San Marino. Nel 2015 BCSM inascoltata invitò Carisp a rifare il piano industriale, Antonio Fabbri

San Marino. Nel 2015 BCSM inascoltata invitò Carisp a rifare il piano industriale, Antonio Fabbri

 

L’informazione di San Marino

Dopo le prime raccomandazione del dicembre 2014, il carteggio indirizzato a Cassa fu fitto anche nel 2015 

Nel 2015 BCSM inascoltata invitò Carisp a rifare il piano industriale

Antonio Fabbri

Fin dal 2014 Banca Centrale di San Marino, raccomandava a Cassa di Risparmio (vedi l’informazione di ieri 06-06-2018) di redigere un Piano industriale realistico e di tracciare il quadro di una situazione aziendale attendibile soprattutto su stato dei crediti Delta, crediti non-Delta, previsioni di rientro di crediti di imposta dal fisco italiano, ipotesi di sviluppo della raccolta, solo per citare alcuni aspetti rilevati da Bcsm. Così se da un lato Via del Voltone il 10 dicembre 2014 aveva già espresso tutte le sue perplessità circa gli elaborati della allora dirigenza di Cassa di Risparmio ed aveva formulato alcune raccomandazioni per rivedere, secondo una prudente gestione, previsioni che riteneva eccessivamente ottimistiche, dall’altro a distanza di tre mesi pare che Carisp avesse fatto orecchie da mercante. 

Questo, almeno, quanto emerge da un’altra lettera di raccomandazioni indirizzata, sempre da Banca Centrale a Cassa, a firma dell’allora direttore Mario Giannini.

Cosa ribadiva Bcsm il 9 marzo 2015 A seguito della comunicazione di Via del Voltone datata 10 dicembre 2014, l’allora governance di Cassa di Risparmio trasmise, il 14 gennaio 2015, Il Piano industriale e il Piano pluiriennale di recepimento in ambito di vigilanza. Banca Centrale, dopo averli esaminati, il 9 marzo 2015 ribadì però quanto aveva già osservato tre mesi prima.

L’Autorità di vigilanza rilevava che i due documenti elaborati contenevano “una serie di assunzioni e ipotesi operative estremamente favorevoli, condizionate da fattori endogeni e di contesto esterno, questi ultimi al di fuori dal controllo e dall’azione di codesta Cassa di Risparmio, che potrebbero con un certo grado di probabilità essere disattese in futuro e dunque comportare fabbisogni patrimoniali aggiuntivi rispetto a quelli prospettati”. In sostanza ancora previsioni eccessivamente ottimistiche e con ogni probabilità non realizzabili, disse Bcsm.

Che cosa non quadrava a Banca Centrale Nove punti fondamentali del piano industriale non quadravano a Bcsm. Il problema è che erano gli stessi che l’Autorità di vigilanza aveva già evidenziato come improbabili nella prima missiva e che venivano quindi ribaditi. Tra questi il primo era la previsione di rientro di 200 milioni dalla Agenzia delle Entrate italiana, a titolo di restituzione del credito di imposta nell’ambito della vicenda Delta. Di questi, a dicembre 2014, l’allora dirigenza di Cassa prevedeva il rientro integrale. Una rosea previsione che, però,  già a marzo si era ridimensionata, prevedendo il rientro di 122milioni come restituzione di imposte dall’Erario Italiano. Erario che, notoriamente, non è però di manica larga. Tanto che anche su quell’importo Banca Centrale pose forti dubbi. Se infatti dalle relazioni della dirigenza di Cassa pareva ci si appestasse a raggiungere un accordo per una transazione e il relativo rimborso di quelle somme, era anche paventato il fatto che il Fisco italiano si stesse apprestando ad aprire un contenzioso tributario, cosa che poi avvenne, con lo scopo di trattenere, e non restituire a Cassa, l’intero importo. Banca Centrale pose nuovamente dubbi, poi, sul miglioramento delle performances di recupero crediti di Delta e, ancora, sulla cessione di Banca Kovanica, istituto croato di proprietà di Carisp, prevista al doppio del proprio patrimonio netto. Importo che, peraltro, era già a bilancio per 27,9 milioni a fronte di un valore del patrimonio della metà. Anomalia che Bcsm non mancò di rilevare di nuovo.

La governance di Cassa di allora pareva puntare molto anche su promotori finanziari sammarinesi che avrebbero dovuto operare in Italia per incrementare la raccolta. Ma anche qui Bcsm frenò gli entusiasmi, trattandosi di attività non consentita – e che invece secondo la banca avrebbe dovuto portare da subito nuove entrate – in assenza del memorandum tra banche centrali. Memorandum che ancora oggi non c’è. Tra le previsioni della banca c’era poi la vendita di un immobile allo Stato per 14milioni di euro, indicati come entrata straordinaria. Peccato che, in quel frangente, lo Stato non aveva ancora manifestato determinazione all’acquisto, come rilevò Bcsm.

La Bcsm vuole la documentazione La Banca Centrale intimò quindi a Cassa di Risparmio di redigere un nuovo Piano industriale evidenziando anche la percentuale di realizzabilità di ciascuno scenario di sviluppo che si sarebbe ipotizzato. Non solo. Bcsm chiese i documenti delle prospettive di entrate. “Codesta banca (Carisp, ndr.) è tenuta a fornire, ove esistano, prove documentali e idonee a suffragare quanto prefigurato nel piano”, scriveva Bcsm ed indicava, a titolo di esempio, i documenti da presentare circa i rimborsi che si assumeva dovessero arrivare dall’Agenzia delle Entrate o il preliminare di vendita di immobili allo Stato o le contabili amministrative che avrebbero giustificato “il prospettato miglioramento della performance di recupero crediti”.

“In sostanza – concludeva e ribadiva Bcsm nella sua lettera del 9 marzo 2015 – il nuovo Piano industriale dovrà essere solido e credibile, tener conto delle probabilità di accadimento degli scenari e ipotesi prospettati, indicando il modo in cui, in uno scenario realistico e prudente, codesta banca potrà tornare redditizia”.

Forse, visto che le raccomandazioni ci sono da tempo, se scenari prudenziali si fossero valutati prima, non si sarebbe stati costretti a dover prendere atto di scenari ben più gravi poi.

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