San Marino. I Fatti di Rovereta: Daniel Giacomini, martedì 23 maggio 2017

San Marino. I Fatti di Rovereta: Daniel Giacomini, martedì 23 maggio 2017

L’informazione di San Marino

“fatti di rovereta” 60 anni dopo 

Non si  verrà mai a capo della ragione delle rispettive fazioni e ognuno rimarrà della propria idea, almeno fra i viventi

Daniel Giacomini

Sono intervenuto sui giornali locali diverse volte sul tema di Rovereta, tanto da essere in fase di stanca su queste discussioni, un po’ sorpreso dagli animi invece belli vispi su questo pezzo di storia. Non mi è mai caduto nemmeno un grammo, né mai mi cadrà, sulle mie certezze che riguardano i comportamenti politici e le decisioni dei componenti della mia famiglia, ma in questi anni sono stato sempre attento alla necessità di riappacificazione fra famiglie, a volte difficile e faticosa. E non credo proprio che una grottesca affissione di una lapide su un muro del pubblico palazzo con giudizi taglienti serva a rasserenare gli animi.

Avevo solo sette anni nel 1957, ma ero già in tempo a percepire la drammaticità di quel periodo e gli improvvisi cambiamenti di atteggiamenti nel corso della vita quotidiana, a volte nel giro di pochi giorni da amicali e fraterni ad apertamente ostili e aggressivi. Ed ero anche in tempo a vivere con drammaticità insieme alla mia famiglia le conseguenze del dopo Rovereta, di cui non si parla mai, quando mio padre, insieme a tante altre persone si ritrovò dalla sera alla mattina cacciato dal suo posto di lavoro, pur non avendo responsabilità politiche dirette, dove potè ritornare solo dieci anni dopo, non perché qualcuno del nuovo governo ci avesse ripensato ma semplicemente per una sentenza a lui favorevole di una causa civile che aveva intentato contro lo Stato.

Ho avuto naturalmente modo di riflettere sulle congiunture internazionali di quegli anni e penso che ben poco di diverso sarebbe potuto succedere, soprattutto dal momento che gli Stati Uniti, tramite la CIA, avevano semplicemente deciso che un governo popolare anche in uno stato minuscolo come il nostro, non se lo poteva permettere. Le modalità avrebbero potuto essere magari diverse, ma era inevitabile. Niente e nessuno avrebbe potuto opporsi, soprattutto col supporto logistico (chiamiamolo logistico) italiano. Ben altri governi di immense nazioni sono stati determinati a tavolino dagli americani, nel corso del secolo.

Sono stato anche sempre convinto che poi internamente nella vicenda Rovereta hanno giocato questioni puramente pragmatiche legate al potere di per sé, per quanto supportate da questioni ideologiche, ma in misura minore di quanto si vuol far credere. In fondo proprio solo la figura di Alvaro Casali dalla parte avversa ai Giacominiani poteva al tempo avere il necessario bagaglio politico culturale per trarne delle conseguenze personali e decisionali.

Per rispondere all’amica Gloria bisogna poi dire che il rapporto fra Gino Giacomini ed Alvaro Casali è materia estremamente complessa e va al di là degli stereotipi storici popolari e convenzionali . Solo chi ha avuto modo di “frequentare” l’immenso carteggio fra i due può coglierne la percezione esatta. La loro vita per mezzo secolo è stata tenacemente e quotidianamente accomunata da una grande familiarità e da uno strenuo antifascismo poi drammaticamente e letteralmente dilaniata da una scissione politica e personale, ancora parzialmente difficile da comprendere, almeno per me.

Per tornare a noi di “relativa” novità, (visto che nel frattempo sono passati più di vent’anni) ci sono questi documenti americani desecretati e faticosamente centellinati, che aiutano a capire molti movimenti di cui è mia opinione che non si sia mai sufficientemente preso atto. Non si verrà mai a capo della ragione delle rispettive fazioni e ognuno rimarrà della propria idea, almeno fra i viventi.

Ai futuri, anzi futurissimi posteri l’ardua sentenza.

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