Ho sentito più volte dire da parte di ministri d’Italia:non metteremo le mani in tasca agli italiani! Oggi la frase dovrebbe essere corretta e così completata: eccetto in quelle degli impiegati pubblici. Perché sono forse le più ricche? O perché non sono cittadini come gli altri?
Il Sole 24, in un recente articolo, ha salutato con enfasi la fine del “mito” dello stipendio fisso, felice che il santuario dello stipendio statale intoccabile non c’è più.
Da più di un anno, in tutta Europa, le misure di risanamento dei bilanci pubblici a seguito del crack finanziario globale, partono dall’attacco ai salari dei dipendenti statali.
Pensiamo subito al caso della Grecia. Ma questa storia non è incominciata sul Mediterraneo, ma sul Baltico. E’ stata la Lettonia, il piccolo paese baltico,a fare da “battistrada in questa mesta marcia al ribasso”,con riduzioni salariali giunte addirittura al 20% (per insegnanti e altre categorie). In Irlanda, i tagli degli stipendi pubblici sono partiti da un 5% per i livelli più bassi, fino ad un massimo del 15% per gli alti funzionari. Riduzioni agli statali sono state decise o annunciate anche in paesi dell’Europa centrale, come Ungheria e Repubblica Ceca. La Gran Bretagna pensa, per ora, ad una riduzione delle indennità di licenziamento. Dai giornali sappiamo quello che faranno Grecia, Spagna,Portogallo e la stessa Italia. E’ curioso ricordare che un anno fa, il governatore della California, Arnold Schwarzenegger, ha introdotto due giorni al mese, (in alcuni casi anche tre), di riposo forzato non retribuito per gli statali.
Questa pratica non è una novità. La storia ricorda che forti tagli agli stipendi pubblici erano già stati attuati in Europa nella grande crisi degli anni ‘30. A San Marino, i meno giovani ricordano gli stipendi non pagati per alcuni mesi negli anni ’50 e nella mia ricerca sulla storia dell’amministrazione sammarinese,ho registrato che esattamente cento anni prima (marzo 1850) il Consiglio aveva decretato una pesante decurtazione “sugli onorari annessi a diversi pubblici impieghi”, ad iniziare da 60 scudi alla Reggenza.
A questo punto, vorrei ricordare che le normative di tutti i Paesi del mondo prevedono la riduzione dello stipendio per l’impiegato, quando è responsabile di qualche reato o violazione dei propri doveri. Questi tagli di cui stiamo parlando, alimentano il sospetto che gli statali abbiano una colpa in più da scontare, un peccato antico o segreto da espiare. Quale? Provo a immaginare. Sono dei “privilegiati”? Ma sono i parlamenti che fanno le leggi di riforma e i governi che sottoscrivono i contratti del pubblico impiego! Sono “troppi”? I governi rispettino le dotazioni organiche e non aprano corsie preferenziali per favorire l’ingresso agli amici di bottega politica,non necessari alla funzionalità degli uffici e alla qualità dei servizi! I dipendenti pubblici sono degli “incapaci”? Perché non vengono scelti i migliori,le persone giuste al posto giusto? Sono una categoria improduttiva e di fannulloni? Le autorità e i dirigenti sappiano meglio utilizzare gli strumenti per una migliore organizzazione e un maggior controllo.
Alla fine della storia, i tagli mantengono purtroppo un sapore punitivo, sono una delegittimazione di questi lavoratori, un vero “sputtanamento”, che impedisce loro di diventare una categoria normale, con dignità professionale e sociale.
Ho sempre parlato di tagli. Ma a pensarci bene,le diminuzioni degli stipendi sono delle tasse, un aumento secco delle tasse a carico di una sola categoria di cittadini. Una porcata anticostituzionale, che viola il principio dell’equità fiscale. Gli statali devono partecipare ai sacrifici imposti dalle crisi,come gli altri cittadini, senza punizioni né privilegi.
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