San Marino. Menhir di Ventoso, il “mistero” che non c’è, a cura di Davide Pezzi

San Marino. Menhir di Ventoso, il “mistero” che non c’è, a cura di Davide Pezzi

Menhir di Ventoso, il “mistero” che non c’è

Ormai inghiottiti dalla vegetazione i “sassi” di Ventoso fanno ancora parlare (a sproposito) di sé

Davide Pezzi (a cura di)

“E’ un mistero degno di Indiana Jones, gelosamente custodito dalle colline che segnano il confine fra la Romagna e la Repubblica di San Marino” (Archeo Misteri Magazine). E’ una notizia sensazionale che, come i presunti reperti preistorici cui fa riferimento, riaffiora ciclicamente. E con uguale periodicità giunge, doverosa, la smentita. Un ricorrente mistero che alimenta facili ipotesi e fallaci speranze.

Di che si tratta? Dei menhir al confine di Ventoso. Presunti megaliti di epoca remotissima, risalenti al Neolitico o all’età del Bronzo. Un reperto seminascosto a cavallo del territorio comunale di Verucchio e del confine di Stato della Repubblica nei pressi dell’antico Castrum Ventosi (dalla denominazione sulle antiche mappe). La notizia è stata riportata nel numero di dicembre 2017 della rivista Archeo Misteri Magazine che annunciava addirittura, in copertina, una “sconosciuta piccola Stonehenge a San Marino”.

Dove sono questi preziosi e misteriosi i reperti? Uscendo da Ventoso verso Verucchio, dopo poche decine di metri, sono lì sulla sinistra nella scarpata della prima curva destrorsa, in mezzo a fitti rovi e densa boscaglia, per la verità oggi difficilmente distinguibili.

Possibile che le istituzioni verucchiesi e sammarinesi, già ricche di testimonianze archeologiche di livello internazionale, si siano fatte sfuggire un bene così prezioso e così antico? Beh, alla prova dei fatti è più antico il ponte Bailey sul fosso Mavone, gettato dai militari alleati e risalente al settembre 1944, che il comune di Verucchio ha di recente giustamente recuperato e risistemato. Questo sì, il ponte militare, una preziosa testimonianza di un passato anche se “contemporaneo” in termini storici.

“Un vero e proprio rompicapo archeologico, che ci catapulta dalla chiassosa atmosfera delle spiagge della Riviera alle silenziose ombre che sbucano dagli abissi del tempo, quando la percezione del sacro delle antiche popolazioni guardava agli astri, agli dei, esprimendosi sulle alture con la costruzione di labirinti di pietre, dove potevano avvenivare processioni, sepolture, persino sacrifici storici”, così prosegue non senza una certa retorica l’articolo di Archeo.

Ma se non si tratta di “ombre che sbucano dagli abissi del tempo”, allora quei massi a Ventoso chi li ha messi? Non occorre scomodare archeologi. Basta chiedere ai cacciatori più anziani che spesso vi transitavano davanti per andare a sparare sul finire degli anni ’60 verso il passetto in zona Cantelli di Verucchio. Le pietre erano allora in bella mostra piazzate in sede dall’appassionato storico Voltolini utilizzando un braccio idraulico. Pietre fresche e pulite, e comunque non ricoperte da una patina di millenni di invecchiamento , altro che “risalire a popolazioni vissute tra il VII e il IV secolo avanti Cristo e che starebbero a indicare il limite sud di un’ampia zona sacra” come afferma, preso dal sacro furor della paleoarcheologia, Adolfo Morganti nel succitato articolo!

“L’atmosfera, sulla collinetta di Ventoso, è di grande suggestione” rincara la dose l’articolista… suggestione forse dovuta alla selva di antenne che sovrastano la “piccola Stonehenge” del Titano, uno spettacolo purtroppo familiare che certamente aggiunge ben poco fascino alla zona.

In verità il tempo ha la capacità di interrare, di inghiottire, grazie alla vegetazione e alla sovrapposizione di innumerevoli strati di terreno, e di custodire gelosamente i suoi tesori più antichi. Che, per la cronaca, sono ben altri sia a San Marino sia nel verucchiese.

Alcuni attendono ancora di essere portati alla luce una volta che siano disponibili le necessarie risorse finanziarie, che purtroppo spesso si preferisce impiegare per altre iniziative. Comunque sia, di questi tempi un po’ di pubblicità non guasta per San Marino, le cui vere testimonianze archeologiche (il Tesoro di Paderna di Domagnano, la villa romano-gotica in località Paradiso, sempre a Domagnano, l’ara votiva della Tanaccia, l’insediamento protovillanoviano di Montalbo, ecc) meritano una doverosa citazione. Per non parlare di tutto quel ben di Dio presente nel Museo Civico Archeologico di Verucchio. In tempi di fake news salviamoci almeno dalla fake archeology. L’abbaglio in questo campo è sempre dietro l’angolo. Clamoroso quello sofferto nel 1987 dall’allora ministro della cultura greco Melina Mercouri, sì la scomparsa attrice (19201994), che aveva preannunciato il ritrovamento del secolo cioè la mano del Colosso di Rodi negli abissi dell’Egeo. Era soltanto un volgare blocco di tufo tolto dal fondale del porto e trascinato al largo con un battello adibito a questi lavori. E le tre profonde scanalature che avevano dato l’illusione che si trattasse delle dita di una mano erano semplicemente i segni lasciati dai denti d’acciaio della benna. E che dire della bufala delle teste di Modigliani ritrovate nel letto dei Fossi Medicei a Livorno, ve la ricordate? Estate, 1984. Tre studenti in pausa esami, con un trapano Black & Decker, beffarono tutti i critici d’arte!

Tornando alla “Stonehenge di San Marino”, l’articolo di Archeo sottolineava sconsolato: “Ignorato dalla segnaletica turistica e dalle pubblicazioni dedicate alla cultura megalitica in Italia, si tratta di un luogo sconosciuto, a eccezione di qualche studioso”. Sulla serietà scientifica dell’articolo poi è piuttosto eloquente la chiusa, dove si dice che “sulle colline dell’entroterra romagnolo un altro enigma si aggiunge al leggendario tesoro di Cagliostro, ai passaggi segreti delle rocche malatestiane e al fantasma di Azzurrina”. Le rocche malatestiane come il fantasma di Azzurrina… questa sì che è ricerca storica!

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