Gentilissimi ospiti,
È un piacere poter portare il saluto del Governo a questo vostro momento congressuale, che cade in un momento certamente molto delicato per il Paese e che quindi il Governo segue con estrema attenzione.
ANALISI DELLA CONGIUNTURA ECONOMICA
Superata la fase della grande crisi economica con difficoltà e lasciando tanti posti di lavoro per strada, oggi stiamo assistendo ad una ripresa significativa, specialmente nel settore manifatturiero, con l’occupazione dei lavoratori residenti che a Luglio 2018 ha toccato il massimo storico e con livelli di occupazione complessivi che si attestano tra i livelli massimi di sempre. Naturalmente questo avviene anche per effetto dell’aumento della popolazione, che negli anni pre crisi non era certamente ai livelli di oggi, ma è anche indice della capacità del sistema economico di generare posti di lavoro per assorbire questo aumento. Come ho già avuto modo di dire pubblicamente, sono convinto che la crescita economica che il nostro paese registrerà nel 2018 saranno notevolmente più alti di quelli stimati a inizio anno dal Fondo Monetario Internazionale, che per quelle stime si basava sull’andamento dell’occupazione, che allora stava rallentando, mentre nei successivi mesi ha registrato un vero e proprio boom: e questo è il dato positivo da rilevare, perché solo se cresce l’economia e l’occupazione possono crescere le entrate per il bilancio dello Stato e per i Fondi Pensione, due elementi di grande criticità su cui poi dirò, mitigando le necessità di tagli sempre difficili.
Un tasso di disoccupazione in senso stretto (che ricordo essere l’unico dato che fuori da qua verrebbe preso in considerazione per il calcolo della disoccupazione) che, nei primi 10 mesi del 2018, si attesta ad una media del 6,15%, rappresenta un dato di tutto rispetto e di buona soddisfazione, in linea con le performance delle regioni più sviluppate d’Italia: ma è chiaro che si può e si deve fare meglio, cercando di favorire ulteriormente la crescita ed il consolidamento delle imprese e l’attrazione di nuove attività. Contemporaneamente cercando di porre in essere politiche che possano aiutare a ridurre la disoccupazione delle fasce deboli del mercato, in particolare le donne e i lavoratori con età avanzata ma non ancora da pensione: un tentativo è stato fatto con il Decreto 80/2018, che ha significativamente accresciuto gli incentivi per le assunzioni di queste categorie e delle donne che cercano lavoro part-time, ma è evidente, lo dico io per primo, che queste risposte non possono minimamente sostituire il ritorno alla crescita di quei settori che sono ancora in difficoltà nell’agganciare la ripresa, in primis commercio e turismo che tradizionalmente rappresentavano mercati di sbocco importanti per la manodopera femminile.
Di ulteriormente positivo ci sono gli investimenti da parte delle imprese, che come mostra la relazione economico-statistica al bilancio di previsione dello Stato, sono cresciuti del 10% nel 2017 e, come ci ha riferito lo studio Anis anche la scorsa settimana, continuano a crescere nel 2018. Anche questo è indice di una economia dinamica e capace di innovarsi per stare sul mercato.
LE POLITICHE DEL GOVERNO
Naturalmente queste sono analisi che ci servono a focalizzare il trend economico in atto. Fatemi dire che il Governo sta cercando di supportare al meglio possibile questa dinamica del mondo imprenditoriale privato, con due scelte molto semplici: cercare di lasciare lavorare le imprese, permettendo loro di fare le scelte di business che ritengono più opportune senza vincoli assurdi, e semplificare il rapporto fra PA e impresa. Crediamo infatti che un sistema virtuoso sia un sistema dove lo Stato entra poco rispetto alle scelte dell’impresa e le lascia libere di adattarsi al mercato: può sembrare scontato e ovvio, ma per il nostro Paese non lo è assolutamente.
Basti pensare agli sforzi che abbiamo dovuto fare nella prima parte della legislatura sul fronte delle liberalizzazioni: noi eravamo il paese dove l’impresa non era libera di scegliere le proprie risorse umane ma c’era un ufficio che diceva loro chi assumere; noi eravamo il Paese dove per aprire una società bisognava avere l’autorizzazione di Commissioni varie o del Governo, con tempi lunghi e discrezionalità; noi eravamo un Paese dove il Registro delle società era tenuto su carta in Tribunale, ed anche per ottenere una vigenza bisognava fare un percorso tortuoso; e così via. Cose ovvie e scontate ovunque, dove le imprese assumono chi vogliono, aprono società in libertà e fanno tutto on line, ma da noi no.
