San Marino. Quando il silenzio è d’oro, specie per chi dissente

San Marino. Quando il silenzio è d’oro, specie per chi dissente

Prima una denuncia, poi uno strale al Consiglio Grande e Generale e per chiudere una lettera minatoria.

È risaputo da sempre come il sistema possa prendere per fame chi dissente dalle linee del pensiero dominante. Lo diceva liricamente De André nelle sue canzoni: “se non vuoi che il sistema ti pigli per fame / E il sistema sicuro è pigliarti per fame”.

Il clima che si è creato a San Marino negli ultimi tempi, conclamatosi coi fatti di Via Gino Giacomini del 1° aprile, è un clima per certi versi intimidatorio, con le modalità di denunciare chi critica oppure di bloccare finanziamenti dovuti ad associazioni che dissentono, di penalizzare i singoli non allineati nelle questioni che riguardano la loro vita privata. 

Vedersi bloccare i finanziamenti già discussi con le singole Segreterie di Stato per il progetto San Marino Green Festival, è quel che è capitato alla associazione Fuorigioco Network, di cui sono presidente. Colpire il progetto, – nella fattispecie un progetto culturale, all’insegna della tanto sbandierata Sostenibilità, così vitale per il territorio e per la comunità sammarinese – per colpire la persona, penso sia un modo di agire inaccettabile. 

Il limite si oltrepassa quando a certe forme di ritorsione si aggiungono lettere minatorie anonime, ecco lì si compie un salto di qualità preoccupante.

In senso cronologico la prima azione è stata una minaccia a cui avrebbe fatto seguito la denuncia (a suo dire già inoltrata) da un cittadino – vicino alla maggioranza di governo – per avere espresso su Facebook un parere difforme dal suo e per averlo messo nelle condizioni di non poter replicare.

Ne segue un’altra, che è una lettera minatoria anonima trovata nella buca delle lettere di casa che perentoria mi ricorda che “IL SILENZIO E’ D’ORO”. 

Dulcis in fundo nell’ultimo Consiglio Grande Generale, dove qualcuno della maggioranza si è presa la briga di parlare di me senza citarmi, paragonandomi a un questuante che vaga fra i partiti dell’opposizione a mendicare per quel progetto etico-culturale-ecologico, che è il San Marino Green Festival. E lo strale è scoccato proprio da quel partito che si fregia nel suo acronimo del termine “ecosostenibilità”, e che non ci ha mai degnati della benché minima considerazione. 

Lo scorso anno facemmo una Lettera aperta al Governo sui temi della sostenibilità, ma nessuno che ci contattò per conoscere più a fondo il nostro programma e le nostre iniziative mirate. Le nostre iniziative, però, interessavano per cavalcare gratuitamente, e senza colpo ferire, un palcoscenico locale, ma anche nazionale.

 

Senza voler cadere in uno sterile vittimismo, quello che vorrei sottolineare è il clima d’odio e di paura che si è andato rinforzando a seguito dello scandalo di via Gino Giacomini, in cui il legislatore è venuto meno al rispetto delle stesse leggi che aveva promulgato in tema di Covid, proprio in un momento di grande stanchezza della popolazione per i ferrei limiti imposti. Nulla da aggiungere in questa sede che non si sappia. 

Ma se questo è il clima generale, in cui oltre a venire a mancare il rapporto di fiducia fra chi governa e i cittadini si aggiunge il clima intimidatorio, allora mi risulta facile pensare che non arriveremo a nulla di buono.

E il clima intimidatorio lo si evince in strada e sui social.

In strada incontri persone che ti esprimono la loro solidarietà e che la pensano esattamente come te, ma alla domanda “perché queste cose non le denunciate apertamente?” la risposta è sempre la stessa: “abbiamo paura“.

 

Sui social, i post di chi afferma indignazione o dissenso, ricevono pochi, pochissimi like, ma talvolta si può assistere alla scena di qualcuno che istintivamente è solidale, ma altrettanto repentinamente toglie il proprio like, per paura.

Una comunità che ha paura di esprimere la propria opinione, a quale futuro è destinata?

Ricordate che i vostri progenitori con la valigia di cartone prendevano i transatlantici per ritrovarsi in luoghi in cui non valevano né la stessa lingua né le stesse tradizioni. Lavoravano nelle miniere in Europa, costruivano grattacieli negli Stati Uniti o facevano i braccianti nel Sudamerica. Messi a dura prova dalla sorte ne sono usciti spesso vincitori. Ho avuto il privilegio di leggere le loro storie esemplari, che ho pubblicato nei “Quaderni della memoria. Storie di emigrazione sammarinese”, realizzate quando lavoravo a Tribuna.

 

Per concludere, qualsiasi idea di rinascita e di sviluppo perché sia vincente, non può prescindere dalla partecipazione attiva dei cittadini e delle loro organizzazioni. Il motore del cambiamento deve avere basi democratiche e non essere calato o concordato dall’alto, specie da coloro che hanno oramai perduto gran parte della fiducia di chi li aveva eletti. 

 

Gabriele Geminiani

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