fine contestati. “Non ci sono testimoni, né prove, né pedinamenti, né intercettazioni che attestino la sussistenza di questa associazione a delinquere, deir appotti tra gli imputati. Tra l’altro il mio assistito è socialista e gli altri imputati tutti di area democristiana e in quegli anni se le sono date di santa ragione”. L’avvocato Menghini ha rilevato che su oltre 240 operazioni scandagliate dalla Pg “in 18 anni solo due sono riconducibili al mio assistito”.

Quindi le domande sui singoli reati fine. Ad esempio “sulla turbativa del diritto di voto quanti elettori sono stati sentiti? Nessuno”, e così per tutto il resto, ha contestato la difesa, compresi i capi di imputazione di riciclaggio: “Non si sa chi abbia dato i soldi, né perché, ma si presumono provento di reato. Una parte va ai politici, altra parte a persone fisiche e giuridiche. Denari, gli stessi, quando vanno a questi soggetti non viene contestato nulla, quando a vanno a politici è riciclaggio. Eppure i testimoni che hanno indagato ci hanno riferito in udienza che non è stata verificata la provenienza del denaro”, ha detto Menghini.

La famigerata firma Un elemento di novità, poi, il legale lo ha portato sulla firma sul famigerato libretto Giulio2, firma sempre disconosciuta da Stolfi. “Durante la fase istruttoria si trovò nella cassetta della posta un plico con dentro documenti con la famosa firma. Una minaccia, secondo noi, che Stolfi denunciò all’autorità giudiziaria. Una minaccia, noi sospettiamo da parte di uno degli imputati, perché il mio assistito facesse valere magari la sua posizione per fare pressione relativamente a questo procedimento. Ma su quella firma e quei libretti sono accadute cose strane, me ne sono accorto recentemente. Sono andato a verificare direttamente le prove raccolte ebbene risulta un libretto senza firma e un altro libretto, con lo stesso nome ma con rilegatura in orizzontale anziché in verticale, che sostiuisce il primo dove, invece, c’è la firma del mio assistito, che però lui non ha fatto”. Su questo ha contestato la perizia grafologica di ufficio, sostenendo invece la posizione del proprio perito che ha contestato le modalità peritali non essendo stato effettuato il saggio grafico: Stolfi cioè non è stato fatto firmare alla presenza del perito che non lo aveva ritenuto necessario essendoci moltissime firme per potere confrontare quella contestata. Per l’avvocato, dunque, su quel libretto qualcuno ha apposto una firma falsa, ciò dimostrato, secondo la difesa, anche dal plico fatto ritrovare Stolfi nella propria cassetta della posta. In un capo di imputazione per riciclaggio Stolfi è accusato in compartecipazione con Silva, “ma i due neppure si conoscono”, dice l’avvocato.

Infine i soldi nella valigetta di Cartier, 934.000 euro. “C’è chi direbbe ‘sono illeciti e va condannato perché ‘sta storia della valigetta è stata sui giornali per mesi e mesi’. Mica ha detto dove li ha presi… se non fosse che nessuno glielo ha chiesto. Soldi in una valigetta: e questo sarebbe occultamento? E allora per i soldi che ciascuno ha nel portafogli deve essere contestato l’occultamento?”

Poi sui tanti nomi che compaiono nel fascicolo, le numerose operazioni l’avvocato afferma: “Il mio cliente con tutta questa roba qua non ha niente a che vedere. Non doveva stare mischiato con questa roba qua. Aveva diritto ad avere un processo normale, con fatti circoscritti e se innocente essere liberamente assolto. Averlo forzatamente tenuto con tutto questo insieme di fattispecie gravissime, è sempre un forma di pressione, perché la gente non capisce che la sua è una posizione diversa. Se ancora vige il principio di innocenza, è chi accusa che deve provare ciò che sostiene. Questo procedimento è lo scempio della legge sul giusto processo. Al dubbio deve seguire l’assoluzione, non la condanna. Perché ciascuno ha diritto ad essere giudicato per ciò che ha fatto non per ciò che si vorrebbe avesse fatto”. Quindi le richieste. “Chiediamo, per tutti i capi di imputazione, l’assoluzione con la formula più ampia e piena, perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto o perché all’epoca in cui è stato commesso non era previsto dalla legge come reato. In subordine chiediamo l’assoluzione perché non consta abbastanza della colpevolezza in termini oggettivi e soggettivi”. Chiesto anche il rigetto delle pretese avanzate dalle parti civili. Oggi nuova udienza con le difese di Menicucci, Mularoni e Marcucci.

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