L’informazione di San Marino
Per l’accusa i denari provengono dalla maxi truffa “Dual Broker” che vide una evasione Iva da 80 milioni
Riciclaggio da 3,5 milioni / Condanna a 4 anni e mezzo
Antonio Fabbri
SAN MARINO. Un procedimento travagliato quello che ha portato alla condanna in primo grado, ieri, di Vincenzo Esposito, napoletano che a San Marino aveva conti correnti sui quali sono transitati soldi che sono stati riconosciuti dal giudice di prima istanza come una parte del frutto di una imponente frode carosello. L’accusa ha sostenuto che quei soldi erano il provento dell’attività illecita venuta allo scoperto con l’operazione “Dual Broker” che nel giugno del 2010 aveva portato a dieci ordinanze di custodia cautelare emesse dal Gip di Napoli, per un imponente giro di fatture false, con la contestazione di Iva evasa per circa 80 milioni. Una vicenda che vedeva come principale indagato Luigi Di Fenza, già noto anche sul Titano, e condannato lo scorso 28 ottobre a due anni e mezzo per truffa aggravata, in un processo legato a una delle tante transazioni passate per Fincapital. Da “Dual Broker” scaturì una rogatoria sul Titano e da quella richiesta di assistenza giudiziaria prese vita il fascicolo sammarinese, in prima battuta in mano al Commissario della Legge Manlio Marsili e poi passato Commissario Laura Di Bona. Quindi il rinvio a giudizio e, ieri, la condanna di Vincenzo Esposito, estraneo a “Dual Broker”, ma accusato di riciclaggio dei soldi del fratello Giacomo che, invece, in quella inchiesta rimase implicato.
La requisitoria del Pf Il procuratore del fisco, Roberto Cesarini, ha sostenuto che il processo ha accertato la provenienza illecita di quei soldi.
“Provengono da reati in Italia per i quali è stata riconosciuta la responsabilità. San Marino è stato usato per nascondere queste somme e anche per retrocederle attraverso l’adesione allo scudo fiscale. Ci sono assegni messi all’incasso da Vincenzo Esposito provenienti da società riconosciute come cartiere. L’imputato era un lavoratore dipendente e non era possibile che disponesse di somme così ingenti, come attestato anche dalla compagnia della Guardia di Finanza di Scafati, che conferma come Esposito non avesse capacità patrimoniale così elevata”, ha detto il Pf. Di qui la richiesta di condanna a 5 anni e 9 mesi di prigionia, a 4000 euro di multa, all’interdizione dai pubblici uffici e diritti politici per 2 anni e alla confisca di quanto sotto sequestro, che il Pf ha calcolato in circa 3,5 milioni di euro, dopo che una parte del primo ammontare congelato di 4,7 milioni, è stata dissequestrata già in fase istruttoria, poiché riconosciuta non rientrante tra i denari da porre sotto misura cautelare.
La difesa Di tutt’altro avviso la difesa sostenuta dagli avvocati Filippo Cocco, del foro di Rimini, e Luca Moschiano, del foro di Napoli, domiciliati presso l’avvocato Lara Conti di San Marino. “Anche in Italia nei nomi di quell’indagine Vincenzo Esposito non compare – ha detto l’avvocato
Cocco – Perché? Perché Vincenzo è ritenuto estraneo a questi fatti. In quel processo è stato disposto un sequestro preventivo per equivalente da 77 milioni. In quei soldi non ci sono soldi riferibili a Vincenzo Esposito, altrimenti l’autorità italiana avrebbe esteso il sequestro anche ai soldi a San Marino. L’Italia ve lo ha detto che non c’entra niente con gli altri soggetti di quell’inchiesta.
Non possiamo, allora, costruire una sentenza di condanna sul fatto che era nullatenente, non occupato o lavorava poco e solo sulla presunzione del legame familiare tra Vincenzo e Giacomo. Allora, si può condannare una persona dimenticando che l’Italia ha detto che non vuole quei soldi perché non sono collegati a quella vicenda? Agli atti -ha aggiunto l’avvocato Cocco- ci sono plurimi elementi che dicono che quelle somme non c’entrano nulla con le partite per le quali il Pf chiede la condanna e la confisca. Per questo chiediamo l’assoluzione”.
Sulla stessa linea l’avvocato partenopeo Luca Moschiano. “Manca una indagine seria su Vincenzo Esposito. Ci si limita esclusivamente a movimentazioni finanziarie in San Marino, ma su quello che c’è a monte e quello che c’è a valle non è stato fatto niente. E soprattutto sulla
retrocessione ai veri detentori delle somme. Se fosse stato così l’autorità italiana avrebbe provveduto al sequestro per equivalente anche di queste somme. Si dice che il nostro assistito non ha ‘mai prodotto grandi redditi’. Esposito Vincenzo, invece, in aula ha ricostruito con copiosa documentazione la sua storia e attività. Ha ricevuto una cartella esattoriale da oltre 5 milioni. Questa è la conferma che è sempre stato un
imprenditore: non ha pagato le tasse e i soldi li ha portati a San Marino, ma è sempre stato un imprenditore. Tutte le società che ha avuto hanno operato in un settore diverso rispetto a quelli dell’indagine italiana: dal materiale elettronico, una nella tabaccheria-fotografia e una
nelle schede telefoniche. Proprio con quest’ultima Esposito ha realizzato una grande fortuna, poi è stata chiusa per fallimento”. Quindi ha ribadito: “Non c’è nessun elemento che lo colleghi a Di Fenza o Giacomo Esposito. Per questo concludo chiedendo l’assoluzione dell’imputato”.
La sentenza
Il giudice Roberto Battaglino, dopo circa 15 minuti di camera di consiglio, ha condannato Vincenzo Esposito a quattro anni e sei mesi di prigionia, un anno e due mesi di interdizione dai pubblici uffici e diritti politici, 1000 euro di multa più le spese di giustizia. Ha poi disposto la confisca della somma posta sotto sequestro pari a circa 3,5 milioni.
Gli avvocati difensori hanno già annunciato appello.