San Marino. Don Gabriele Mangiarotti: “Gente di poca fede”

San Marino. Don Gabriele Mangiarotti: “Gente di poca fede”

Gente di poca fede

 Fa riflettere, in questi giorni, l’indagine sulla religiosità (in Italia, ma non credo che i risultati siano tanto diversi qui in San Marino) commissionata dalla CEI, in cui si mostrano i cambiamenti che si sono realizzati in questi ultimi 25 anni a proposito delle convinzioni e della pratica religiosa. Già dal titolo (Gente di poca fede…) si intravvedono le considerazioni, che vengono illustrate con cura dai giornali, e qui mi rifaccio a quanto ne ha scritto «La Stampa».

Scrive Giovanni Fornero, nell’articolo “Religione percepita come ininfluente sulla vita pubblica”:

Quali ripercussioni ha sulla società l’arretramento della pratica religiosa?

«Ritengo che sia l’effetto – e al tempo stesso la causa – di una sempre più accentuata secolarizzazione del nostro Paese, che si accompagna sia a una perdita della centralità della Chiesa nella vita di tutti i giorni, sia a una generale “privatizzazione” della religione, che sembra sempre più incapace di influire sulle grandi decisioni pubbliche e legislative».

(…) La bioetica continua a infiammare gli animi tra credenti e non credenti: intravede una possibile sintesi costruttiva all’orizzonte?

«Più che sintesi dottrinali in atto per il momento osservo, soprattutto a proposito dei problemi del fine vita, una sempre più accentuata estensione del cosiddetto “scisma sommerso”, cioè del divario tra dottrina ufficiale della Chiesa e vita concreta dei fedeli».

Ci fa un esempio?

«Lo attesta il fatto, su cui ritengo importante riflettere, che se da un lato gli italiani si dichiarano in maggioranza cattolici dall’altro – statistiche alla mano – si manifestano in maggioranza favorevoli all’eutanasia volontaria».

 

Una fede ridotta (anche se una certa religiosità permane) che sembra non avere più nulla da dire sulla vita, sugli impegni, sulla società e sulla politica. Tutt’al più si «aderisce al cattolicesimo come “deposito di valori”» senza che questo implichi una differenza di giudizio sulla realtà quotidiana.

Siamo in presenza di una «apostasia dalla fede» le cui conseguenze sono inimmaginabili, e su cui vale la pena riflettere, se si hanno a cuore le sorti di un Paese e le speranze per i giovani. Conseguenze che investono certamente anche le questioni legate alla educazione dei giovani, e questo in un paese, come il nostro, che ha nel suo DNA un santo come fondatore.

Credo che quanto sta accadendo non riguardi solo coloro che credono, ma, in varia misura, anche coloro che vivono pensando al senso della vita e dei valori fondanti una seria convivenza. Del resto, i problemi che la pandemia, da una parte, solleva (con la ricerca di ragioni che ridiano valore alla convivenza tra diversi, vincendo la tentazione del sospetto nei rapporti e dell’individualismo impaurito) e dall’altra una vita politica in cui il bene comune non può essere uno slogan ripetuto come un mantra ma che lascia poi il posto a vendette e ritorsioni in vista solo di un vantaggio di una parte o di una fazione sull’altra, tali problemi, appunto, chiedono un criterio di giudizio fondato e condiviso.

 

Già quanto scriveva il Papa Emerito Benedetto XVI a un Convegno sul suo pensiero non può che aiutarci a non sottovalutare la questione di fondo. Egli così scriveva: «Il confronto fra concezioni radicalmente atee dello Stato e il sorgere di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamistici, conduce il nostro tempo in una situazione esplosiva, le cui conseguenze sperimentiamo ogni giorno. Questi radicalismi esigono urgentemente che noi sviluppiamo una concezione convincente dello Stato, che sostenga il confronto con queste sfide e possa superarle». E questo vale anche se coloro che osservano quanto accade nel mondo islamico vanno affermando: «Anche tra i musulmani crescono gli scettici Soprattutto under 18.

[…] Non è un Paese per atei l’Egitto e non lo è il mondo arabo-musulmano, dal momento che per blasfemia e apostasia si può essere giustiziati in Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, Emirati, Yemen (e nei non arabi Iran, Afghanistan, Malesia, Maldive, Mauritania, Nigeria, Pakistan, Somalia, Sudan).

Eppure, già nel 2012 un sondaggio allarmò non poco Riad rivelando che il 19% dei sauditi si definiva non religioso e il 5% esplicitamente ateo. Lo scorso anno la conferma di una tendenza crescente, ancorché sottotraccia: secondo uno studio della BBC Arab Barometer il numero delle persone «non religiose» nella regione era passato dall’8% del 2013 al 13% del giugno 2019 con un aumento significativo negli under 18 e soprattutto in Tunisia, Libia, Algeria, Marocco, Egitto.

«La differenza tra gli atei arabi e quelli occidentali sta nell’argomentazione scientifica sull’evoluzione e le origini dell’universo, laddove gli arabi prestano meno attenzione a questo aspetto, specie all’inizio, e si concentrano di più sul contestare l’esistenza di Dio così come viene descritta dalla religione» spiega il giornalista britannico Brian Whitaker in Arabs Without God (Arabi senza Dio)…». (Francesca Paci)

Cristiani senza fede e mussulmani la cui appartenenza sembra permanere non per convinzione ma per costrizione rendono evidente che è necessario ripercorrere un cammino in cui le convinzioni religiose chiedono di essere fondate sulla verità e sulla testimonianza. E qui si apre una bella prospettiva, almeno per noi cristiani.

 

Condividi


Per rimanere aggiornato su tutte le novità iscriviti alla newsletter

Quando invii il modulo, controlla la tua inbox per confermare l'iscrizione

Privacy Policy