San Marino Oggi 24/03/2003
Il paese sta
conoscendo una vera e propria frenesia referendaria. È la prima volta che
succede da quando l’istituto di democrazia diretta è stato introdotto nel nostro
ordinamento. C’è da preoccuparsene? Certamente no. Preoccupa invece il silenzio
dei partiti. I partiti avrebbero dovuto già nel momento della enunciazione
pubblica dei quesiti, esprimere su di essi il proprio giudizio. Sono i partiti
che, in un sistema democratico, colgono ed interpretano le esigenze e gli
orientamenti della gente. Invece tacciono. Non stanno prendendo posizione.
Brutto segno. Verrebbe da pensare che l’assuefazione al potere, li abbia ridotti
a macchine capaci solo di gestire il potere. Per cui tutto quello che non è
strettamente attinente alla gestione del potere, rimane a loro estraneo.
Infastidisce.
Speriamo che i
partiti, infastiditi dai tanti quesiti referendari su cui prima o poi dovranno
necessariamente esprimersi, non si abbandonino a tentazioni sostanzialmente
antidemocratiche. Ad esempio mettendosi a neutralizzare i singoli referendum in
corso, impedendone la celebrazione con provvedimenti legislativi raffazzonati
all’ultimo momento. Oppure – ancor peggio – demonizzando l’istituto referendario
tout court ostacolandone di qui in avanti l’accesso, aumentando il numero
delle firme o riducendo la materia su cui poterli effettuare.
Se i referendum sono
tanti, basta limitarsi a fissare un giorno o due all’anno in cui concentrare le
votazioni e cominciare ad utilizzare, per votare, i mezzi suggeriti dalla
innovazione tecnologica.
L’istituto
referendario nella nostra Repubblica non è un sovrappiù e tanto meno una
turbativa del sistema democratico basato sui partiti. Costituisce una
integrazione naturale della riforma del 1906, come aveva fin da allora
puntualizzato con grande lungimiranza e intelligenza politica Pietro Franciosi e
come più recentemente ha osservato Norberto Bobbio
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