La linea di demarcazione. Di Rosanna Ridolfi

La linea di demarcazione. Di Rosanna Ridolfi

Semplificazioni e complessità

Sono cresciuta nella seconda metà del secolo scorso, in un’epoca di dualismi netti (la destra e la sinistra, uomini e donne, il capitalismo e il comunismo …), quando tutto era chiaro ed esistevano certezze in ogni ambito. O almeno così sembrava.

La famiglia, monogamica, composta da un uomo e una donna, un padre e una madre, era considerata il fulcro della società.

I figli nascevano da un utero materno, avrebbero fatto inorridire allora locuzioni come madre surrogata o utero in affitto.

Chi aveva desideri e gusti sessuali diversi viveva nell’ombra, avendo cura di non far trapelare il proprio modo di essere.

I musulmani, semplicemente abitanti di paesi lontani dal nostro, non erano ancora considerati nemici dell’umanità. Le loro consuetudini religiose, il velo, il burqa, avevano un vago fascino esotico, esattamente come il canto del muezzin, le moschee, i minareti. Chi si trovava a viaggiare in quei territori poteva osservare tutto ostentando tolleranza ed ampiezza di vedute, per poi tornare, con un sospiro di sollievo, nei propri paesi liberi e alle proprie abitudini occidentali. Una linea che attraversava l’Europa da Stettino a Trieste, e per la quale si usava la metafora di cortina di ferro per indicarne l’invalicabilità, segnava il confine territoriale ma soprattutto ideologico che divideva il mondo occidentale da quello orientale, i paesi delle democrazie liberiste da quelli socialisti.

Politicamente i termini destra e sinistra definivano modi di pensare e di vivere diversi e ben delimitati.
Ora …

La minaccia di una possibile guerra nucleare che nel secolo scorso ha tenuto tutti col fiato sospeso e che una volta smantellate le centrali si pensava fosse un capitolo chiuso, torna più insistente, assurda ed angosciante che mai, ma passa come una notizia qualsiasi del telegiornale o tra uno spot e l’altro dei talk show: assuefatti ad un bombardamento di informazioni martellante quanto inutile, siamo diventati impermeabili a tutto, anche all’idea della fine del mondo?

E riguardo alla guerra vera che si sta combattendo in Ucraina con centinaia di vittime, se da un lato viene affermato che le ragioni stanno sempre e comunque dalla parte di chi è stato aggredito, dall’altra si insinua il dubbio che le cause che hanno innescato il conflitto non siano riconducibili al solo aggressore.

E la destra e la sinistra contemporanee? Cosa sono, cosa significano?

In Italia uno degli argomenti che hanno infiammato il dibattito fra destra e sinistra in questi ultimi giorni è se la foto di Mussolini debba rimanere a Palazzo Piacentini dove è stata di recente inserita fra quelle degli altri ministri “storici”, e anche in altre sedi istituzionali, dove tra l’altro sembra stazioni da anni. Ma è davvero cancellando le foto, le testimonianze architettoniche, che si normalizza la storia? O non si finisce col negarla? Meglio forse lasciare il ritratto di Mussolini dove sta, spiegando piuttosto, specie ai giovani, chi e che cosa è stato.

E non sarebbe opportuno che i partiti, invece di impegnarsi in sterili polemiche di facciata, dedicassero più spazio agli argomenti che definiscono il rispettivo progetto di società?

Non ho la pretesa di mettermi a condurre un’analisi politica, mi permetto solo qualche considerazione da persona comune.

Per esempio: l’emancipazione femminile e l’integrazione degli immigrati sono state da sempre il vessillo della sinistra, ma di fatto in Italia la prima donna premier, seconda carica dello stato, oggi è di destra, e il primo senatore di colore, nigeriano d’origine, è stato eletto già nel 2018, nello schieramento della Lega. E se, come sembra, gli operai di Mirafiori nelle ultime elezioni hanno votato Meloni, e nel governo da poco costituito il presidente del Senato è stato eletto anche grazie a voti non proprio di destra, non sembra essere più molto chiaro quale sia l’ambito di idee e comportamenti che delineano i due schieramenti.