La parte successiva dello sforzo sarà dedicata allo snellimento della burocrazia, perché non è l’impresa che deve adattarsi alla PA ma il contrario. Quindi silenzio assenso, abolizione della legge sulle licenze, accettazione dei documenti in inglese, comunicazione unica, semplificazione dell’adeguata verifica, segnalazione certificata di inizio attività, conferenza dei servizi e altro: dobbiamo semplificare la vita a chi sceglie di fare impresa a San Marino.
Possono sembrare temi secondari, siamo abituati a pensare che lo sviluppo si faccia con grandi investimenti, risorse imponenti, ecc…ma basta guardare gli indicatori di Doing Business per accorgerci che lo sviluppo sta nell’avere leggi che consentono alle imprese di lavorare, perché poi possano stare bene sul mercato e crescere.
E siccome solo se si sviluppa l’impresa si sviluppa l’occupazione, sono politiche che mi piacerebbe venissero riconosciute e sottolineate, tanto più che sono a costo zero. Eppure non si sono mai fatte.
Naturalmente il Governo è stato e sarà pronto anche a porre in essere politiche specifiche per singoli settori, a partire da quello industriale che è trainante per il nostro Pil, come fatto con le varianti di Prg o con gli interventi sul credito agevolato, ed altri che verranno. Invito anche qua a non misurare l’attenzione che viene data ad un settore o ad un altro sulla base del numero di pagine che gli sono dedicate nei documenti, ma sulla base delle politiche concrete che vengono poste in essere.
IL BILANCIO DELLO STATO
Seppure quindi dall’economia giungano segnali incoraggianti, che possono essere rafforzati con le opportune politiche, la grande criticità di questo periodo è il sistema bancario e di riflesso il bilancio.
Volenti o nolenti, era proprio il sistema bancario il maggiore contributore del bilancio dello Stato negli anni pre-crisi, una parte significativa delle entrate veniva da lì. Oggi quel sistema non solo non produce più entrate, ma è diventato un costo; pensare di potere semplicemente sostituire quelle entrate con altre entrate di importo uguale è nel breve periodo assolutamente impensabile, quindi è necessario tagliare le spese per mantenere il bilancio in equilibrio.
Non sono di quelli che pensano che il pareggio di bilancio sia un mantra, ma è chiaro che avere un deficit perché si fanno investimenti è un conto, averlo perché le spese superano strutturalmente le entrate è una ricetta per il disastro. E noi siamo in questa situazione, almeno dal 2010, solo che prima abbiamo fatto fuori tutti i risparmi che lo Stato aveva, oggi li abbiamo finiti e dobbiamo rimetterci in pari.
Le determinanti della spesa le conosciamo: acquisti di beni e servizi, stipendi e trasferimenti agli Enti, anche se chiaramente quest’ultima voce sappiamo bene che serve in buona parte al pagamento degli stipendi di quegli stessi Enti e per finalità previdenziali. Non ci sono tante vie di azione per tagliare la spesa, se non agire su tutti quei nodi in maniera equa e con una visione a lungo termine.
Anche perché sul fronte delle entrate le politiche hanno un effetto più a lungo termine: aumento delle entrate per effetto dell’aumento delle imprese e dei lavoratori, ripresa dei consumi, introduzione dell’Iva (che comunque deve essere strutturata in modo da non penalizzare le attività al dettaglio e i servizi), lotta all’evasione fiscale. E comunque, ripeto, è impensabile credere di poter tornare alle entrate di un tempo senza tagliare le spese.
Le politiche sono dunque da fare assieme, contemporaneamente, e con equità e proporzionalità. Senza giocare sul benaltrismo, sul “fai questo e non quell’altro”, ma consapevoli che le risorse da recuperare sono tante, almeno 35-40 milioni strutturali ogni anno.
Il debito pubblico che sarà necessario per la ricapitalizzazione di Cassa di Risparmio, per effetto di scelte passate non certamente nella responsabilità di questo Governo, siamo consapevoli possa spaventare ma sarà ovviamente a lungo termine, inciderà ogni anno per la sua quota e aumenterà la necessità di interventi a quelle cifre che il Governo ha reso note fin da Agosto scorso. Anche da qua, è difficile poter uscire: abbiamo sentito tante critiche per l’intervento fatto in Carisp, ci sono state evidenziate le diverse contrarietà, le criticità che apre, i problemi potenziali, i rischi e tutto quanto, cose di cui siamo pienamente consapevoli, ma non si sente la proposta alternativa a quello che si critica, cioè cosa si sarebbe fatto per risolvere i gravissimi problemi della banca più importante del Paese, che non poteva certo essere lasciata fallire visto che custodisce le risorse di tantissimi cittadini sammarinesi che avrebbero a quel punto perso tutto e visto l’inevitabile effetto contagio che un suo fallimento avrebbe avuto sul resto del sistema. Noi consideriamo l’intervento su Cassa di Risparmio un grande investimento che dovrà dare dei ritorni che, in futuro, ci consentiranno di aiutare a ripagare i debiti che facciamo oggi una volta che la banca tornerà a fare utili. Naturalmente, perché questo avvenga è necessaria una profonda ristrutturazione interna dell’istituto, che si cercherà di avviare nei prossimi mesi non appena risolte le principali emergenze.
