Sinistra Unita. Dubbi sulla patrimoniale

Sinistra Unita. Dubbi sulla patrimoniale

“Tutti i cittadini hanno l’obbligo di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.”
Questo enunciato, che troviamo scritto nella nostra Carta dei diritti del 1974, è giusto. È giusto che chi ha di più dia di più, è giusto che lo Stato, attraverso le tasse raccolte, organizzi le spese pubbliche, ridistribuisca la ricchezza, garantendo servizi, soprattutto scuola e sanità, e aiutando i più deboli.
In base a questo principio sembrerebbe giusto e ragionevole varare una imposta patrimoniale, specie in tempo di crisi. Potrebbe addirittura sembrare un’imposta voluta da un vero Governo di Sinistra. Ma il condizionale è d’obbligo. Siamo sicuri che il Decreto sull’imposta patrimoniale che il Consiglio Grande e Generale sta ratificando, tragga la sua ispirazione dal principio sancito dalla Carta dei Diritti? Se così fosse il Governo si sarebbe prima preoccupato di definire bene e accertare tutti i patrimoni da tassare, ossia tutta la ricchezza proveniente dalle rendite di ogni genere che cittadini, società, fiduciarie, fondazioni…, hanno accumulato, non solo in forma di beni immobili, ma anche in forma di capitali finanziari.
La casa dove abitiamo, quella che viene chiamata “prima casa” ma che per molti è proprio l’unica casa, una normalissima casa o appartamento – non pensiamo alla villa extralusso, è il bene fondamentale che ci permette di vivere con dignità e sicurezza, e nell’immediato non produce nessuna rendita e non dà reddito. Sinistra Unita ritiene che questo principio vada difeso e propone di esonerare dal pagamento dell’imposta le civili abitazioni dove si ha la residenza anagrafica e la dimora effettiva. Le detrazioni che il Governo stabilisce per ridurre la tassa sulla “prima casa” ci sembrano insufficienti per garantire il principio che la casa dove si vive è prima di tutto un bene necessario e non una rendita.
Un principio analogo andrebbe applicato anche alle sedi di lavoro, delle attività produttive o ai terreni degli agricoltori che non danno luogo a rendite immediate perché sono mezzi di produzione e sono funzionali allo svolgimento del lavoro e alla creazione del reddito. In questo caso sembra quasi di vedere la difficoltà e la fretta del Governo che nell’impossibilità di fare emergere e tassare equamente tutti, sì sì TUTTI, i redditi da lavoro preferisca invece la scorciatoia di applicare un’imposta patrimoniale sugli immobili. Insomma, chi paga regolarmente le tasse sul reddito che deriva dalle proprie attività lavorative, rischia così di pagarle due volte.
Eppure, nonostante la fretta di giungere presto a rastrellare nuove entrate, sembra che il Governo sia riuscito  a trovare il tempo per infilare nel Decreto alcuni salvacondotti, che renderanno a qualcuno l’imposta più dolce… Leggendo strane espressioni arzigogolate o contorte, che riguardano alcuni abbattimenti dell’imposta e che incuriosiscono anche solo per lo sforzo immaginativo, viene purtroppo da pensare che solamente in quel modo era possibile far rientrare nella detrazione anche casi che forse non potevano rientrarci sulla base di un principio chiaro, un diritto facile da riconoscere e quindi da scrivere. In ogni passaggio del Decreto nel quale la linearità del linguaggio normativo diventa “licenza poetica”, si annida il dubbio che il diritto – uguale per tutti – si sia trasformato in favore per qualcuno. Se così fosse, e il sospetto è forte, oltre al giudizio negativo su un provvedimento che distorce il senso autentico della Carta dei Diritti perché colpisce tutti gli immobili per non tassare le rendite, andrebbe aggiunta l’amara considerazione che le posizioni di forza di qualcuno prevaricano sulla certezza del diritto.
Sinistra Unita
19 giugno 2013

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