Nello scenario contemporaneo intanto molte altre cose sono cambiate: oggi è la condizione degli immigrati più che quella della classe operaia a dividere i partiti; ma anche questo è un problema complesso: se è umanamente giusto che le persone che fuggono da guerra e miseria debbano trovare aiuto ed accoglienza, è altrettanto giusto chiudere gli occhi (come la Comunità Europea di fatto sta facendo) sulle torture che questi poveretti subiscono nei centri di raccolta in Libia, sul lurido, e mortale, commercio di esseri umani messo in atto dagli scafisti? E che dire del Memorandum del 2017 che di fatto sta finanziando i crimini libici? Ma soprattutto perché fingere di non sapere che la soluzione c’è ed è sotto gli occhi di tutti, ovvero mettere fine allo sfruttamento del continente africano (perpetrato da secoli, con ogni mezzo, dalle nazioni “occidentali”) favorendone invece lo sviluppo, e far in modo così che le persone non siano più costrette a lasciare la loro terra per sfuggire a guerre e carestie? Perché è molto probabile, anche se nessuno si sofferma mai su quest’aspetto, che la maggior parte degli africani preferirebbe non partire affatto.

E in ogni caso, nessuno, a qualunque partito appartenga, dovrebbe dimenticare che i migranti non sono carte politiche da giocare per vincere le elezioni o ottenere consensi, ma esseri umani e, spesso, vite che finiscono inghiottite dal Mediterraneo.

Subentra poi il problema dell’integrazione. È di non molto tempo fa l’episodio del trentenne italiano che in una stazione in provincia di Firenze ha aggredito una donna incinta, interamente coperta dal niqab, che tenendo per mano il figlio di 11 anni cercava di salire sul treno. Il gesto dell’uomo è inammissibile e razzista; però non è anche vero che accettando, in nome di un presunto relativismo culturale, certi costumi e certe pratiche, dimenticheremmo il ruolo di vittima di queste donne? Ruolo al quale ormai le stesse musulmane, come mostra quel che sta accadendo in Iran, si ribellano anche a costo di rischiare la vita.

Favorire l’inclusione degli immigrati nella nostra società non significa tollerare il persistere di consuetudini misogine, simbolo di sopraffazione e mutilazione.

C’è inoltre la questione dei diritti civili, nello specifico quelli riferibili all’orientamento sessuale degli individui. Molti, sempre più spesso, lamentano con fastidio l’invadente presenza delle comunità omosessuali e dei loro problemi nella società odierna, rivendicando più attenzione per i diritti delle persone e delle famiglie “tradizionali”. Poi alla Biennale di Venezia succede di vedere un film straziante come Il signore delle formiche. La storia di Aldo Braibanti, poeta, drammaturgo, insegnante, ex partigiano, condannato nel 1968 a nove anni di carcere per plagio nei confronti di un suo giovane allievo, in realtà maggiorenne e consenziente (come lui stesso testimoniò al processo), che non ebbe miglior sorte: la famiglia lo fece rinchiudere in un ospedale psichiatrico dove avrebbero dovuto “curare la sua devianza” e da cui esce distrutto da ben quaranta elettroshock. Tutto si ridimensiona allora, soprattutto in considerazione del fatto che ancora oggi c’è chi parla di “devianze”. Ci si rende conto che è importante cercare di comprendere anche la sofferenza di chi viene discriminato per l’identità; perché la fluidità di cui tanto si parla, probabilmente, continua a riguardare molto di più il mondo dello spettacolo che non la vita reale delle persone…

Quante contraddizioni, quante domande. Dov’è finita la linea di demarcazione? Probabilmente non resta che accettare l’idea che quasi mai esiste un modello di riferimento ideale da contrapporre ad uno assolutamente negativo e che la realtà, oggi più che mai, è complessa e poliedrica, e solo allenandoci ad analizzare la molteplicità dell’esistente da più angolazioni, possiamo sperare di capire qualcosa.

Il capitale semantico dell’anaffettività

Mi soffermo, a volte, ad osservare l’inconsistenza di quello che potremmo definire il capitale semantico del nostro tempo. E non mi riferisco solo a quello prodotto sul web, emozionale, sintetico, a volte sgrammaticato.

