Uomini provate un attimo a mettervi nei nostri panni

Uomini provate un attimo a mettervi nei nostri panni

Ormai sei anni fa, più o meno in questo periodo, tornavo da New York. Sono stati tre mesi densi di esperienze alle quali torno sempre con profonda nostalgia. 

Di quel periodo ricordo in modo cristallino un episodio che nel momento stesso in cui l’ho vissuto, mi fece sorridere, ma che visto ora a distanza di sei anni mi lascia costernata su quanto ci sia ancora da lavorare riguardo le molestie in luogo pubblico e non.

Ormai ho iniziato su questa scia, per cui se per voi questi argomenti, sono superflui o superati, vi chiedo un piccolo sforzo e di leggere almeno un altro po’.

Ero a New York dicevo e dopo il mini bus che da Union City mi portava di fronte alla sede del New York Times, semplicemente perché era il capolinea, prendevo la metro dalla stazione centrale, non-luogo in cui mi sono persa svariate volte nell’arco di tre mesi. Pensavo sempre di aver scoperto una nuova scorciatoia che non si rivelava poi tale.

Quando finalmente salivo sulla metro, ogni tanto stavo in piedi ma quando c’erano abbastanza posti liberi, poteva succedere che mi sedessi. Quando mi sedevo, mi perdevo a leggere nelle pubblicità nei pannelli in alto, quelli sopra ai finestrini.

Non ricordo se era una mattina o un pomeriggio, ma una volta in particolare, sorrisi sotto i baffi quando vidi quella che chiameremmo pubblicità progresso sul corretto comportamento da tenere sui mezzi pubblici. C’erano una donna e un uomo a mo’ di cartone, nello specifico la donna era in piedi e si teneva ai manubri che scendono dall’alto del vagone mentre l’uomo stava a debita distanza, oppure in un’altra vignetta teneva le mani sulle proprie cosce da maschio e non importunava la donna seduta vicino a lui. Era qualcosa del genere e perdonate se non vado più nello specifico ma la memoria si fa nebulosa. 

Ricordo che dentro di me, mi sono messa a ridere perché ho banalmente pensato – ma facciamo davvero? – tipica locuzione romagnola lo so. Non ho fatto nessuna foto perché ero seriamente in imbarazzo. 

So di non aver visto nulla di nuovo e che probabilmente una pubblicità del genere c’era e ci sarà stata anche a Rimini o Roma o Milano, ma in quel momento mi ha lasciato perplessa.

Pensavo fosse ovvio che su un mezzo pubblico non si debba allungare la mano facendo finta di aver perso l’equilibrio. Nemmeno per mostrare apprezzamento, no. Mi sembrava di una banalità assurda.

Poi sono tornata e gli usi e costumi di San Marino non prevedono dei mezzi pubblici così affollati, se non negli orari di andata e ritorno dalle scuole o dai licei del centro storico. Per un po’ dunque, quel pensiero è rimasto sepolto lì.

Ultimamente, complice il periodo di lockdown, ai telegiornali, sui giornali cartacei e online si susseguono le notizie di femminicidio e ad ogni notizia letta, il senso di sconforto è sempre più grande.

Mi sembra ieri quando ho assistito a questa scena: in oratorio, inizi 2000 – son passati vent’anni per l’amor del cielo – una ragazza ha l’ombelico scoperto, la moda del periodo. Il prete la riprende perché così facendo induce in tentazione i suoi amici maschi. La ragazza risponde che se gli amici maschi non si sanno controllare per un ombelico scoperto, forse va insegnato qualcosina in più a loro e non a lei. Immagino gli applausi nella testa di lei, tanta tanta amarezza intorno.

Sono passati ventun anni per la precisione è che cosa è cambiato? Forse niente e forse tutto. Se ti vesti più scosciata sei comunque una poco di buono, se ti vasti casta -eh vabbè sbottonati un po’-.

Per fortuna sui social ci sono sempre più testimonianze di survivors, coloro cioè che sono sopravvissute alle violenze di cui erano oggetto. Vi consiglio @carlottavagnoli su Instagram e spoiler, quando si alza le maniche del maglione sta per arrivare un bel cazziatone al patriarcato. 

Rendere i racconti pubblici ci mette di fronte al problema ma non li risolverà, vero. Di sicuro però ci da un’immagine più oggettiva di quella che è la realtà.

Quando mi sono trovata nella posizione di ascoltatrice delle violenze, dopo il primo momento di mutismo, cercavo di pronunciare frasi di conforto ma sembravano così superficiali. Tentavo allora con l’invito a denunciare e a non perdere la fiducia, quando mi rendevo conto che quella fiducia mancava a me per prima.

Tempo fa ho letto che in un questionario in cui veniva chiesto alle donne che cosa avrebbero voluto fare se fossero state uomini, molte hanno risposto: fare jogging quando scende la sera oppure andare da sola al cinema, cose semplici. Vivendo a San Marino queste necessità ci sembrano lontane perché siamo abituate agli scenari del centro storico simile al mondo dei morti viventi, specialmente in inverno. Non ci sembra così pericoloso fare qualcosa da sole. Eppure, basta aver vissuto un pochino fuori dai confini per avere quella remora in più. 

Ogni tanto ci penso che sono solita andare in bici, da sola, lungo il fiume. Un percorso che non è nuovo ad essere teatro di stupri. Io ci vado comunque, ma se scende la sera, beh ci penso due volte in più.

Provate un attimo a mettervi nei nostri panni. Avere paura e farlo lo stesso non significa essere coraggiose, significa aver così tanto voglia di vivere da accettare un rischio che per l’altra metà della mela, semplicemente o per la maggior parte dei casi, non c’è.

Io sono donna e di questo mondo vi parlo, so che anche gli uomini possono essere vittime di violenze e non voglio sminuire il fenomeno. Semplicemente, è così difficile ammettere che è vero che abbiamo un problema?

Mi piace la piega che sta prendendo questo dibattito sui social, ci sono sempre più voci e sempre più storie. Non nascondiamoci dietro ad un giudizio, ascoltiamo e cerchiamo di capire. Cambiamo prospettiva. 

Forse si, in effetti, quella pubblicità non era poi così scontata e nemmeno faceva ridere, nemmeno a distanza di sei anni.

 

Se sei vittima di violenza c’è un numero dedicato che puoi contattare: Centro d’ascolto c/o Centro Salute Donna Telefono 0549 994800 (24h/24) – email centroascoltoantiviolenza@iss.sm. Oppure usa l’app TECUM (qui i link per scaricarli, Apple store – Play store).

 

Andrea Livia  (leggi anche sul blog andrea-o-livia.com)

 

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