IL CONFRONTO E IL POCO TEMPO A DISPOSIZIONE
Di fronte a queste situazioni e a queste necessità, è evidente che occorre una profonda ristrutturazione del sistema, ed in particolare delle determinanti del bilancio dello Stato. E, vi assicuriamo, il Governo è il primo che non avrebbe intenzione di porre in essere da solo queste politiche, visto l’alto grado di impopolarità che comportano. Tuttavia, c’è una determinante da considerare, e cioè il tempo: non abbiamo infatti molto tempo per poter intervenire, la realtà non aspetta i nostri riti e i nostri rituali, occorre essere molto concreti e risoluti.
Tutte le parti sociali richiedono da tempo tavoli di coordinamento dove discutere delle grandi scelte di fondo, fare squadra, ragionare insieme, confrontarsi. Il Governo, come detto, ha gli stessi auspici, soprattutto sulle grandi riforme che il Paese si porterà dietro per anni e anni, in primis pensioni e PA.
Tuttavia, queste volontà spesso cozzano con i comportamenti a quei tavoli, e non solo per responsabilità del Governo. Spesso infatti nei tavoli che vengono convocati si ragiona di massimi sistemi, si fanno le proprie rivendicazioni politiche generali o di bandiera ma si ha difficoltà a scendere sulle proposte concrete, con cifre, numeri e interventi specifici, che invece sarebbe essenziale per rendere produttivo il confronto. Inoltre, spesso, sono per prime le parti sociali a richiedere di affrontare gli argomenti in tavoli separati, bilaterali con il Governo, per evitare di litigare; a quel punto si aprono i tavoli bilaterali dove ognuno si fa il proprio elenco della spesa di richieste, ovviamente esattamente opposte fra associazioni datoriali e sindacali, salvo poi dissociarsi immancabilmente dalla sintesi che il Governo cerca di trovare oppure, come minimo, dire che quello che si è fatto non è abbastanza. Questo è quello che da mesi sta succedendo, ed è tipico delle logiche rivendicative degli anni scorsi quando si poteva dare qualcosa a tutti ma inadatto oggi che bisogna pensare a ristrutturare il sistema. Il Governo crede invece che oggi sia necessario innalzare da parte di tutti il livello della proposta, confrontandosi sulle idee specifiche che ognuno è in grado di formulare e farlo tutti assieme, anche litigando ma cercando poi una sintesi comune. Entrando nei dettagli tecnici e operativi e valutando assieme le conseguenze di ogni idea, confrontandole allo stesso tavolo con quella degli altri attori che magari la pensano all’opposto e cercando delle sintesi assieme: questo è fare sistema, ma siamo lontani da questo modo di lavorare. Ma se non cambieremo passo anche su questo, come dimostrano i fatti, ci si prenderà la soddisfazione di continuare a prendersela col Governo, che è sempre uno sport diffuso e facile, ma non si arriverà ai risultati per il Paese.
Oggi non siamo nella condizione di fare una cosa invece che l’altra, ma di fare tante cose assieme per ristrutturare il sistema, il bilancio, le banche, qualcuna di queste darà nel naso a qualche parte sociale e piacerà ad un’altra, qualcuna farà l’effetto esattamente opposto, e solo se si metteranno tutte assieme si raggiungeranno i risultati. Questo è fare sistema, litigare e trovare una mediazione fra punti di vista opposti, ma con senso di responsabilità e senza rinvii tattici, senza no preconcetti. Perché tempo non ne abbiamo più ed altrimenti il Governo, che ha la responsabilità ultima di gestire il Paese e mantenerlo su un sentiero di sostenibilità, è giocoforza obbligato a intervenire da solo.
Con questo auspicio per il futuro chiudo il mio intervento, nella speranza che questo cambio di passo di cui abbiamo parlato si possa tradurre anche in un cambio di metodo. Il Governo certamente dovrà essere il primo a farlo e ce la metteremo tutta, auspico che ci sia la medesima responsabilità da parte di tutti.
Vi auguro un buonissimo lavoro per questo vostro Congresso, con la speranza che porti ai migliori risultati per l’organizzazione e per il Paese.