Sono rimasta scossa tempo fa da un avvocato che riferiva le scuse dell’individuo che patrocinava, alla famiglia dell’immigrato disabile che quest’ultimo aveva barbaramente ucciso, sotto gli occhi di persone indifferenti e prive di umanità, che invece di preoccuparsi di offrire o chiedere aiuto, filmavano l’accaduto coi cellulari.

E rifletto sul linguaggio giornalistico attuale, che a banali stereotipi che sentiamo spesso ribadire, ha aggiunto la domanda Lei perdona? ai familiari delle vittime che qualche criminale ha appena privato della vita.

Si può chiedere scusa ad una persona per averla urtata accidentalmente o a qualcuno cui si è arrecata verbalmente un’offesa in un momento di rabbia. Ma non si può, proprio no, chiedere scusa per aver ucciso a mani nude, deliberatamente e con crudeltà e sadismo inauditi un altro essere umano indifeso: sono ben altri i sentimenti che andrebbero esternati (o taciuti …). E come si può pensare che un padre, una madre, un fratello a cui è stata uccisa una persona cara possano elaborare seduta stante il concetto di perdono?

L’uso della lingua è sempre più inadeguato, sono saltati in aria gli schemi concettuali, la capacità interpretativa, e questo si riflette in un’espressione verbale divenuta incapace di trasmettere idee, emozioni vere, senso.

Alla fine le parole sbagliate, nel contesto sbagliato, finiscono col cancellare ogni linea di demarcazione e rendere tutto, anche il dolore, la gioia, la vita stessa, insignificanti.

Giocare a vivere

Ma non dobbiamo preoccuparci. Se non ci piace come siamo e non ci sentiamo a nostro agio nel mondo in cui viviamo, ora possiamo crearci una vita alternativa e su misura, in un nuovo spazio ideale, il Metaverso.

Questa “parola macedonia”, frutto della fusione di un prefisso di origine greca con un termine inglese, significa letteralmente, come credo ormai tutti sappiano, “oltre l’universo”. Il termine, venne usato per la prima volta in un romanzo cyberpunk del 1992, Snow crash, che anticipava il nostro tempo con inquietante preveggenza.

Per poterci muovere in questa nuova dimensione abbiamo bisogno di crearci un alter ego, un avatar, (parola presa a prestito, questa volta, dalla religione induista) grazie al quale ci trasformeremo pure noi in divinità dai poteri stupefacenti.

Armandoci di guanti e visori speciali potremo isolarci completamente dalla piatta quotidianità che ci caratterizza e immergerci in mondi fantastici dove sfuggire alla noia, allo spaesamento, al senso d’impotenza; potremo vivere avventure straordinarie e senza limiti.

Di fatto non è più tutto così ipotetico: già ora, il Metaverso offre la possibilità di agire in un’infinità di mondi virtuali interconnessi, svolgendo insieme agli altri “abitanti” moltissime attività, come acquistare terreni ed immobili, fare investimenti in criptovalute, aprire aziende virtuali. Grazie alla nuova frontiera del progresso, ci si offrono anche, dicono gli esperti di comunicazione interculturale, nuove occasioni professionali.

Tutto mentre rimaniamo al sicuro nella nostra stanza, seduti davanti ad uno schermo, con tablet e cellulare a portata di mano, crogiolandoci nell’illusione di essere noi gli artefici della nostra nuova esistenza elettronica, completamente padroni di tutti gli strumenti e di questa straordinaria “realtà aumentata” …

… O rischiando, in verità, di perdere la consapevolezza che si tratta solo di un mondo speculare, di un’esistenza artificiale, che di fatto ci renderà più che mai soli e lontani dalla vita vera e dalla storia?

Però in questo caso la linea di demarcazione fra la nostra libertà intellettuale ed individuale e il dominio della tecnologia, pilotato che sia da esseri reali o da entità occulte, possiamo essere noi a definirla.

Perché se non ci è dato avere per intero il controllo della realtà, la possibilità di rifiutare di divenire esseri totalmente eterodiretti io credo sia ancora in nostro possesso, così quanto la facoltà, come direbbe Susanna Tamaro, di tornare umani.

ROSANNA RIDOLFI

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